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Il breve passo dal libertarismo al complottismo: chi è Javier Milei e a chi si ispira

Cosa propone Javier Milei, il vincitore delle primarie argentine? Una retrospettiva sul lato oscuro del libertarismo, tra libertà e negazionismo.

In questi giorni Javier Milei, politico ed economista argentino, ha preso il 30%, con 6,8 milioni di voti (candidato più votato alle primarie) alle elezioni PASO in Argentina, un’elezione interlocutoria per scegliere i candidati di coalizione che precede di qualche mese le presidenziali, per cui è ora fortemente quotato e concorrerà.

Sempre in questi giorni, chi più chi meno tra le realtà di ispirazione liberale o libertaria si sta lanciando in panegirici che tessono le lodi di questo politico definito “ultraliberista”: il motivo degli elogi, in parte comprensibili, risiede nel tanto agognato cambio di rotta del paese latino, che passa da anni di peronismo a una prospettiva di maggiore libertà individuale.

Tuttavia non è tutto oro ciò che luccica e anche il rame e il ferro possono luccicare, se esposti alla giusta illuminazione. Bene, Javier Milei non solo non è affatto oro, ma è il grande abbaglio che il mondo libertario non vuole cogliere, preferendo annoverare solo ciò che conviene e sorvolando su aspetti che rendono questo politico sicuramente di ideologia affine, ma anche molto problematico.

Non quell’estrema destra

Iniziamo con un mito da sfatare. Per spezzare forse l’unica lancia in favore di Milei c’è da dire che è definito da più parti “di estrema destra”, ma quest’etichetta non deve trarre in inganno. È naturale che in un Paese come il nostro, che non vuole scollarsi da un bipolarismo assolutamente obsoleto e inadeguato, non si riesca a ragionare se non come destra, sinistra e loro estremi. Tuttavia, la denominazione estrema destra (usata già in passato con accezioni differenti) rinvia nel caso italiano a correnti e forze politiche molto poco libertarie e tutt’ora è appioppata a soggetti di ispirazione tradizionalista, reazionaria, conservatrice e post-fascista.

Milei, invece, è di tutt’altra pasta: se vogliamo (e non vogliamo) accordare quest’etichetta, allora la sua estrema destra è differente. Divenuto celebre grazie a talk show televisivi, nel 2021 Milei ha lasciato il settore privato ed è entrato nel Congresso e si definisce anarco-capitalista, anche se nel compromesso del pragmatismo politico si concede a un più concreto minarchismo.

Liberista e populista di destra autodefinitosi di Scuola Austriaca (i suoi riferimenti comprendono von Hayek, von Mises e soprattutto il discutibile Rothbard, che proponeva il ricongiungimento tra libertarismo e populismo di destra), la sua coalizione La Libertad Avanza si è appropriata della bandiera dei rivoluzionari americani e riunisce diversi partiti di indirizzo libertario radicale, promettendo di porre fine all’era del peronismo difesa dal suo avversario Sergio Massa del partito Unión por la Patria (di orientamento peronista-kirchnerista). Il suo principale concorrente elettorale è però il partito Juntos por el Cambio di Patricia Bullrich, descritto come “liberale-peronista” (nessuno sa cosa voglia dire questa etichetta, ma probabilmente è in continuità con le politiche generalmente socialistoidi degli ultimi decenni).

Milei ha posizioni molto decise sul ruolo dello Stato e dell’economia di mercato: intende infatti liberalizzare le droghe, l’immigrazione e il matrimonio civile per tutti (compresi gli omosessuali), eliminare la scuola dell’obbligo e l’assistenza sanitaria gratuita, deregolamentare il possesso di armi da fuoco (al cui porto è favorevolissimo) e abolire la Banca Centrale, riducendo infine lo Stato a pochi ministeri essenziali (coerentemente con una ricetta minarchista).

Perlomeno, nella sua invezione contro i politici (definiti dei ladri che col loro stipendio sottraggono soldi alla popolazione attraverso la tassazione, cioè un prelievo forzato, non negoziabile e non consensuale), ha avuto la coerenza di tagliarsi lo stipendio, mantenendo la promessa fatta in campagna elettorale di non percepire entrate come membro del Congresso, ma di restituirle ai contribuenti organizzando una lotteria.

Il lato oscuro del libertarismo, tra libertà e negazionismo

Al netto di un programma tutto sommato interessante e con una visione quantomeno chiara, condivisibile o meno, qualcosa piuttosto rilevante sfugge nel cherry picking di blog, testate e pagine politicamente posizionate come Milei. E non si tratta solo di affinità ideologica, ma di una distorsione ricorrente del libertarismo contemporaneo che in questo personaggio si fa prova scientifica.

Tanto per cominciare, Milei è un simpatizzante di Donald Trump e Jair Bolsonaro e ha sottoscritto la Carta di Madrid, il patto anticomunista delle destre latinoamericane sostenuto e promosso da Vox, il partito spagnolo, quello sì, veramente tanto di estrema destra, quella vera. Come se non bastasse, su diversi punti ideologici c’è accordo tra Milei e il leader di Vox Santiago Abascal, come la lotta contro il diritto all’aborto, contro il globalismo (cosa che onestamente non si spiega, essendo Milei profondamente liberista), contro l'”ideologia gender” e contro il movimento (o meglio la “lobby”) LGBTQIA+ (pur essendo favorevole almeno ad alcuni diritti civili, come visto).

