Xavier Rius è un giornalista catalano, in passato redattore del famoso quotidiano “La Vanguardia” e collaboratore di vari mezzi di comunicazione locali. Oggi è diretto del quotidiano online “E-Noticies”, da lui stesso co-fondato.
E’ sempre stato indipendentista, ma dal 2012 non ha risparmiato critiche al cosiddetto “procés”, ossia il processo cominciato dall’ex presidente della Generalitat Artur Mas che avrebbe dovuto portare all’indipendenza della Catalogna.
Gli ho chiesto di concedermi un’intervista, e lui ha generosamente accettato.
Nella sua biografia di twitter dice di essere “l’indipendentista saggio”. Conferma di essere indipendentista?
Non mi faccia cambiare alla mia età, ci sono già sufficientemente convertiti nel processo (di indipendenza, ndr). Però il sovranismo deve essere cosciente che non si può fare l’indipendenza col 47% dei voti. E nel caso la facesse nessuno la ricoscerebbe in Europa. Che è quello che poi è successo. L’ho sempre detto e me ne hanno dette di tutti i colori. Non si deve vendere fumo.
Perché è indipendentista? Non le piace la Spagna?
Non è questione di gusti. Il sovranismo dovrebbe tenere i piedi per terra: se non si può conseguire l’indipendenza, bisogna almeno cercare di far diventare la Spagna come la Svizzera. Questo adesso lo dice addirittura Puidgemont. Ma ormai è tardi, hanno bruciato tutti i ponti.
L’indipendentismo è maggioritario in Catalogna?
Sembra, ma non è così. È questione di numeri. Nelle elezioni del 2015 ci furono un 47,7% di elettori a favore di partiti indipendentisti. Nel 2017 quasi la stessa, 47,5%. Anche al referendum sullo Statuto (2006) andarono a votare, e non tutti a favore, un 48%. Temo che la cifra rimanga questa.
Fu la sentenza sullo Statuto del 2010 a scatenare l’indipendentismo, o ci si sarebbe arrivati lo stesso, magari qualche anno più tardi?
Quella è la versione ufficiale, però nella manifestazione della Diada del 2011 c’erano quattro gatti. In realtà cominciò con Maragall, il primo presidente socialista dopo 23 anni di governo del centro-destra catalanista. Maragall voleva essere presidente e per riuscirci dovette spodestare CiU (Convergencia y Uniò) dallo spazio catalanista.
Anche se, mi permetta la battuta, cominciò col pestore di Pepe, quel difensore del Real Madrid che, in un “clasico”, diede un pestone a Messi.
Due eurodiputati catalani, Raul Romeva e Ramon Tremosa, arrivarono a fare una domanda sull’accaduto…nel Parlamento Europeo! A Bruxelles cominciarono a vedere che qualcosa non andava nella testa dei catalani. O di qualcuno di essi.
Col passare del tempo, uno diventò consigliere regionale degli esteri, l’altro continua ad essere eurodiputato. Siamo messi così.
Il PP è una fabbrica di indipendentisti? O lo è stata maggiormente la crisi economica?
Che il PP sia una fabbrica di indipendentisti lo sento dire dall’inizio del processo. Dicono sempre: “Quando parla Rajoy, crea 50 mila indipendentisti”. Sicuramente il PP ha sbagliato, e molto. Durante il dibattito sullo Statuto, il socialista catalano Miquel Iceta arrivò a collezionare una quarantina di insulti. Però se questo fosse vero, saremmo già indipendenti.
Rispetto alla crisi c’è qualcosa. Il processo è soprattutto un movimento della classe media. A Madrid la classe media che ha sofferto la crisi è diventata di Podemos. In Catalogna, indipendentista.
È vero, come molti dicono, che la Spagna non rispetta i diritti dei catalani, la sua lingua e le sue tradizioni?
È uno degli argomenti principali del processo. Ricordi lo slogan “Espanya ens roba” (la Spagna ruba), che somiglia molto al vostro “Roma ladrona”. Certo, sempre si può chiedere di più, ma si può anche perdere la scommessa. È quello che è successo col 155 (l’articolo della Costituzione spagnola che permette il commissariamento delle regioni, ndr): siamo rimasti senza presidente, senza governo e praticamente senza Parlamento (il nostro consiglio regionale, ndr). Il penultimo che sospese lo Statuto fu Franco. Dico il penultimo perché anche la legge di Trasitorietà lo derogava (la legge approvata dai separatisti il tra il 6 e 7 di settembre 2017).
