Quando, come in questi giorni, si sente parlare di guerra di civiltà, chiunque abbia anche solo un minimo di dimestichezza con la storia, non può che pensare al confronto millenario tra Occidente e Oriente, intesi come le categorie metastoriche della libertà contrapposta al dispotismo, dell’individualismo contrapposto al comunitarismo, della coscienza personale contrapposta alla teocrazia. Si tratta in realtà, più che di uno scontro militare tra due soggetti politici, di un’eterna lotta interna allo spirito umano, nel corso della quale l’ansia di libertà e la lusinga della sottomissione si sono contese le coscienze sin dal mattino in cui il mercante ateniese s’imbarcò su una trireme per difendere la propria città-stato dall’esercito del re di Persia.
Ora, in risposta all’ultima aggressione subita dall’Europa, quella lanciata dal fondamentalismo islamico, una parte consistente dell’establishment politico continentale, accusando il liberalismo, il secolarismo e il consumismo di aver svuotato l’anima dell’Occidente, indica insistentemente come unica possibile autodifesa culturale l’identitarismo, consustanziato, più ancora che nei nazionalismi, nelle fantomatiche “radici cristiane”. Questo filone di pensiero, che ha attecchito ormai stabilmente nella destra socialista europea, nella Lega, in Pegida e – con accenti leggermente diversi – nel FN, persegue la propria campagna di rinfocolamento del sentimento religioso anche alimentando autentiche cacce alle streghe basate su notizie distorte o manipolate, come recentemente accaduto in Italia. Tuttavia la “ricristianizzazione” dell’Europa in chiave anti-islamista è una via non percorribile per tre ragioni.
La prima è che, sebbene al cristianesimo – al netto delle contraddizioni storiche – si possano ascrivere, o per convinzione o per esigenze dialettiche, alcuni dei nostri valori cardine, quale l’intangibilità dell’essere umano (“amerai il prossimo tuo come te stesso”) e lo scetticismo etico (“non giudicate per non essere giudicati”); il patrimonio genetico della civiltà occidentale annovera anche altri elementi decisivi per il suo successo, quali gli spiriti animali del capitalismo, l’attrazione per il sapere scientifico, il pionierismo, tutte istanze solo forzatamente riconducibili al cristianesimo e infatti poco care alla destra identitaria.
La seconda è che, come già rilevava Nietzsche parlando con rude franchezza di religione femminea e religione virile, il cristianesimo in quanto tale, nel corpo a corpo contro l’islam, è e sarà sempre perdente, essendo la vocazione al martirio del tutto impotente all’impatto con la forza d’urto della jiahd: non è certo un caso che i giovani più disadattati, anche tra gli Europei, adunino la loro follia devastatrice attorno ai vessilli neri di Al Baghdadi, non intorno alla croce. Alla prova dei fatti, l’età dell’oro del cristianesimo medievale, quella dei Pipinidi e dei massimi fasti della corte di Bisanzio, coincide con la tumultuosa espansione araba e con la sottrazione all’Occidente di Alessandria d’Egitto, di tutto il Nord Africa di Sant’Agostino e persino dell’Anatolia orientale e della Siria, incubatrici storiche della nostra religione. Analogamente il secolo della controriforma cattolica e dell’intransigente dogmatismo protestante degli epigoni di Lutero e di Calvino fu il medesimo che al suo epilogo vide gli Ottomani cingere d’assedio Vienna allo scopo di farne la capitale di un sultanato nell’Europa centrale. Viceversa l’apogeo del primato materiale dell’Occidente sul globo e sul mondo musulmano si concretizzò proprio nell’era dei lumi e più ancora in quella del positivismo scientista e materialista, che invece nella mitologia ufficiale della destra identitaria rappresentano il culmine del rinnegamento del cristianesimo.
