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Politica interna

Eccellenze italiane e ricerca: quando dalle parole ai fatti?

ricerca italia

La buona politica genera cose positive e migliora la vita delle persone. Spesso la buona politica genera anche belle parole. Tuttavia, raramente vale il contrario ed è proprio quello che accade in Italia da troppo tempo e che andrebbe cambiato, specie nell’ambito della ricerca.

Il vaccino anti-Covid italiano sviluppato dalla società ReiThera ha registrato risultati molto incoraggianti nella fase 1 di sperimentazione ed entra nelle successive due fasi, che richiederanno non meno di 6 mesi. È una buona notizia, e lo è a prescindere dall’italianità del vaccino.

Tralasciando la retorica ruffiana e un po’ populista del commissario Arcuri, la notizia è stata salutata con molta enfasi anche dal Ministro Speranza, il quale ha pubblicamente ringraziato “le nostre eccellenze scientifiche” per il lavoro svolto, senza lesinare – appunto – belle parole.

Peccato che si tratti delle stesse eccellenze puntualmente bistrattate da politiche e programmi di investimento pubblici. E sono proprio quei giovani ricercatori già costretti ad emigrare un po’ ovunque in cerca di un futuro e che, di certo, a furia di buttare soldi in bonus monopattini e Alitalia, non potranno mai essere valorizzati o attratti dal nostro sistema Paese.

Pochi investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo

In ambito Ocse, l’Italia è al 23° posto (come l’Ungheria!) per investimenti in ricerca e sviluppo con l’1,4% del Pil. Sul podio: Corea del Sud (4,6%), Israele (4,5%) e Svizzera (3,4) – con una media UE del 2,06%. Nella ricerca di base siamo al 19° posto (0,32%). Considerando la sola spesa pubblica la quota che l’Italiadestina a R&S è del 1,2% contro il 2,1% della Germania e l’1,37% della media UE. 

Tutto ciò in un Paese in cui le borse di studio – emblematico il caso delle borse di specializzazione medica – restano inadeguate e inique a livello territoriale, per via del sistema regionale di erogazione.

Pertanto, alla luce di questi dati, neanche i 19,2 miliardi di euro per istruzione e ricerca – il 9,8% dei 196 miliardi complessivi – assegnati dalla bozza del Recovery Plan saranno sufficienti a colmare il gap dell’Italia con gli altri Paesi più sviluppati.

Pochi investimenti privati

Un altro deficit italiano evidente è la scarsità degli investimenti privati in R&S, dovuta a un tessuto produttivo con tante PMI e poche grandi imprese in grado di reggere robusti investimenti, che necessita di notevole liquidità, oltre che alla scarsa attrattività del sistema Paese per gli investimenti esteri. In questo quadro, nei prossimi anni sarà fondamentale accrescere e migliorare nei risultati i programmi pubblici di R&S svolti con partner privati.

La buona performance delle ricerche ReiThera – che ha investito 12 milioni di euro – è anche il prodotto di 5 milioni della Regione Lazio, 3 del Ministero dell’Università e della Ricerca, e della collaborazione dello Spallanzani di Roma e del Policlinico universitario di Verona per test e sperimentazioni. Utile anche ricordare che l’italianissima Irbm di Pomezia ha partecipato alla cordata del vaccino di AstraZeneca e Oxford, sostenuta dalle risorse del colosso biofarmaceutico britannico.

La morale è chiara. Se si investono soldi veri, in modo adeguato e con partner affidabili, la ricerca italiana può contribuire al progresso del Paese e non solo. Le belle parole sulle eccellenze vanno presto trasformate in fatti concreti, nel bilancio ordinario e non solo nelle emergenze. 

L’innovazione è il campo della competizione internazionale ed è la chiave del club dei Paesi più sviluppati. Nell’area Ocse siamo al 23° posto per finanziamenti, ma all’8° per risultati della ricerca. È un mezzo miracolo ma, se le cose non cambiano, non durerà.

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