In questi giorni si è provato insussistente anche l’argomento più ripetuto e banale a favore della permanenza della Grecia nell’euro a tutti i costi, e cioè il cosiddetto «effetto contagio» che secondo alcuni potrebbe provocare gravi problemi al resto d’Europa. Questa linea di pensiero, su cui Tsipras e Varoufakis hanno basato tutta la loro tattica nella trattativa e la loro retorica demagogica rivolta al popolo greco, non può più continuare a occupare il dibattito politico, visto che nonostante il referendum, la vittoria del No, l’ultimatum dell’Unione e la probabilità concreta di uscita della Grecia dall’Eurozona, la moneta comune e le borse sono rimaste stabili (questo perché l’economia europea non può essere danneggiata gravemente, e perché non reggono neanche le considerazioni geopolitiche, sostenute dagli USA). Al contrario è poi ironicamente uno dei paesi verso cui i vari Tsipras e Prodi nutrono i più profondi sentimenti d’amicizia, secondi solo naturalmente al grande amore per la Russia, a trovarsi immerso in una grave situazione finanziaria: la Cina.
Gli unici argomenti che restano ancora validi per la permanenza della Grecia nella zona euro, sono di natura politica e sentimentale. D’altra parte, però, sono nettamente più fondate e importanti le ragioni che indicano che il Grexit sarebbe benefico per l’UE. Economicamente esso comporterà la rimozione di una ferita aperta, e dunque il rafforzamento della stabilità monetaria a lungo termine, ma anche la fortificazione degli altri paesi rispetto ad attacchi speculativi, siccome non esisterà più il fattore psicologico principale che permetteva tali pressioni verso l’Eurozona. Il fatto poi che un membro dell’Eurozona abbandoni la moneta unica senza comportare per essa conseguenze particolarmente dannose sarà l’estrema dimostrazione di potenza da parte dell’Unione, la prova ultima che la stabilità delle istituzioni europee e dell’euro è perfettamente radicata e solida. Inoltre offrirà un precedente chiaro del fatto che chi non rispetta le regole comuni e agisce in modo ostile e irrispettoso nei confronti dei principi dell’Unione, può essere veramente espulso, senza nemmeno danneggiarla. L’Unione Europea è un tentativo unico nella storia dell’umanità. Solo difendendo fino in fondo i suoi principi senza paura e senza esitazione, potrà crescere la sua potenza e approfondire la coesione e l’armonia al suo interno, mentre al contrario, se chiunque può pensare di ottenere quello che vuole qualsiasi cosa faccia, il buon senso e la responsabilità diventeranno parole ignote. L’uscita di un paese a lungo inadempiente, che non segue gli accordi fatti neanche per salvare se stesso, e invece continua a procurare problemi agli altri paesi e a chieder loro soldi, sarà un grande passo avanti nel processo di integrazione europea, verso l’obiettivo di un’UE solida e capace di rispondere a qualsiasi sfida sul futuro.
E la Grecia? Si dice spesso in questi giorni che la Grecia non può smettere di far parte d’Europa. Ma chi dei critici del regime politico greco ha mai messo in questione questo fatto, e la prospettiva comunque europea della Grecia in futuro? Al contrario, il problema è che una grande parte della società europea, dopo due secoli di «filoellenismo» estremamente dannoso per la crescita culturale, politica ed economica della nazione greca moderna, continua a non voler finalmente lasciare il popolo greco tranquillo a pensare, a prendere coscienza di se stesso nel mondo, a riflettere su chi vuole essere e come ottenerlo. E invece, la Grecia moderna deve smettere di dover essere quello che le fantasie incomplete e i complessi nevrotici dell’Occidente vogliono che sia. Deve smettere di dover essere un luogo esotico che nutra le fantasie «eroiche» e «rivoluzionarie» di depressi romanticoni occidentali, i quali vedono in un povero popolo gli eredi diretti di Platone e Alessandro Magno, o un’opportunità di elemosina per i vari filantropi con sensi di colpa. L’Occidente deve finalmente permettere al popolo greco moderno di intraprendere il suo percorso verso la maturità, permettergli di guadagnare il suo posto fra le nazioni evolute e ricche, permettergli di ellenizzarsi veramente dopo più di 1500 anni di dominio ortodosso cristiano. Non esito a sostenere che il «filoellenismo» ha ostacolato l’ellenizzazione della nazione greca moderna, illudendola che essere erede della grandiosa antichità greca fosse una questione di discendenza etnica, vera o presunta, e non una grande conquista culturale, come è successo con il resto dell’Occidente. Sì, la Grecia sarà sempre Europa, e appunto perciò deve smettere di essere una viziata mammona che pensa che tutti gli altri debbono mantenerla solo perché casualmente discende (?) da una gloriosa nazione antica con cui non ha quasi alcuna affinità culturale, e invece diventare una vera nazione europea moderna.
