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Esteri

Il Russiagate non è un giallo ma normale post-verità

Il Russiagate non è un giallo, dice Massimo D’Alema in una intervista, ma normale collaborazione tra alleati. Gli Usa e l’Italia.

In un Paese normale è irrilevante che nel giro di qualche settimana il plenipotenziario di Trump sul Russiagate, l’attorney general Barr, con il fido procuratore Duhram vengano in Italia per due volte a chiedere conto ai nostri servizi segreti sullo spygate.

Come pure è routine che nelle ultime ore passi da Roma il capo della Cia.

In un Paese normale è prevedibile che l’uomo al centro dello spygate – la inchiesta che la Casa Bianca porta avanti con il Dipartimento della Giustizia per capire se ci fu un complotto di Obama e dagli alleati europei con l’obiettivo di ‘mascariare’ Trump durante la campagna per le Presidenziali del 2016 – parliamo dell’ubiquo professor Mifsud, sia sparito dalla circolazione.

Normale che un “agente provocatore”, come lo ha definito Repubblica, sparisca dalla circolazione. Normale che il presidente del Consiglio Conte chieda di venire a riferire al Copasir sulla visita di Barr. Normale che Conte mantenga la delega ai servizi. Normale che le gerarchie delle nostra intelligence non si scompongano.

È la stampa, quella italiana e americana, che si agita. È Salvini che se ne esce dicendo Conte è finito, a gennaio il governo cadrà sul Russiagate. È Renzi che prima denuncia Papadopoulos, l’ex consigliere elettorale di Trump, poi smentisce di voler denunciare Trump, e infine riduce lo spygate a film comico di terza categoria, come ha detto intervistato dal Washington Post.

Che c’è di strano se la Link Campus University minaccia querele contro chiunque attenti alla sua onorabilità.

Normale che Trump aspetti il presidente della Repubblica Mattarella negli Usa e che magari, con la delicatezza proverbiale che tutti riconoscono al Don, scatti qualche domanda sul caso. Che c’entra se le domande andrebbero fatte ad altri e non a Mattarella. Siamo sempre nel quadro di una normale collaborazione tra alleati.

Siamo un Paese normale, è risaputo. Intanto la offensiva elettorale di Trump va avanti. In Italia, in Ucraina, in Australia.

La “verità alternativa” che la Casa Bianca sta costruendo per dimostrare che Mifsud non era un agente russo come denunciato a suo tempo dal silurato capo della Fbi Comey, ma un signore che ha cercato di incastrare Papadopoulos con la storia delle email compromettenti della Clinton per screditare Trump, si consolida.

Che male c’è se Papadopoulos è stato condannato per falsa testimonianza proprio sul Russiagate perché ha mentito alla FBI. Tutte cose che sapevamo già due anni fa ma che riemergono adesso puntuali con l’avvicinarsi delle scadenze elettorali Usa.

Che c’è di male in una verità alternativa. Che c’è di strano nelle post-verità. Non c’è mica da preoccuparsi se la artiglieria pesante trumpista, da Fox News a QAnon, passando da Russia Today a 4chan, si stia scatenando come non si vedeva più dai tempi del Pizzagate.

Insomma, ha ragione D’Alema: tutto va bene madama la marchesa. 

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