di Augusto Manzanal Ciancaglini (politologo)
Dopo il sangue versato a Parigi recentemente, dovremmo anche fare riferimento a termometri più realistici rispetto alla routine di ciò che accade socialmente lì e in molti altri luoghi; come l’esperimento fatto dal giornalista ebreo che ha camminato con una kippah durante ore per le strade della ferita capitale francese e ha ricevuto innumerevoli insulti e sputi dai viandanti musulmani.
L’Islam rimane in conflitto con quasi tutte le civiltà vicine, sia in Cecenia con i russi, in Xinjiang con i cinesi, a Gaza con gli ebrei, nel nord della Nigeria con i cristiani, o con gli indù del Kashmir, e d’altronde, si segue intrecciando con l’Occidente attraverso un tortuoso rapporto storico di colonizzazioni, migrazioni, guerre e attentati.
Ma al di là di questi indizi, che potrebbero dare ragione alla teoria dello scontro di civiltà di Huntington, è essenziale cercare di decostruire l’Islam, sia attraverso i suoi rami, come i gruppi etnici che li professano, fino a ogni individuo per iniziare a singolarizzarli e, infine, di essere in grado di vedere i visi limpidi dei protagonisti degli scontri più cruenti,quelli che si svolgono nella intimità della loro idiosincrasia, in cui le vittime e i carnefici sono dominati dal volto velato di un profeta che si decapita a se stesso ancora e ancora.
Il trauma del razzismo e dell’imperialismo deve essere superato per rovesciare l’intangibilità delle culture, che sono il risultato dell’azione umana, e oggi sono più frammischiate che mai, in modo che l’interferenza reciproca è inevitabile e l’attività è sempre più potente.
La disuguaglianza, gli interessi economici e le interferenze, sono condizioni necessarie della violenza che l’Occidente aiuta a generare, ma lungi dall’essere sufficienti per chiudere gli occhi e rilassarsi in una tolleranza ipocritamente comprensiva per la stranezza culturale.
La sostituzione della coercizione non può essere l’omissione, la responsabilità oggi è globale, senza attribuzioni etnocentriche, ma con la capacità di promuovere una dialettica, che senza aspirare a leviatani totalizzatori che attacchino le differenze, permettano minimamente sincronizzare i progetti umani in piani logici di coesistenza equilibrata.
Oggi è indispensabile cercare di intravedere ogni volto, sia esso quello di un profeta del VI secolo o una donna sottomessa del XXI secolo. Solo allora si potrà smascherare la sacra brutalità dei terroristi incappucciati e, infine, guardare la sembianza del libero.