C’è poi la comprensibile preoccupazione per la dura sorte che la popolazione greca dovrà affrontare nel caso di un Grexit, e naturalmente il pensiero per tutte quelle, molte, persone che non hanno nessuna colpa per quanto accaduto, avendo sempre lavorato, studiato e agito con responsabilità e serietà, sentendosi europei e rispettando i principi e i valori dell’Unione. Ma un nuovo memorandum, questa volta con il governo Tsipras, avrà sicuramente lo stesso se non peggiore peggiore esito dei due precedenti. Se i socialdemocratici e i conservatori greci si sono astenuti completamente dal realizzare le riforme necessarie, difendendo in extremis i privilegi dei loro clienti, non sarà certo a farle questo minestrone di sinistra radicale, sciovinismo, sovietismo, antisemitismo che si trova al potere, sostenuto da nazisti, leghisti, Lepen, e alleato di Putin. Syriza ha conquistato il potere promettendo proprio la difesa di questi privilegi e l’ulteriore espansione dello statalismo. Un accordo e un nuovo aiuto costoso decine di miliardi di euro verso la Grecia, non risulterà solo nel rischio di perdere ancora più soldi, ma porterà anche a fomentare ancora di più l’antieuropeismo in Grecia. Questo perché il popolo greco continuerà a riconoscere erroneamente l’UE e i memorandum come la causa dei suoi guai, discolpando, invece, la politica attuata dai suoi governi. Quest’ultima è sempre sostanzialmente la stessa: ostacolare la crescita produttiva e gli investimenti occidentali, usare gli aiuti europei per mantenere livelli di vita accettabili, e nello stesso momento accusare proprio l’Europa per la riduzione di questi. E tutto ciò mentre si rafforza costantemente la collaborazione con il regime russo e il suo coinvolgimento politico ed economico in Grecia.
Ormai, compiuta l’ultima operazione di purga massiccia del paese da capitali legati all’UE, effettuata negli ultimi giorni, è impossibile che si materializzi perfino il minimo investimento da parte occidentale in Grecia nei prossimi anni. Nessuno oserebbe investire sul serio in un paese tanto instabile, inattendibile, in profonda crisi economica, politica e sociale. Lo farebbe solo uno che sarebbe certo di avere il favore, anzi il controllo, del potere politico nel paese. Ma in quel caso la cosa migliore sarebbe aspettare finché questo potere non si rafforzi ulteriormente, ed egli stesso non appaia come l’unica alternativa per il paese.
Di conseguenza la fine del percorso sarà comunque la bancarotta e l’uscita della Grecia dall’euro, a meno che non si verifichi un ribaltamento politico radicale del regime russofilo in senso autenticamente europeista. Finché questo ribaltamento non accade, e non accadrà presto se il popolo greco non viene lasciato a capire chi è il suo vero nemico e la vera causa delle sue sventure, dobbiamo abbandonare l’idea che la Grecia possa salvarsi per via di programmi imposti dall’estero, e invece fare di tutto per fortificare l’UE. La questione è se l’uscita della Grecia dall’UE avverrà mentre non c’è un pericolo serio per l’Europa e rimane un forte filoeuropeismo all’interno della società greca, capace di contrattaccare e creare condizioni di cambiamento; o se sarà data l’opportunità al Cremlino di fomentare ancora confusione e divisione all’interno dell’UE, mantenendo immutata l’infinita crisi greca, con continui ritorni, continui colpi di scena, continue richieste di aiuto, accuse e summit di emergenza, e continui scontri all’interno dell’UE sul da fare. Sempre con l’aiuto di anime belle e sensibili amici dei popoli, che non capiscono niente di quello che sta veramente succedendo e accusano la vittima, cioè l’UE, come aggressore.
L’incredibile contraddizione che provo fra la mia opinione da scienziato politico occidentale, desideroso di vedere un’Europa più forte, e il pensiero addolorato per la sorte immediata del mio paese nel caso di Grexit, incluso il danno per me stesso e la mia famiglia, potrebbe forse essere d’ispirazione per un poema o romanzo malinconico. Ho cercato di superare questa contraddizione sperando e lottando per il Sì al referendum, pensando che in quel caso si sarebbe potuto ottenere un cambiamento radicale veloce di regime politico in Grecia. Ormai non esiste questa piuttosto irrealistica possibilità. Dovremo aspettare il giorno in cui un forte movimento veramente e profondamente europeista libererà la Grecia, e purtroppo, al punto in cui ci troviamo una permanenza estremamente problematica del paese nell’UE penso che non sarebbe d’aiuto a questo scopo.