Dopo tanto tempo, l’inflazione è tornata a mostrarsi. Siccome molti di noi si erano abituati a periodi di bassa inflazione, i recenti sviluppi economici risulteranno nuovi. È dunque utile ricapitolare quali sono gli effetti dell’inflazione (che è il tasso di crescita di una media dei prezzi dei beni e servizi che acquistiamo).
Se tutti i prezzi salissero allo stesso modo, cosa dovrebbe cambiare? Se dall’oggi al domani, ad esempio, raddoppiassero i prezzi del pane, i prezzi della benzina, i salari (che sono il prezzo delle prestazioni lavorative), e di tutto il resto, la nostra capacità di acquistare beni e servizi sarebbe invariata. Quindi, perché si parla dell’inflazione come di un fenomeno problematico?
Per rispondere a questa domanda bisogna rendersi conto che non tutti i prezzi cambiano allo stesso istante. Inoltre, non tutti i prezzi potrebbero cambiare allo stesso modo. Infine, una certa prevedibilità dei prezzi futuri è necessaria per una pianificazione delle proprie finanze, in particolare quando si stipulano contratti a lungo termine. Di conseguenza, il mostrarsi dell’inflazione improvvisa e a livelli inaspettati comporta effetti che vanno oltre al puro cambiamento dei valori nominali dei beni e servizi.
Analizzerò alcuni dei problemi causati dall’inflazione, facendo chiarezza su chi ne beneficia e chi invece ci rimette. Gli effetti dell’inflazione più problematici includono redistribuzioni, in certi casi piuttosto grosse o che colpiscono la fetta più vulnerabile della popolazione, ma anche possibili recessioni causate dai tentativi di tenerla sotto controllo.
Prezzi che cambiano di continuo: che confusione!
I prezzi cambiano in momenti diversi, possibilmente in maniera non uniforme. Inoltre, l’incertezza riguardo a quale possa essere l’inflazione porta i singoli prezzi a variare in maniera imprevedibile.
Questa imprevedibilità scombussola le nostre abitudini di spesa, creando confusione. Nessuno di noi ha sott’occhio in ogni singolo istante i prezzi di tutti i beni e servizi che ci interessano. Ne segue che le nostre decisioni di acquisto riflettono questa mancanza di informazioni precise.
Idealmente, le nostre scelte su cosa comprare si baserebbero su una conoscenza dei prezzi di ciascun bene e servizio. Ma più i prezzi sono soggetti a cambiamenti difficilmente anticipabili, più le nostre scelte si discosteranno da questa situazione ideale, portando a un’allocazione del nostro budget meno preferibile.
Un po’ di psicologia
A questa confusione, si aggiunge un fenomeno psicologico rilevante. Abbiamo la tendenza ad attribuire alle nostre virtù ciò che ci capita in positivo. Al contrario, abbiamo una tendenza ad attribuire al caso o alla colpa di altri ciò che ci affligge in negativo. Quindi, percepiamo un aumento del nostro stipendio come un atto dovuto, frutto del nostro duro lavoro che giustifica un aumento del nostro benessere. Ma, a causa dell’aumento dei prezzi dei beni e servizi che consumiamo, il nostro stipendio potrebbe non crescere affatto in termini reali.
Non riuscendo a percepire il nostro aumento di stipendio come una manifestazione dell’inflazione, ci sentiamo privati del nostro diritto a godere di un aumento di potere d’acquisto. L’inflazione ci dà un’illusione di meritarci di più di quello che ci arriva.
L’inflazione ha effetti redistributivi
Una delle conseguenze principali dell’inflazione è quella di redistribuire reddito e ricchezza. Quindi, il manifestarsi dell’inflazione inattesa comporta vincitori e vinti. Questa redistribuzione è subdola perché meno visibile rispetto alla redistribuzione che avviene tramite tasse esplicite, e perché tipicamente sfavorisce persone con basso reddito e ricchezza. I meccanismi alla base di questa redistribuzione sono diversi, e conviene analizzarli separatamente.
Redistribuzione I: prezzi lenti, e prezzi veloci.
Per capire come avviene la redistribuzione, occorre ricordarsi quanto affermato prima: non tutti i prezzi aumentano nello stesso istante e allo stesso modo.
Supponiamo per un attimo che ci si aspetti che l’inflazione aumenti all’improvviso, e tutti siano informati di questo aumento. Ne segue che le intenzioni di ciascun produttore e ciascun lavoratore saranno di aumentare i propri prezzi e salari in linea con l’inflazione. Se l’inflazione si manifestasse come aumenti di ciascun singolo prezzo simultanei e perfettamente proporzionali, essa non avrebbe alcun effetto redistributivo. Però, inevitabilmente, alcuni prezzi aumenteranno quasi istantaneamente, altri avranno tempi più lunghi. Altri ancora potrebbero non tenere il passo con l’inflazione.
