Dopo diversi giorni di attesa, Draghi è salito al Colle per sciogliere la riserva e presentare la rosa di ministri che comporranno il nuovo governo. Essendo la maggioranza larghissima, siamo certi che i nomi sentiti ieri ci accompagneranno per almeno un anno…anche quelli che hanno lasciato un po’ tutti sotto shock. Il giudizio sulla squadra è necessariamente articolato, questa volta è impossibile essere netti.
La squadra: tra conferme, sorprese e novità
Ciò che salta immediatamente all’occhio è il ridimensionamento numerico dei grillini. Rispetto al Conte II infatti, oltre al sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio, hanno perso Giustizia, Sviluppo Economico, Lavoro, Istruzione, Pubblica Amministrazione e Innovazione tecnologica. Confermati Luigi Di Maio agli Affari Esteri e Federico D’Incà ai Rapporti con il Parlamento. Stefano Patuanelli passa dal Mise all’Agricoltura e Fabiana Dadone lascia la Pubblica Amministrazione per approdare al ministero delle Politiche Giovanili, probabilmente con la delega allo sport.
Il PD vede confermati Lorenzo Guerini alla Difesa e Dario Franceschini ai Beni culturali, pur senza la delega al turismo. In entrata anche Andrea Orlando al Ministero del Lavoro. Vengono persi rispetto al precedente governo diversi ministeri, tutti gestiti decisamente male: Economia, Affari Europei, Affari Regionali, Infrastrutture, Sud. Per Liberi e Uguali confermato Roberto Speranza alla Salute. Oltre ad aver perso l’Agricoltura, anche per Italia Viva c’è una conferma: Elena Bonetti rimane al Ministero delle Pari Opportunità e della Famiglia.
Forza Italia può vantare ben tre ministeri: il ritorno di Renato Brunetta alla PA, Mariastella Gelmini agli Affari Regionali e Mara Carfagna al Sud. Stesso destino per la Lega, che avrà in prima linea Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo Economico, Massimo Garavaglia al turismo e Erika Stefani alla Disabilità.
La squadra di tecnici si prospetta di alto, forse altissimo livello. Marta Cartabia, ex Presidente della Consulta, sarà il nuovo Ministro della Giustizia: si prevede un cambio di passo. All’Innovazione tecnologica e transizione digitale ci sarà Vittorio Colao, ex AD di Vodafone, mentre è confermata Luciana Lamorgese agli Interni. L’economista Patrizio Bianchi, che piacerà a Renzi, sarà titolare dell’Istruzione, mentre Enrico Giovannini, anch’egli economista, sarà alle Infrastrutture. Cristina Messa, ex rettrice dell’Università Bicocca di Milano ed ex vicepresidente del Cnr, sarà il nuovo ministro dell’Università e della Ricerca. Menzione d’onore per Roberto Cingolani alla guida del Ministero della Transizione Ecologica, che assumerà le competenze dell’ex Ministero dell’ambiente la delega all’energia e presiederà il comitato interministeriale per il Recovery Plan. Chiudono la lista l’austero e precisissimo Daniele Franco al Ministero dell’Economia e delle Finanze, e Roberto Garofoli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Qualche numero e qualche considerazione
I ministri con portafoglio sono 14, di cui 7 tecnici e 7 politici, quelli senza portafoglio sono 9, di cui un solo tecnico. Il governo si configura effettivamente come tecnico-politico. Draghi ha palesemente deciso di evitare l’errore di Monti: dare una cospicua rappresentanza ai partiti, oltre a garantire un ampio sostegno parlamentare, è un tentativo di responsabilizzarli e di evitare che si scordino in fretta di aver contribuito a costruire il governo stesso. Ad ogni modo i ministeri più importanti sono stati affidati ai tecnici, quelli in cui verrà investito poco o nulla sono stati affidati ai politici.
Le ministre sono solo 8, di cui tre tecnici, due di Forza Italia e una per M5S e Lega. La (ex?) coalizione ASS-contiana quindi presenta 8 ministri, di cui sette uomini: alla faccia del progressismo. Invece il centrodestra sarà rappresentato da tre ministri e tre ministre, di cui due di Forza Italia che esprime anche la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.
La conferma di Speranza, oggettivamente un pessimo ministro, è da ricondurre all’equilibrismo politico: con ogni probabilità LeU l’ha posta come condizione per stare al governo, mentre M5S e PD hanno messo come condizione la presenza di LeU per tener vivo il nuovo centrosinistra. Se la giocheranno con la scusa della continuità. Contro ogni aspettativa, Draghi si è immerso fino al collo nel fango della politica.
Il manuale Cencelli non è stato utilizzato alla lettera: viene infatti dato più peso al consenso attuale rispetto alla consistenza parlamentare. Ne è la prova che Forza Italia, pur avendo più eletti del PD ha solo tre ministri senza portagoglio a fronte di tre ministri con portafoglio. Spicca anche il fatto che il centrodestra abbia solo un ministero con portafoglio, Giorgetti della Lega. Al contrario di quanto si dice, Italia Viva non ha perso, con 18 senatori su una maggioranza di 300 e il 2,5% nei sondaggi non poteva ottenere di più. Interessante che nel PD i tre ministri siano i tre capocorrente: Guerini per Base Riformista, Franceschini per gli ex DC e Orlando per la corrente più a sinistra, a cui appartiene anche Zingaretti.
Nota speciale per tre tecnici che sembrano essere stati scelti per dimostrare discontinuità rispetto a Conte. Si tratta di Colao, titolare della task force snobbata dall’avvocato del popolo, Franco, attaccato frontalmente da Di Maio e Casalino per essersi opposto allo sfascio dei conti pubblici, e Garofoli, che si era dovuto dimettere da Capo di gabinetto del ministro Tria per delle accuse assurde del M5S.
Chi sognava un dream team, come me, deve essere rimasto inizialmente deluso. Tuttavia, devo dire che, dopo un primo momento di shock misto a delusione, sono rimasto abbastanza soddisfatto, soprattuto considerato il punto di partenza del Conte II. I ministeri chiave sono quasi tutti al sicuro. Di Maio non conterà nulla perché la politica estera verrà gestita dai diplomatici e da Draghi in prima persona. La quasi totale assenza di ministri avversi alla trasparenza e alle chiusure forzate, almeno pare, depotenzierà anche Speranza. Orlando sarà un problema grosso a mio avviso, ma almeno ha un profilo istituzionale. Il problema del basso livello dei politici, in ogni caso, non è da imputare a Draghi: sono stati gli italiani a eleggere una banda di scappati di casa. Se il miglior governo possibile ha una tale configurazione, forse dovremmo essere noi cittadini a chiederci perché.