In un articolo apparso domenica su Il Corriere della Sera, Fubini e Buccini hanno dato risalto nazionale all’iniziativa di Pino Aprile, tra gli ispiratori del “Movimento 24 Agosto”. Un Movimento che ha «(…) fini non ideologici, ma solo pratici: ottenere, per il Mezzogiorno, il rispetto della Costituzione, quindi quella equità nella distribuzione delle risorse pubbliche, nella realizzazione di grandi opere, nella dotazione di infrastrutture ferroviarie, stradali, di comunicazione in genere, nell’assistenza sanitaria e nell’istruzione, che ai “meridionali”, dall’Unità a oggi, è sempre stata negata.»
Fini non eversivi e pienamente legittimi, ci mancherebbe, ma conoscendo la storia ed i libri di Aprile, tra cui il successo editoriale “Terroni”, si può intuire quale sarà il leit motif della neonata iniziativa.
Pino Aprile è tra i sostenitori del cosiddetto “neo-borbonismo”. Un’ideologia che unisce tutti coloro che ritengono che l’Unità d’Italia sia stata compiuta ai danni del Mezzogiorno che, prima del 1861, sarebbe stato al pari – se non molto più avanzato – del Settentrione. Mi si perdoni la generalizzazione. In particolare andrebbe precisato che non tutti sono nostalgici dei Borbone, pur ritenendo un errore l’unificazione. Ma credo che la sintesi possa andare bene, nonostante ci siano varie sfaccettature all’interno di questo sentimento molto diffuso tra i meridionali.
Sgombro subito il campo: ritengo il neo-borbonismo negativo per gli stessi interessi del Sud, per svariate ragioni. Ma prima di dire il perché, non si può omettere di ricordare che un Movimento come quello di Pino Aprile non sarebbe probabilmente mai nato senza la campagna denigratoria e, a volte, persino razzista che alcune frange della fu Lega Nord hanno fomentato nell’ultimo trentennio. Così come sul finire dell’800, quando circolavano tesi pseudo-scientifiche di Cesare Lombroso e delle sue “fossette occipitali mediane” che, a suo dire, sarebbero state il motivo scientifico dell’arretratezza dei meridionali.
Ma torniamo alla dannosità del neo-borbonismo.
In primo luogo, molto spesso dà adito a vere e proprie mistificazioni storiche. A volte si legge o si ascolta di un Regno delle Due Sicilie in grado di competere con l’Inghilterra, come potenza industriale (Sic). Una narrazione da nostalgia di un’età dell’oro, mai esistita. Questa esaltazione della Borbonia felix impedisce il sano riconoscimento di alcuni meriti della stessa Casa Reale, rinvenibili soprattutto nel ‘700, ma anche i marchiani errori e l’anacronismo della stessa. Implosa più che sconfitta durante il Risorgimento. Ed impedisce altresì di analizzare seriamente gli sbagli commessi dal nuovo Regno d’Italia all’indomani dell’Unità quando, privi della regia di Cavour, i Savoia scelsero una linea di integrazione molto dura, a volte da Stato liberticida più che liberale. La stessa linea adottata innumerevoli volte dai Borbone (basti pensare alla restaurazione sanguinaria dopo l’esperienza della Repubblica Napoletana). Ma il fanatismo porta alcuni neoborbonici a descrivere i Savoia come Nazisti, i garibaldini come le SS. Senza scomodare gli storici, ci si chieda perché al Sud, appena 85 anni dopo l’Unità, al referendum del ’46 prevalsero nettamente i voti a favore della monarchia, nonostante l’asserito “genocidio” compiuto dai Savoia. Come se nel 2030 un candidato nazista vincesse le elezioni di Israele…
In secondo luogo, dà spazio alla “teoria risarcitoria”, che ha già pervaso gran parte della classe dirigente italiana nel ventesimo secolo. Una teoria che prevede un dovere di risarcimento nei confronti del Mezzogiorno per gli asseriti torti subiti dopo il 1861. A prescindere da quel che si pensi sia accaduto tra il 1861 ed il 1914, è una tesi dannosa per il Mezzogiorno, perché alimenta un vittimismo che giustifica l’inerzia.
Su questo secondo aspetto, calza bene il paragone – scovato anche da Fubini e Buccini – tra neoborbonici e sovranisti antieuropei. I primi identificano l’inizio dei problemi con il 1861, i secondi con l’adesione al progetto europeo e, in particolare, alla moneta unica. Ed ecco che il Regno d’Italia prima e l’Unione europea poi diventano la raffigurazione del nemico da incolpare, perché fonte di disagi e miseria. Piemontesi o tedeschi, le facce cattive degli invasori. E quando il nemico è identificato, le vere cause del declino vengono dimenticate. Restano i veleni, le accuse, il rifiuto di guardarsi al proprio interno per trovare la forza di cambiare, dal basso. Si perde anche la capacità di identificare adeguatamente le battaglie da portare avanti, a Roma o Bruxelles, perché troppo concentrati a chiedere “il risarcimento”, che significa spesa pubblica.
