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Esteri

Il Cile, le ingiustizie sociali e quella voglia di non arrendersi mai

Scorrendo i giornali si legge che in Cile le ingiustizie sociali hanno scatenato proteste e un’aperta ribellione contro il Governo Pinera. Arresti, morti, “riot” con autobus dati alle fiamme.

Eppure il Cile di oggi è un Paese moderno, con una classe media produttiva e un sistema industriale strutturato rispetto alla media dell’America Latina.

Una nazione che sembra essersi lasciata alle spalle i tempi bui della dittatura di Pinochet. Ma come in altri Paesi, Italia compresa, nelle pieghe della società germina il malcontento.

I servizi costano, la inflazione rode i salari, “la scuola va migliorata” dice Isabel Allende.

Cosi è bastata una miccia, l’aumento del prezzo della metropolitana, per far saltare la polveriera. Può accadere ovunque. In Francia con i gilet gialli, in Spagna, Hong Kong, Libano.

Ovunque le tensioni politiche, economiche e sociali possono scatenare la rivolta. Ti alzi la mattina e vai a fare colazione e ti ritrovi nel bel mezzo di una guerra civile.

Dappertutto ci sono persone frustrate per la loro condizione esistenziale, per il costo della vita, ma poi a ribellarsi non sono milioni ma piccoli gruppi che scatenano caos e devastazione.

Gli innocenti muoiono. Scuole e supermercati chiudono. Spuntano carri armati e forze speciali nelle strade.

In Italia potrebbe accadere quello che stiamo vedendo in Cile? Viene in mente il saggio di Luca Ricolfi sulla “società signorile di massa” edito da La nave di Teseo.

Nel nostro Paese abbiamo un sistema scolastico e universitario allo sbando, non vogliamo più fare lavori manuali e così appaltiamo ai migranti badanti e quel che resta delle catene di montaggio.

La ricchezza aumenta ma i redditi no, i consumi aumentano ma anche i debiti e la povertà.

Signori e schiavi, ricchi e poveri, garantiti e non garantiti, la solita storia da qualche secolo a questa parte.

La rabbia cresce, hai studiato tanto, hai preso anche la lode ma non trovi il lavoro dei tuoi sogni.

Beh, il fatto è che le garanzie sono finite. La realtà è che non ci sono abbastanza posti qualificati per chi ha studiato per fare un lavoro qualificato. Se hai i soldi vai nella casa di cura privata, se non ce li hai è un terno al lotto.

Il problema è che davanti alle ingiustizie sociali puoi fare due cose.

La prima è chiederti in modo razionale perché ci sono quelle ingiustizie sociali. Perché hai studiato tanto e ora non hai quello che desideravi.

E allora puoi studiare ancora, fare corsi professionali, darti da fare, puoi imparare a fare il barista oltre a studiare Hegel e ingegneria aerospaziale.

Insomma puoi provare a migliorare la tua condizione materiale. E uno Stato che si rispetti dovrebbe premiare chi si dà da fare.

Questo dovrebbe essere l’ascensore sociale. Premiare chi rischia, chi mette su famiglia e fa dei figli, chi non si arrende.

Tanto più che in una economia di mercato che si rispetti, chi rischia, scommette ed è bravo (e anche un po’ fortunato), almeno in teoria, può uscire dalla povertà e migliorare la sua condizione sociale.

Ma c’è un altro modo di affrontare le cose. Non risolverle. Lamentarsi. Andare per strada a bruciare cassonetti, perché il mondo è cattivo, gli altri hanno la rendita e tu no.

Così ti senti moralmente legittimato a fare un selfie davanti a un cassonetto in fiamme per far vedere ai tuoi amici quanto sei fico come rivoluzionario.

Non muovi un dito e aspetti che sia qualcun altro, magari lo Stato, a muoverlo per te. Vedi stipendio a chi non lavora ovvero reddito di cittadinanza. Sussidio di disoccupazione all’infinito. Vedi un po’ tu.

Ma di nuovo, le garanzie sono finite. Se vogliamo iscriverci in palestra dobbiamo prima guadagnarci i soldi per la palestra, perché se no in palestra continueranno ad andarci quelli che possono permettersela.

Quindi il messaggio è: diamoci da fare, prepariamoci a fare anche i lavori più umili, quei lavori che “gli italiani non fanno più”, perché se no, come dice Ricolfi, dalla stagnazione passeremo al declino.

Che poi, a pensarci bene, forse il declino c’è già. Declino culturale ancora prima che economico. Incapacità di comprendere la realtà e di fare scelte politiche di conseguenza. Sdoganamento dell’incapacità e del razzismo assurti a valori. Diamoci da fare. Non deve finire per forza come in Cile in queste ore. Dai.

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