Siamo così soliti considerare quest’epoca come la più avanzata in termini di diritti e libertà individuali che fatichiamo ad accettare l’idea di un recente passato complessivamente caratterizzato da meno regole. Durante il ‘900 la diffusione capillare di nuove tecnologie ha reso necessario l’avvento di adeguate normative a tutela della collettività, queste hanno prevenuto l’instaurarsi di uno sviluppo selvaggio e assicurato crescente benessere a larghissime fasce della popolazione. Tuttavia col passare del tempo il sovrapporsi di continue regolamentazioni ha veicolato l’idea di uno Stato che, in quanto responsabile della vita dei propri cittadini (di cui tutela attivamente il diritto), è sempre più spesso considerato valido sostituto alla capacità di auto-affermazione degli stessi e presenza ingombrante ma imprescindibile nel sancirne i bisogni e orientarne le priorità. Tra i nobili scopi esporre le persone al minor rischio possibile.
Secondo alcuni economisti, come Tyler Cowen, questo processo ha contribuito a generare individui meno propensi al rischio, meno capaci di innovazione e complessivamente meno felici.
“D’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano“: volendo riprendere il trend dantesco possiamo sottolineare che anche al poeta fiorentino fosse noto quanto un eccesso legislativo potesse portare a storture e aberrazioni del diritto. Purtroppo questa concezione, forse finanche fortificatasi nei secoli a venire, ha subìto una lenta ma inesorabile opera di smantellamento negli ultimi decenni. Oggi lo Stato è un Leviatano che attraverso le sue piovresche emanazioni amministrative regola minuziosamente moltissimi aspetti della vita dell’individuo, sostenuto dalla fame di leggi che la cittadinanza avverte e dall’ormai radicatissima predisposizione standard a risolvere qualsiasi problema tramite l’imposizione di una regola scritta. Oltre all’ovvia carenza di responsabilizzazione individuale, che diventa a sua volta causa dell’intervento legislativo innestando un circolo vizioso difficilissimo da rompere, diretta e ovvia conseguenza del “serve una legge” è il proliferare di normative continuamente in fase di collaudo, ora applicate, ora riformate, che talvolta cozzano le une con le altre finendo per lasciare, nella selva di disposizioni, ampissimo margine discrezionale ai tribunali subissati di confusi contenziosi dall’esito spesso imprevedibile, che fortificano l’idea di un mondo dove è meglio non correre troppi rischi.
In tutto questo chi ne fa le spese è primariamente la persona e secondariamente la società. “Stiamo lavorando più duramente che mai per evitare il cambiamento. Stiamo spostando di meno le residenze, sposando persone più simili a noi e scegliendo la nostra musica e i nostri compagni sulla base di algoritmi che ci isolano da tutto ciò che potrebbe essere troppo nuovo o troppo diverso” scrive Cowen nel suo saggio The Complacent Class, sottolineando come la riduzione della predisposizione al rischio si accompagni ad un’inevitabile flessione delle capacità di adattamento, crescita e innovazione.
In parallelo questo ragionamento può essere applicato anche nelle grandi aziende, dove regolamentazioni e policy invasive castrano l’impegno dei dipendenti più talentuosi. “Rules Take Away Choices” scrive qualcuno su Forbes, arrivando in breve al succo della questione: un pacchetto di imposizioni, anche quando redatto con le migliori intenzioni, allontana chi le subisce da chi le emana, sia questo il CDA o un’istituzione, perché deresponsabilizzando il singolo e imbrigliandolo in un sistema sempre più chiuso ridimensiona il suo coinvolgimento attivo nella società.
Non esiste soluzione rapida e, soprattutto, indolore, per conferire nuovamente agli individui il diritto a rischiare e a commettere errori. L’attecchimento di una mentalità poco incline al rischio è a sua volta frutto di una sovrastima del rischio stesso e spesso anche di una sottostima delle proprie capacità di adattamento. In questo processo sicuramente gioca un ruolo la scarsa fiducia nel futuro, che ha trovato terreno fertile tra generazioni poco religiose ma ancora incapaci di abbracciare un valido sostituto alla fede.
Qualcosa però si muove e, anche in Italia, c’è chi già sceglie di rinunciare alle classiche garanzie in favore di una quotidianità con meno regole e più opportunità, non solo economiche. Che sia l’inizio dell’hard-change paventato da Cowen?
2 comments
Eh sì, e direi che è il motivo per cui il “comunismo” con tutte le sue regole ha portato arretratezza e povertà, mentre il capitalismo ossia libertà sfrenata porta innovazione.
Ma io cmq vincerò ;) #cancrocarabbinieri
Se non parlate dei miei carabinieri di merda entro 2 settimane, vi ammazzo tutti.