C’è una grande storia di meridionalismo liberale da recuperare. Da Giustino Fortunato a Benedetto Croce e, per i nostri tempi, il grandissimo lavoro del compianto Giuseppe Galasso. Come avevo scritto in questo pezzo, il Sud non ha bisogno di profeti, spesso revisionisti, che altro non sanno fare che chiedere soldi pubblici.
Twitter @frabruno88
3 comments
Sono un cittadino che ha lavorato una vita nelle aziende nel Nord Italia, in USA, Francia e Danimarca. Conosco il Sud solo da turista. Faccio questa premessa per confermare come non essendo ma i vissuto e non avendo lavorato nel Meridione, posso avere delle sensazioni sbagliate. Tuttavia mi domando:
1) Perché tutte le politiche per risollevare l’area sono fallite, compresa la Cassa del Mezzogiorno e la pioggia di incentivi e sussidi? Una risposta viene dallo studio MORIRE DI AIUTI, di Antonio Accetturo e Giodo De Blasio, con prefazione di Nicola Rossi, Editrice IBL – Istituto Bruno Leoni. Descrive l’inefficacia delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno.
2) Perché non si sono sfruttate le risorse naturali dell’area per sviluppare il turismo? Grecia e Spagna sono anche mete del turismo nordico. Abbiamo aree che possono essere sfruttate di più per un turismo ricco.
3) Perché in generale le regioni del Nord, siano esse amministrate dalla destra o dalla sinistra, sono meno costose e meglio amministrate di quelle del sud? Guardiamo solo alla sanità, òper arrivafrre alla scandalosa situazione della Regione Sicilia
Già Milano, p.es., amministrata dalla Moratti, da Pisapia o da Sala è unja città modello rispetto alla Roma, non solo della Raggi, oggi disastrosa, ma prima da Alemanno e non so se anche da Veltroni ec altri prima. Dalla raccolta rifiuti al loro trattamento, ai trasporti pubblici; un assenteismo nelle istituzioni pubbliche e nelle aziende partecipate assolutamente incomprensibile e inaccettabile. Tutto disastroso.
Infine, mafie, familismo accentuato, carenza d’infrastrutture, sono fattori che rendono poco attraente l’investimento del privato. Perché la Regione Sicilia spende e spande e poi per andare da Messina a Palermo occorrono tempi biblici?
E non trascurerei un problema di sicurezza. Sono stato in Puglia e la gente stessa m’invitava a non lasciare bagagli visibili in auto, per una sosta temporanea da turista per visitare una chiesa o altro, perché si rischia di essere derubati. In Grecia non succede, di regola.
Non sono un filoborbonico, ma mi domando in conclusione: perché estremizzare e forse deviare i problemi polemizzando sulla bontà o meno dell’unità d’Italia? E’ un fatto che Cavour non pensava se non ad espandere il Piemonte ad un’area più vasta simile dal punto di vista economico, la Lombardia, in un primo tempo. Napoli all’epoca delle conquiste napoleaoniche era la terza città europea.
Non cercherei responsabili esterni. L’Italia è una e non dev’essere messa in discxussione. L’Europa anche e se mai va migliorata. Ma come l’Italia manca di un progetto di sviluppo e, secondo i dati IMF, è arretrata in termini di PIL pro-capite negli ultimi 20 anni, a maggior ragione manca una visione prospettica del Meridione, quando, tra l’altro, il raddoppio del canale di Suez rivaluta l’interesse dell’area mediterranea, quando ancora molte navi preferiscono non approdare ai ns. porti ma andare a quelli nordici. Prechè?
Per sviluppare una regione occorre un progetto che mi pare manchi
Sono un cittadino del sud che per vari motivi specialmente lavorando in una multinazionale, ha vissuto esperienze lavorative al sud e al nord e mi domando come mai ancora oggi nella cultura italiana esiste tanta ignoranza (nel senso di ignorare profondamente tanta storia d’italia da quella preunitaria a quella attuale)? Eppure oltre a libri, non solo quelli di Pino Aprile, ma addirittura di grandi storici stranieri (Eric Hobsbawm per citarne solo uno) da ricerche del CNR e altre storiche, esortazioni e direttive europee stravolte dal governo centrale, ecc. si trovano le spiegazioni ampiamente dimostrate della situazione che è nata allora ma che perdura attualmente. Non si può restare ciechi tranne se non si è in malafede cosa che riscontro continuamente in tanti intellettuali, politici, ecc.
Invece di commentare il passato ha commentato il presente, vorrei solamente che si facesse luce su quanto è accaduto circa 160 orsono. Evidentemente se qualcuno non rende pubblici gli atti ha vergogna di farlo…!