C’è libertà per tutti in Catalogna? O se non si indipendentisti, o meglio se non si appoggiano gli attuali partiti indipendentisti, c’è meno libertà di esprimere le proprie idee? Pochi giorni fa un dirigente della Generalitat la chiamò fascista per averlo criticato.
Quello del dirigente non è disprezzo, è semplicemente maleducazione. Però un dirigente, in Catalogna o Lapponia che sia, non può insultare su Twitter.
Si, c’è stata un po’ di paura: se ti posizionavi contro l’indipendenza o semplicemente avvisavi sui rischi -come è successo a me- passavi per “cattivo catalano”.
Hanno creato una gabbia mentale secondo la quale sembra che per essere un buon cittadino si debba essere indipendentista, vestirsi di giallo, tifare Barça, vedere TV3, ascoltare Terriba o Basté (opinionisti catalani), comprare i giornali “Ara” o “El Punt-Avui”. E che ti piacciano i calçots (una verdura tipica della zona) o i Castellers (tradizione che vede un insieme di persone costruire una torre umana).
I catalani che votano Ciuadanos, PSC (Partito Socialista di Catalogna) o altri partiti non indipendentisti, sono meno catalani degli altri? Com’è possibile che li si disprezzi quotidianamente come se fosse la cosa più normale del mondo?
Che li si disprezzi lo dice Lei, non io. Però torniamo al discorso di prima: non si possono distribuire patenti di buoni o cattivi. Cosa facciamo con i catalani che non vogliono l’indipendenza? Li mandiamo via? Li mettiamo in campi di concentramento? Questa situazione non può che portare a tensione nella società.
Il catalanismo moderato ed aperto ai patti esiste ancora? Se si, potrà portare qualcuno in Parlamento?
No, il processo ha indebolito i partiti catalani moderati. Uniò, i democristiani, non esistono più. Convergencia si è trasformata in PDECat, ma credo che la “rivolta dei sorrisi” -com’è detto il processo- lo indebolirà. Adesso c’è una guerra in JxCat, il partito di Puidgemont. E intanto ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), con il suo leader Junqueras in prigione e l’ex numero 2 Marta Rovira in Svizzera, ha un serio problema di leadership.
Io credo che, per recuperare questo spazio si debba ricominciare da 0. La via Trump o Macron. Qualcuno nuovo, con le idee chiare, capacità di comando ed uso dei social perché i comuni mezzi di comunicazione cercheranno di distruggere. Temo che i partiti che sono rimasti come Units per Avançar -la vecchia Uniò- o Lliures y Nova Convergencia -che vengono da CDC- non abbiano futuro.
Sono déjà vu, cose già viste.
È più un conflitto tra spagnoli e catalani, o più fra catalani?
Per gli indipendentisti è un conflitto tra Catalogna e Spagna: per quello parlano di un “solo popolo”. Però, numeri alla mani, è un conflitto anche tra catalani. Più della metà, per le ragioni più svariate -sentimentali, familiari, sociali o economiche- non vogliono smettere di essere spagnoli.
È possibile una riconciliazione?
Credo che sia molto difficile, hanno bruciato tutti i ponti, anche quelli emotivi. Ci sono due blocchi, l’indipendentista e l’unionista, impermeabili e senza punti d’incontro. Sa che nei corridoi del Parlament non si salutano neppure? Non era mai successo. Nei primi anni della Trasizione Santiago Carrillo, del partito comunista spagnolo, e Manuel Fraga, ex franchista, si salutavano nei corridoi del Congresso. Qui nemmeno si parlano.
Come si risolve questa situazione? Se è possibile…
Sono molto pessimista, non vedo soluzione. Probabilmente l’indipendentismo dovrebbe fare autocritica: apprendere dai propri errori e cambiare strategia. Ammettere che ci siamo giocati il tutto per tutto ed abbiamo perso. Fino a che non riconosceremo questo continueremo a dare testate contro la parete. Bisognerebbe voltare pagina, ma mentre Puidgemont reclama protagonismo sarà molto difficile.
Il problema è che la Catalogna è tornata a 40 anni fa. Adesso stiamo chiedendo le stesse cose che al principio della Transizione: il recupero delle instituzione, il rilascio degli incarcerati, il ritorno degli esiliati.
Infine, mi lasci dire che le ho raccontato le cose come stanno. Non tutte mi piacciono, ma noi giornalisti dobbiamo raccontare quel che vediamo, non quello che ci piacerebbe vedere. La Catalogna idillica che qualcuno sogna non esiste e non è mai esistita, nemmeno nell’Età Media.