Creare il pericolo, l’emergenza e inventarsi artificialmente il nemico da combattere sono tre elementi essenziali per capire la dinamica e il successo dei partiti politico-demagogici. Poi il resto viene da sé: premendo i giusti pulsanti sociali, il consenso attorno ad una precisa causa – l’immigrazione, ad esempio – ed il resto è una conseguenze. «Il popolo può essere sempre assoggettato al volere dei potenti. È facile. Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese.» Queste non sono le candide ammissioni di un leader populista di oggi, quanto le affermazioni attribuite a tal Hermann Göring, numero due del regime nazista, nel 1946 al processo di Norimberga. In quest’ottica, è sorprendente notare quanto attuali siano le tematiche in materia di costruzione del consenso per l’uomo forte, nonché della minaccia per raggiungere il consenso politico.
Angelo Panebianco (Corriere della Sera 19 novembre 2019) ha scritto che «molti elettori apprezzano chi fornisce loro un capro espiatorio […] Elettori che sommando insicurezza economica, disagio per gli accelerati cambiamenti del paesaggio culturale dovuti all’immigrazione […] rispondono entusiasticamente a chi offre loro politiche anti-migranti». Per il leader politico populista è essenziale incarnare in un popolo o in una determinata figura la (presunta) minaccia dell’invasore straniero che vuole attaccare lo Stato e i suoi cittadini: prenderne l’oro e sottometterlo ai sui biechi voleri. Un’immagine triviale? Non proprio: ancora oggi “l’esterno” che varca il confine nazionale è percepito da molti come minaccia alla sicurezza interna dello Stato che lo accoglie. Ed è su quest’aspetto che i politici demagoghi fondano i propri successi elettorali: il sentimento di paura (artificiale) legato all’arrivo “dell’altro”; in potenza, una minaccia.
Negli ultimi cinque-sei anni il tema dell’immigrazione è diventato uno spartiacque notevole nel discorso politico di molti paesi, europei e non. Per spiegarlo, Luca Ricolfi (Sinistra e popolo) adotta uno schema singolare e di facile comprensione; un framework semplificato, ma non distante da come (centro-)destra e (centro-)sinistra interpretano il fenomeno dell’immigrazione. «I conservatori aderiscono al paradigma del “padre severo”, i progressisti a quello del “genitore premuroso” […] Nel modello del padre severo l’autorità esiste, i figli obbediscono, gli errori si pagano, la madre è in secondo piano e svolge una funzione consolatoria. Nel modello del genitore premuroso non ci sono distinzioni di ruolo fra padre e madre, l’autorità si fonda sul dialogo e la persuasione, i figli sono educati alla responsabilità, la punizione è un’estrema ratio. Il primo modello può generale nell’autoritarismo, il secondo nel permissivismo.» Entrambe le posizioni sono estreme: e dunque non idonee alla conduzione dei fenomeni migratori che sia destra che sinistra (dicotomie politiche più vive che mai) si propongono di governare.
Sono tre i casi interessanti da osservare in merito alle strumentalizzazioni dell’immigrazione da parte dei demagogo-populisti; casi mai sufficientemente analizzati quando si parla dei flussi migratori.
Primo caso: meglio immigrati che rifugiati
Alcuni leader populisti dell’Europa Est sono selettivi nell’accoglienza dei migranti. Ancora deboli per via della tossica eredità post-Socialismo reale – nonostante i fondi europei di coesione e le politiche d’integrazione a più livelli –, come ha sottolineato Ivan Krastev (L’impero diviso), nell’Europa Centrorientale «la gente è molto più disposta ad accogliere immigrati piuttosto che rifugiati […] Con gli immigrati hai l’impressione di poter decidere tu quali far entrare e quali no: non senti un obbligo morale nei loro confronti […] Fra i migranti scegli quelli che vuoi, in base all’interesse nazionale e a quello economico […] La logica politica dice che si è molto più bendisposti ad aprirsi agli altri quando se ne può trarre una qualche utilità.»
