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Fine del divieto di licenziamento? Facciamo chiarezza

Come noto, dal 1° luglio è venuto meno il divieto di licenziamento per motivi economici nel nostro Paese. La notizia è di quelle che non lasciano indifferenti, per l’importanza politica della scelta e ancor di più per i risvolti sociali della stessa. Tuttavia, in quest’epoca di informazione veloce e non sempre precisa, non tutti hanno dato la giusta importanza alle caratteristiche ed alle delimitazioni dello “sblocco”: per questo, abbiamo ritenuto doveroso chiarire brevemente alcuni punti.

Anzitutto, la decisione in parola è contenuta nel decreto legge n. 99 del 30 giugno 2021, pubblicato in nottata sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 30 giugno 2021 ed immediatamente entrato in vigore. Nelle disposizioni volute dal Consiglio dei Ministri, per un verso si conferma il divieto di licenziamento solo per i settori considerati ancora profondamente in crisi e per altro verso, si aggiunge la possibilità di un ulteriore ricorso allo strumento della Cassa Integrazione guadagni straordinaria per gli altri settori.

In particolare, le aziende considerate più in difficoltà sono quelle del tessile-abbigliamento-pelletteria, che finiscono per rientrare de facto nella normativa dedicata al settore terziario ed alle piccole imprese, con conseguente applicazione di cassa integrazione in deroga e Fis. Pertanto, per queste categorie aziendali – individuate dai codici Ateco che iniziano con 13, 14 e 15 – sarà vigente, sino al 31 ottobre, il precedente divieto tout court di licenziamento per motivi economici, fatti salvi i casi di (i) accordo collettivo aziendale di incentivo all’esodo, (ii) cessazione definitiva dell’attività, e (iii) fallimento o altri casi specifici. Proprio in virtù della riconosciuta difficoltà, nei casi in cui, a decorrere dal 1° luglio, sospendano o riducano l’attività lavorativa, tali imprese possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale con causale Covid-19, per un periodo massimo di 17 settimane, sempre fino al 31 ottobre.

Oltre quanto descritto, l’utilizzo della CIG è previsto anche per gli altri comparti aziendali, vale a dire quelli per i quali da ieri è decaduto il divieto di licenziamento. Nello specifico il Governo ha indicato che le aziende che non potranno più fruire della CIG avranno modo di attingere, sino alla fine dell’anno, allo strumento della Cassa integrazione in deroga senza corrispondere i contributi addizionali, per un periodo di 13 settimane. È importante sottolineare che per chi si avvalga dello strumento da ultimo delineato rimane vigente il divieto di licenziare. La possibilità di ricorso agli ammortizzatori sociali è peraltro in linea con l’Avviso Comune siglato in data 29 giugno 2021, dal Governo e dalle parti sociali. Inoltre, tra le novità introdotte si annovera l’istituzione di un Fondo per il finanziamento delle attività di formazione dei lavoratori in Cassa integrazione guadagni e Nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASPI).

In definitiva, come abbiamo cercato di chiarire, non vi è uno sblocco dei licenziamenti in toto, bensì un graduale ritorno alla normalità del mercato del lavoro. Questa scelta rappresenta ad avviso di chi scrive una scelta saggia e moderata di fronte per un verso ad una crisi economico-sociale da combattere con ogni mezzo, ma per altro verso alla necessità di ripartire con gli strumenti di una vera economia di mercato di matrice liberal-democratica. È dunque importante, una volta di più, tenere in considerazione tutti gli aspetti delle decisioni del Governo, che si presentano sempre sfaccettate – come Giano bifronte – e che ci auguriamo possano segnare il passo di un ritorno alla normalità, anche economica.

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