I prezzi alla pompa della benzina vengono aggiornati quotidianamente. Altri prezzi invece hanno bisogno di decisioni che richiedono tempo. Certe aziende, in alcuni settori, vista la natura del loro mercato, sono organizzate in maniera più burocratica, e le decisioni sull’aggiornamento dei prezzi devono dipendere da considerazioni di marketing. Di conseguenza, cambiare il prezzo richiede tempo e costi, e un aumento in linea con l’inflazione potrebbe non essere la scelta ottimale. In altri casi, il costo è direttamente visibile, basti pensare a un ristorante che dovrebbe ristampare i menù.
Infine, rinegoziare un contratto di lavoro non avviene dall’oggi al domani. In più, la capacità di farlo riflette rapporti di forza tra datore di lavoro e impiegato. A loro volta, questi dipendono anche dai rapporti di forza tra datore di lavoro e consumatori, ovvero dalla capacità del datore di lavoro di aumentare i prezzi dei beni finali.
Alcune persone, le cui competenze sono molto richieste nel mercato del lavoro, hanno la possibilità di trovare un impiego ben remunerato con una certa facilità. Dunque, riusciranno a rinegoziare il contratto con più facilità e più rapidamente. Altre persone, invece, hanno più difficoltà a trovare lavoro, e quindi non potranno facilmente far leva sull’intenzione di andarsene. Potrebbero quindi ritrovarsi con lo stesso salario nominale, ma di fronte a prezzi aumentati. Avranno quindi un salario reale ridotto, siccome la propria capacità di acquisto verrà erosa dall’inflazione.
Chi guadagna dall’inflazione? Chi aumenta i prezzi per primo, sempre che riesca a vendere il proprio prodotto. Infatti, chi aumenta il prezzo a cui vende il proprio prodotto o servizio prima degli altri potrà godere di introiti maggiori pur trovandosi di fronte i prezzi vecchi di chi ancora non li ha aumentati.
Ci perde invece chi ha meno capacità di aumentare i propri prezzi in breve tempo. Una categoria vulnerabile in questo caso è quella dei lavoratori dipendenti che non rinegoziano i propri contratti frequentemente. In particolare, quelli che ci rimettono di più sono coloro con meno possibilità di ottenere lavoro altrove, che sono anche i lavoratori che normalmente guadagnano meno.
Redistribuzione II: debitori, creditori e risparmiatori
Tra gli effetti dell’inflazione, possiamo contarne un altro che ricade nella categoria della redistribuzione. Ci basta pensare ai prestiti e ai risparmi.
Ogni prestito è un contratto tramite cui si trasferisce potere di acquisto dall’oggi al domani. Chi ha bisogno di fondi oggi per acquisti che si potrà permettere solo in futuro chiederà un prestito. Chi invece ha più fondi che intenzioni di acquisto oggi e sta risparmiando in vista del futuro, potrà guadagnare un interesse prestando. Però, l’inflazione inaspettata interferisce coi nostri progetti perché i prezzi dei beni e servizi futuri cambiano. In questo modo si ha un altro effetto redistributivo.
Quando si pattuisce un prestito si stabilisce un tasso di interesse (il quale è anch’esso un prezzo, il prezzo che si paga per avere disponibilità economica oggi anziché domani). Il tasso di interesse include un’informazione relativa alle aspettative del tasso di inflazione. Supponiamo che io preveda un tasso di inflazione del 2%. Questo significa che mi aspetto che 100 euro l’anno prossimo mi consentano di comprare il 2% in meno rispetto a quanto potrei comprare con 100 euro oggi. Quindi, quando presto denaro chiederò un tasso di interesse pari al compenso che vorrei per sacrificare disponibilità economica oggi e ottenerla l’anno prossimo, più il tasso di inflazione.
Se però l’inflazione aumenta arrivando fino al 5%, la mia capacità di acquisto sarà erosa. I miei piani di riallocazione intertemporale del mio potere d’acquisto saranno scombussolati. Chi ci perde quando l’inflazione si rivela essere più elevata rispetto a quella che ci si attendeva? I creditori, a beneficio dei debitori.
Chi sono questi creditori che ci rimettono? Coloro che hanno prestato con tassi di interesse fissi. Tra questi sono inclusi anche coloro che hanno acquistato titoli di Stato (e qui si capisce perché governi molto indebitati creano inflazione, o chiedono a gran voce che la banca centrale produca inflazione; una delle ragioni per cui l’inflazione è spesso definita una tassa è proprio questa), o altri bond.
