Sandro Veronesi, fiorentino classe ’59, torna a vincere il Premio Strega con Il Colibrì, pubblicato dalla casa editrice La Nave di Teseo. Una volta ancora, dopo Caos Calmo nel 2006.
Da allora non avevo letto altri libri di Veronesi e questo mi ha dato modo di rilevare che il suo stile è maturato, raggiungendo una sua particolare riconoscibilità ed eleganza.
Il Colibrì è la storia di Marco, la cui vita ha in serbo una serie di sorprese improbabili, coincidenze spesso incredibili quanto amare, che si intrecciano dagli anni ’70 ai giorni nostri e anche qualcosa di più (i fatti narrati si spingono fino al 2030).
Il Colibrì è un uccello esile, famoso per la sua grazia ed eleganza. Sembra librarsi in aria ma in realtà quella stasi, delicata e splendida, è frutto di un irrefrenabile battito d’ali e di una lotta continua con l’aria, suo stesso elemento.
L’ immagine è quella di una creatura capace di prodezze mozzafiato, al prezzo della sfida costante con il senso stesso della vita intera.
Nei capitoli conclusivi del libro Veronesi cerca di trovare un senso a tutto ciò che succede a Marco. Questa giustificazione sembra lenire ogni tipo di dolore, condonare ogni nefandezza subita da una esistenza complessa, ma lo fa costruendo una perfezione che sa di artificiale e che stride con l’imperfezione, filo rosso degli eventi narrati.
Vi è una dualità aggressiva tra la quintessenza e raffinatezza del finale e i difetti e le carenze dell’intera vita di Marco. Il tentativo di trovare un perché sufficientemente volitivo alle ingiustizie della condizione umana offusca proprio la bellezza, nella caducità, dell’essere umano stesso.
Tuttavia finendo di leggere le ultime pagine ho avuto la netta sensazione che il romanzo di Sandro Veronesi sia il libro giusto per rappresentare questo 2020. Siamo stati e siamo ancora un po’ tutti dei colibrì in un anno così tragico, intenso, provante. L’ augurio quindi è che la realtà e non sono la finzione di un romanzo, per una volta, ci riserbi un finale che possa dare un senso al passato.
Non è forse la funzione suprema della letteratura quella di farci sognare?