La vicinanza dei libertari di destra a realtà politiche di ben altra ispirazione, reazionaria, tradizionalista e spesso paleoconservatrice, è purtroppo un tratto tipicissimo di questa corrente politica: l’esempio più evidente è proprio Rothbard, che da paladino della libertà individuale attraversò quella brutta fase populista in cui, abbandonato il Partito Libertario nel 1989, si alleò con il paleoconservatore Pat Buchanan nel 1992, maturando un pensiero securitario, militarista e disumano (incredibilmente all’interno di una base libertaria e paleolibertaria).

In quella fase, giudicò positivamente l’ascesa dell’ex leader del Ku Klux Klan in Louisiana, il nazionalista bianco e antisemita David Duke (che considerava anti-elitario), propose l’eliminazione dei vagabondi e dei clochard dalle strade (ritenendoli privilegiati dal welfare e membri improduttivi), un programma contro la criminalità con il potenziamento dei poteri della polizia (fino a consentire la giustizia sommaria), l’eliminazione delle quote razziali, un nazionalismo isolazionista, il sostegno ai valori tradizionali della famiglia, l’avversione ai diritti civili, la possibilità di introdurre la religione nelle scuole (appoggiandosi alla dottrina sociale della Chiesa) e l’attacco alle banche: come scriveva in “Populismo di destra” (1992), «Riappropriarsi delle strade: schiacciare i criminali. E relativamente a questo non intendo, ovviamente, “la criminalità dei colletti bianchi” o di coloro che praticano l’insider trading, ma quella violenta da strada – ladri, scippatori, stupratori, assassini. I poliziotti non dovrebbero essere vincolati e dovrebbe esser loro consentita la punizione istantanea dei colpevoli, essendo naturalmente responsabili se sbagliano.»

Ma tornando al potenziale futuro presidente argentino, qualche punto della nostrana estrema destra in effetti c’è (oltre all’antiabortismo): Milei infatti non sostiene solo il populismo di destra, ma crede che le élite siano l’espressione del “marxismo culturale“. Nel caso ve la foste persa, si tratta di una teoria del complotto antisemita creata a tavolino dall’americano William Lind e confluita nel manifesto dello stragista norvegese Brevik.

Come ciliegina sulla torta, Milei è infine un negazionista del cambiamento climatico, che ritiene «un’invenzione del socialismo», e la sua vice Victoria Villruel nega incredibilmente i crimini della dittatura militare argentina (altro punto contraddittorio rispetto alle posizioni libertarie di cui si fa portavoce Milei).

Il profilo ideologico di questo personaggio, tra alti e bassi (soprattutto bassi), purtroppo non fa che riconfermare una tendenza osservata soprattutto negli ultimi anni in chi, dalla destra più spinta, vende come idee di libertà tesi e posizioni ampiamente complottiste e negazioniste: basti vedere la deriva presa da intellettuali, politici e attivisti di area libertaria (sia di destra che di sinistra) su temi come la pandemia da Covid-19, il vaccino anti-Covid, il Green Pass, la guerra russo-ucraina e numerose altre circostanze.

Sembra quasi che, a furia di convincersi di una narrazione ideologicamente e assolutamente anti-Stato più volte reiterata, si finisca in un vortice di esasperato giustificazionismo per tenere insieme la dicotomia Stato cattivo/mercato buono, senza sfumature e senza complessità. Nel suo “Trattato di sociologia generale“, l’economista e sociologo Vilfredo Pareto sostiene che gli uomini tendano ad autoingannarsi e che abbiano «una tendenza spiccatissima a dare una vernice logica alle proprie azioni», ossia a produrre giustificazioni pseudorazionali per i loro comportamenti che Pareto chiama derivazioni. Una derivazione è dunque un sistema di rappresentazioni mentali – un’ideologia, una religione, un programma politico – che occulta gli impulsi fondamentali, maschera i veri motivi dell’azione e propone una legittimazione del comportamento come se questo fosse logico e sensato, senza in realtà esserlo.

La brutta china, nei casi più estremi, arriva a contestare innovazioni come la tecnologia 5G e caldeggiare teorie cospirazioniste come quelle di QAnon e dell’Alt-Right americana, sempre a cavallo tra un libertarismo deviato e un reazionarismo moralista. Stessa cosa che accade, seppur all’inverso, all’estrema sinistra, la quale finisce per supportare teorie del complotto legate al potere economico e al capitalismo finanziario solo perché ideologicamente contro l’economia di mercato e finendo addirittura per prestare il fianco o sostenere criminali come Putin.

La ricerca illimitata di libertà individuali ed emancipazione dal potere politico pare portare i libertari a negare persino le prove scientifche e i metodi della scienza, spesso in contrasto con la loro ideologia o percepiti come coercitivi rispetto a delle verità che gli individui dovrebbero, secondo loro, essere liberi di rigettare. Ma il pensiero non cambia la realtà e l’idea per cui la scienza sia opinabile davanti alle nostre preferenze è il fenomeno della post-verità, nel più ampio spettro delle teorie postmoderniste e costruttiviste.

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