La terza e più cogente ragione è che, se davvero Cristo ci ha insegnato a mettere in discussione la tradizione, a separare la fede dalla legge e a sottoporre ad esame critico la nostra coscienza; allora fare dei nostri costumi dei feticci, assorbire la morale religiosa nella legislazione statale e pretendere di creare una “repubblica dei giusti”, significherebbe non certo tornare alle origini del cristianesimo, bensì convertirci noi stessi all’islam (!), ovvero approdare a quell’assoggettamento della persona ad un io etico collettivo, che dell’Occidente e dello stesso cristianesimo è la più radicale antitesi.
Tutto questo non significa ovviamente che non occorra combattere il fondamentalismo islamico anche con estrema durezza sul fronte della politica estera, della sicurezza e dell’immigrazione – non è questo il tema dell’articolo; significa semplicemente che le insegne vittoriose che hanno fatto trionfare dovunque l’uomo occidentale sono quelle della libertà personale, dell’uguaglianza giuridica e politica, dell’intangibilità della persona e del suo inalienabile diritto a pensare, a sentire e a possedere individualmente, che procedono tutte razionalmente dal principio della sacralità dell’essere umano. Il fondamentalismo islamico quindi deve essere combattuto senza esitazioni fuori dai nostri confini e annientato senza pietà all’interno di essi, non in quanto portatore di tradizioni diverse, ma solo per quella sua specifica pretesa di subordinare la legge alla fede in un certo dio (teocrazia), che mina le basi del nostro ordinamento democratico fondato sull’immanenza dell’autorità e della podestà politica all’uomo-cittadino. Viceversa, e mi pare scontato, nessun problema si pone nei confronti dei musulmani che scelgano e sceglieranno di obbedire al proprio dio nel foro interiore e di esercitare i propri culti senza arrecare danno ad altri.
Dunque, se per debellare le forze antidemocratiche sul fronte interno abbiamo davvero bisogno di un “credo”, esso non potrà che consistere nel culto dell’essere umano e nel riconoscimento della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali che, attraverso una secolare lotta per la sopravvivenza, a noi hanno guadagnato un livello di prosperità e di effettiva libertà esistenziale senza precedenti. E se gli stati-nazione hanno esaurito il loro ruolo di luogo privilegiato della vita politica, come già riconosceva quarant’anni fa un grande intellettuale della destra conservatrice quale Adriano Romualdi, l’habitat della nostra democrazia andrà esteso ad un orizzonte europeo – con la difesa ad oltranza della libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi, dei capitali e delle idee, quale spazio vitale indispensabile alla piena espressione delle potenzialità di ciascuno – piuttosto che segmentato a illusoria protezione di fantomatiche identità collettive. Deve quindi essere respinto senza riserve il mito autarchico-comunitarista della Terza Roma, ispirato alla Russia di Putin: un modello regressivo e fallimentare in termini economici, democratici e nella stessa difesa del cristianesimo, vista la condizione dei cattolici in Crimea e vista soprattutto l’inarrestabile islamizzazione del Paese. In vero questa destra socialista, che pretende di organizzare ossimoricamente la libertà in subordine alla collettività, deve essere considerata una maschera suadente della medesima sovversione del primato dell’individuo espressa ferocemente dall’integralismo islamico; nello stesso modo in cui, nell’immaginario biblico-apocalittico caro ai tradizionalisti, la Bestia della Terra o falso profeta non fa che servire la Bestia del Mare.
Pertanto, a quanti, con la scusa della comune lotta al fondamentalismo islamico, suggeriscono alle forze liberal-democratiche pretestuosi avvicinamenti tattici al fronte cristiano-nazionale-socialista in patria o nel mondo, visto che si parla di guerra tra Occidente e Oriente, risponderemmo volentieri, riecheggiando l’immortale replica di Achille ad Ettore, che “come non ci sono accordi e patti tra i leoni e gli uomini o tra i lupi e gli agnelli, che sono per natura nemici giurati gli uni degli altri”, così non potrà mai esserci alcuna alleanza tra noi e i negatori della libertà individuale.