In questi ultimi giorni è stata oggetto di discussione la nuova riforma del sistema pensionistico attuata dal governo francese e dal Presidente della Repubblica Emmanuel Macron. La nuova norma non prevede uno stravolgimento totale dello status quo: essa si limita a prendere alcune precauzioni mirate a rendere più sostenibile il sistema nel lungo termine considerando le preoccupanti previsioni di riduzione del rapporto fra pensionati e lavoratori francesi. Contro questa riforma si è scatenata una feroce mobilitazione: sono stati organizzati scioperi, proteste, si contano già 457 arresti e 441 feriti fra le forze dell’ordine oltre che vari incendi provocati dai manifestanti, il più eclatante quello nel municipio di Bordeaux che avrebbe dovuto accogliere fra una settimana il Re inglese Carlo III, la visita ovviamente è stata annullata. Davanti ad una mobilitazione popolare così violenta è facile che il lume della ragione si spenga lasciando spazio alla demagogia, all’indignazione e all’odio cercando un nemico contro cui scagliarsi. Onde evitare quanto ho appena descritto ho deciso, nel seguente ordine, di analizzare questa riforma nei suoi aspetti salienti per sviscerarne i princípi cardine, i pregi, i difetti e, con l’occasione, confrontare il sistema francese e quello italiano.
Cosa prevede la riforma?
Dopo la nuova legge l’età pensionabile minima per avere accesso alla pensione aumenterà di 3 mesi ogni anno, da qui al 2030 raggiungendo in quella data i 64 anni, rimanendo comunque l’età minima pensionabile più bassa d’Europa, è previsto un aumento delle pensioni minime per un importo di 100 euro al mese, sale da 42 a 43 il numero di anni di contributi versati necessari per ricevere un trattamento a tasso pieno (50% dello stipendio). La riforma è decisamente meno ambiziosa rispetto a quella precedentemente proposta dal presidente Macron poi naufragata sempre a causa di numerose proteste.
Il problema pensioni a livello europeo
Come nella maggioranza dei paesi UE anche Italia che Francia utilizzano un sistema pensionistico a ripartizione: questo significa che i contributi versati dai lavoratori attuali servono a pagare le pensioni in essere. Come ogni sistema quello a ripartizione presenta delle criticità che lo rendono totalmente inefficace sotto certe condizioni: un elevato tasso di disoccupazione significa che si versano meno contributi, e che quindi i soldi per pagare le pensioni tendono a scarseggiare; un calo demografico ed un invecchiamento della popolazione fanno sì che, nel lungo periodo, ci sia un rischio di squilibrio fra percettori di pensione e lavoratori capaci di pagarle. Purtroppo queste sono le condizioni attuali, seppur a livelli diversi di gravità, dei maggiori paesi europei, l’Italia in particolare, data la scarsa capacità fiscale e la crisi demografica corre rischi ben più seri dei suoi partner europei.
Questioni numeriche
Scendendo nel particolare la Francia spende il 14,8% del PIL in pensioni, circa 430 miliardi di euro, mentre l’Italia spende il 17,4% del PIL in pensioni (dati ISTAT 2021), per un valore di 313 miliardi di euro. Le due situazioni, anche tenendo conto degli altri indicatori non differiscono molto: la Francia ha un tasso di nascite più alto, un’età media più bassa, un rapporto deficit/Pil più basso e nonostante ciò il presidente Macron ha mostrato lungimiranza decidendo di affrontare una potenziale minaccia attirando a sè una buona dose di impopolarità. In Italia invece, dove l’emergenza è sempre più impellente vengono approvati provvedimenti folli come Quota 100, costato 11 miliardi con la promessa di un ricambio generazionale mai avvenuto, e nessuno ha il coraggio di affrontare il problema con sincerità ammettendo che una revisione della spesa pensionistica non è solo giusta da un punto di vista di equità generazionale ma è assolutamente cruciale dato il peso delle pensioni sui conti pubblici. Un paese che spende tutte quelle risorse in pensioni ha capacità di spesa decisamente limitate negli ambiti che richiederebbero molti più finanziamenti di quelli che ricevono attualmente: sanità, scuola, sviluppo economico e nuove generazioni in generale, categoria storicamente dimenticata dalla classe politica solo in quanto esclusa dal ciclo elettorale.
Se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato
Tirando le somme su questa riforma del sistema pensionistico francese ritengo il provvedimento piuttosto equilibrato: c’è un innalzamento delle pensioni minime (già discretamente più alte in Francia che in Italia, dove la distribuzione delle pensioni è decisamente più iniqua nei confronti dei più pensionati più poveri) e un taglio di alcuni trattamenti privilegiati prima riservati ad alcune categorie di lavoratori. Quella voluta dal presidente Macron è una riforma equa, un sacrificio necessario che però non risolve di certo il nodo principale che mette in crisi il sistema pensionistico, ovvero il numero di lavoratori: senza accompagnarla con delle politiche efficaci a sostegno di crescita, occupazione e natalità il sacrificio compiuto oggi dai lavoratori francesi rischia di doversi ripetere di qui a breve a causa del trend comunque crescente di pensionati rispetto ai lavoratori, il quale manda in crisi ogni sistema pensionistico a ripartizione per la sua stessa natura.
1 comment
Ovvio pure questo. Ma gli umani non capiscono un cazzo.