Inoltre, l’effetto redistributivo sarà più forte all’aumentare della durata del prestito e della persistenza dell’alta inflazione. Infatti, in caso di inflazione inaspettatamente alta per tanti anni, chi ha ottenuto mutui per qualche decennio a tassi fissi prima dell’arrivo dell’inflazione, otterrà un enorme beneficio, a spese del prestatore.
Ma la redistribuzione non si ferma qui. Chiunque abbia dei risparmi liquidi da qualche parte, perderà potere di acquisto. Il caso più ovvio è quello di chi detiene i propri risparmi in denaro contante, o nei conti correnti (specialmente quelli che pagano interessi bassi e che non aggiustano prontamente il tasso di interesse all’aumentare dell’inflazione).
La situazione è invece diversa per chi detiene i propri risparmi in immobili o azioni di qualche impresa. Queste ultime, infatti, potranno perdere o acquisire valore in base al comportamento dei vari investitori, che dipende tra le altre cose dall’andamento dei profitti presenti e futuri.
Come nel caso precedente, anche qui spesso ci rimettono le persone che detengono poca ricchezza e che non hanno grande dimestichezza con la gestione del risparmio. Tipicamente, coloro che detengono il grosso della propria ricchezza in contanti, in conti correnti, o in buoni del Tesoro, sono persone poco facoltose. Invece, coloro che detengono gran parte della propria ricchezza in azioni o immobili al di fuori della prima casa tendono a essere persone più ricche. A subire gli effetti dell’inflazione spesso sono i poveri.
Redistribuzione III: gli ultimi saranno gli ultimi, i primi saranno i primi
Infine, gli effetti dell’inflazione dipendono dalle sue cause. L’inflazione può essere causata da problemi nella reperibilità di materie usate nella produzione di tanti beni e servizi, da un aumento dei loro prezzi, oppure da riduzioni di produttività. In tal caso, saremo tutti un po’ più impoveriti, proprio perché l’inflazione è il riflesso di una riduzione della nostra capacità produttiva e quindi della quantità di beni e servizi prodotta. La buona notizia è che questo tipo di inflazione è temporaneo, a meno che i prezzi delle materie prime non siano in aumento continuo (per capire questo è necessario ricordarsi che l’inflazione è il tasso di crescita dei prezzi, non il livello dei prezzi).
Ma l’inflazione può anche essere causata da un generale aumento della propensione a spendere. Questo può avvenire per una improvvisa e diffusa fiducia nelle nostre disponibilità economiche attuali e future. Oppure, più comunemente, l’inflazione aumenta a causa di iniezione di moneta nell’economia da parte della banca centrale, o di manovre fiscali espansionistiche.
Chi ci guadagna in questo caso? I primi a vedere aumentata la domanda per i propri prodotti, perché saranno i primi che potranno aumentare i prezzi senza aspettarsi una riduzione delle vendite.
Inoltre, se l’inflazione è causata da manovre fiscali o monetarie, ci guadagneranno i primi beneficiari di queste azioni (chi riceve i primi prestiti con nuova moneta emessa, chi riceve i nuovi sussidi o assegni governativi). Questa nuova moneta si diffonderà poco alla volta nell’economia, e ci perderanno quelli che saranno gli ultimi a poter aumentare i propri prezzi.
Storicamente, la nuova moneta veniva emessa dai governi per finanziare certe spese improvvise, come ad esempio sostenere guerre. Il governo creava nuova moneta per pagare tra le altre cose lo stipendio ai soldati. I soldati a loro volta andavano in giro a comprare cibo e intrattenimento. Chi vendeva loro cibo e intrattenimento utilizzava questo denaro per le proprie spese, e poco alla volta questa nuova moneta andava a toccare tutti i settori dell’economia. A beneficiarne era anzitutto il governo che poteva attirare persone per combattere la guerra sottraendoli dalle loro attività produttive primarie, che quindi subivano una riduzione nella loro produzione. Dopodiché, ne beneficiavano i soldati che avevano a disposizione questa nuova moneta prima dell’aumento di tutti gli altri prezzi. Invece, le persone che producevano prodotti la cui domanda aumentava per ultima, mantenevano i loro redditi nominali precedenti pur cominciando a osservare prezzi crescenti per i beni e servizi di cui volevano usufruire.
In quei casi, il governo guadagnava a spese dei cittadini. In particolare, come descritto sopra, ci rimetteva chi deteneva moneta e vedeva il proprio potere d’acquisto calare. Questa è l’altra ragione per cui normalmente si pensa all’inflazione come una tassa.