Secondo caso: gli emigrati italiani
In diversi paesi dell’Europa dell’Ovest, più che un problema di immigrazione, c’è casomai un problema di integrazione ed emigrazione. Integrazione di coloro che arrivano dall’Africa attraverso il Mediterraneo da una parte; emigrazione dei giovani talenti, diretti verso il Nord Europa dall’altra. Dall’Italia, ad esempio, nel 2018 sono andati via circa centoventimila giovani: poco meno di tutti gli abitanti della Valle d’Aosta. Secondo una relazione della Banca d’Italia nel decennio 2007-2017 l’emigrazione giovanile è quintuplicata rispetto al 2008, mentre quella dei laureati è raddoppiata. Dunque, più che l’immigrazione, è quantomai l’emigrazione dei giovani che dovrebbe preoccupare.
Terzo caso: il doppiopesismo della politica
Il doppiopesismo in termini di immigrazione gestita da governi di destra e da quelli di sinistra: i primi ricevano grande attenzione mediatica; i secondi, di solito, non vengono mediaticamente stuzzicati sulla tematica. Sotto l’attuale amministrazione americana, nel 2018, sono stati arrestati 397.000 migranti senza permesso, contro la media di 413.000 dei governi di Barack Obama (che fece espellere oltre quattrocentomila clandestini all’anno) e l’1.6 milioni nel 2000 di quelli di Bill Clinton. Non risulta un’attenzione mediatica spasmodica nei confronti dei due ex presidenti democratici; e questo è certamente percepito dagli elettori, che – anche in virtù di tale doppiopesismo –, votano dunque per sterzate populiste in materia di immigrazione.
Molti partiti populisti sfruttano il tema dell’immigrazione per loro far lievitare i propri consensi elettorali. «I sovranisti», hanno scritto Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (Corriere della Sera 5 aprile 2020) «con la “scusa” dell’immigrazione (problema serio ma esagerato strategicamente) vogliono distruggere l’Unione Europea e sostituirla con tanti orticelli apparentemente sovrani ma in realtà alla mercé di Russia, Stati Uniti e Cina. Paesi […] piccoli finirebbero per combattersi fra loro in guerre commerciali, con tariffe, svalutazioni competitive, concorrenza fiscale. Un gioco a somma […] negativa che abbiamo già sperimentato negli anni Venti e Trenta». È dunque agli anni Venti e Trenta che i leader di ispirazione sovranista-populista (populismo di destra) vogliono tornare?
“Populismo” è fuga all’indietro: è “riconquistarsi” la certezza del confine nazionale. Nell’ottica populista – che vuole impedire il naturale flusso della libera circolazione (libertà fondamentale nelle società occidentali) – sotto accusa finiscono di botto le migrazioni in generale e l’intero processo di globalizzazione che aiuta a favorire i moti di persona. Il politico-agitatore populista, che sia di destra o di sinistra, è quasi sempre avverso al (libero) mercato e allo spontaneo spostamento di capitali e persone. Egli strumentalizza e detesta l’immigrazione perché – come spesso accade, da reazionario – nella sua ottica è proprio il concetto di movimento, di locomozione, di trasferimento ad essere un pericolo. Tutto ciò che si muove non è per definizione controllabile dall’autorità statale e centrale; e il populista (che sia di destra o di sinistra è sempre statalista) questo non lo può accettare. Dunque, nella sua ottica, gli “tocca” strumentalizzare il discorso dell’immigrazione.
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Bell’articolo. Visto che cita Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, ho recuperato ul libro degli stessi autori, colpito dalla prematura scomparsa di Alesina: GOOBBYE EUROPA, CRONACHE DI UN DECLINO ECONOMICO E POLITICO, pubblicato nel lontano 2006 da Rizzoli Osservatorio. Il tema dell’immigrazione e della società multietnica è molto approfondito, con delle previsioni sull’Europa che poi si sono verificate. E vi è un confronto tra la socìetà USA e quella europea.