Al giorno d’oggi, il sistema è diventato più complesso. Esistono ancora stati che finanziano le proprie spese creando nuova moneta. In più, anche laddove c’è una distinzione netta tra governo e banca centrale, le banche centrali versano i loro introiti derivati dall’introduzione di nuova moneta (il cosiddetto signoraggio) nelle casse dello Stato, dopo aver coperto i propri costi (ad esempio, qui si può capire come funziona il meccanismo per la Bce). Infine, una politica monetaria che causa inflazione rende, almeno all’inizio, più facile il finanziamento di spesa pubblica grazie all’emissione di nuovi titoli di Stato (questo avviene perché la banca centrale agisce acquistando titoli di Stato; un aumento di questi acquisti provoca sia pressioni inflazionistiche che una riduzione dei tassi di interesse che lo Stato paga su questi titoli).
Ma in buona parte dei paesi a medio o alto reddito, la moneta viene messa in circolazione tramite il settore bancario. Dunque, ne beneficiano le banche? Bisogna prendere in considerazione tutto, inclusa la natura degli affari condotti dalle banche: siccome le banche prendono in prestito a breve termine (depositi bancari), e prestano a lungo termine (ad esempio, mutui per le case), un aumento inaspettato dell’inflazione è per loro un danno per le ragioni illustrate sopra. Insomma, la questione è diventata piuttosto intricata.
Come fermare l’inflazione? Costi e possibili recessioni
Come si esce da un periodo di alta inflazione? La risposta dipende dalle cause.
In certi casi, l’inflazione si risolve da sé, mentre in altri casi occorrono risposte dalla banca centrale, per riportarla a livelli considerati accettabili. Si è dibattuto di recente su quanto l’inflazione fosse permanente o temporanea. Perché? Perché la risposta a questa domanda determina le azioni che conviene prendere.
Se la causa dell’inflazione è qualcosa che la porta a essere temporanea (ad esempio un aumento dei prezzi di qualche materia prima), si può decidere di aggredirla o di non aggredirla. Se non la si aggredisce, si aspetta che vada via da sola, ma il fatto di sapere che prima o poi andrà via, non offre gran sollievo a chi si ritrova a subirne i costi nel periodo in cui essa è alta. Infatti, uno dei grandi difetti del dibattito su inflazione temporanea o permanente degli ultimi mesi è che non si è mai chiarito quanto ci si aspettasse che la situazione temporanea durasse.
In caso di inflazione alta per diversi mesi, gli effetti illustrati sopra diventano considerevoli, in particolare per la fetta di popolazione più vulnerabile perché meno in grado di rinegoziare i propri salari, o perché detiene risparmi in denaro contante, conti correnti, o buoni del Tesoro. Si tenga però presente che una risposta all’alta inflazione che consiste con l’elargire nuove somme di denaro a chi è più in difficoltà alimenterebbe nuova inflazione.
Invece, si può decidere di aggredire l’inflazione. In certi casi, si tratta di una scelta, seppur non semplice. In altri casi, si tratta di una necessità. Infatti, se la banca centrale è responsabile di aver causato inflazione con manovre eccessivamente espansionistiche, l’unico modo per riportare l’inflazione a livelli desiderati è quello di fare marcia indietro.
Ma uno degli effetti dell’inflazione più problematici è in realtà l’effetto delle azioni che consentono di abbassarla. Il problema di queste azioni è che hanno effetti recessivi. Le banche centrali possono contare su vari strumenti, il più comune è quello di agire sui tassi di interesse comportando un loro aumento (cosa che la Federal Reserve americana e la Banca centrale europea hanno già cominciato a fare).
Un aumento dei tassi di interesse disincentiva l’attività economica perché riduce la volontà di chiedere prestiti, con effetti di riduzione dell’inflazione ma anche di riduzione della crescita nel breve periodo. Inoltre, potrebbe portare alla bancarotta chi ha necessità di rifinanziare i propri debiti. Tra i vari indebitati, alcuni governi si ritrovano in una situazione particolarmente delicata (è ad esempio il caso dell’Italia) e un aumento dei tassi di interesse potrebbe scatenare paure di insostenibilità di questo debito. Infine, così facendo si riduce la quantità di moneta che i vari attori si aspettano, riducendo la domanda per i vari beni e servizi, e dunque in parte le vendite e in parte i prezzi.
In conclusione, nel perseguire lo scopo di ridurre l’inflazione si rischia di scatenare una recessione, o quantomeno di ridurre la crescita. In paesi fortemente indebitati si rischia anche di scatenare una crisi del debito (situazione fresca nella memoria di noi italiani). L’effetto negativo dell’azione della banca centrale è una conseguenza dell’alta inflazione, inevitabile ma necessaria se l’obiettivo è quello di ridurla. Si potrebbe evitare? Solo evitando di causare elevata inflazione in primo luogo. Insomma, prevenire è meglio che curare.
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