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Speaker's Corner

Democrazia, libertà e caos

Usa, caos, incendio, proteste

Non era necessario mettere a ferro e fuoco una città per protesta. Una frase giusta, ma che rischia di diventare tanto vuota quanto comoda.

Democrazia (da démos, “popolo”, e krátos, “potere”) significa governo del popolo, è risaputo. Meno noto è che fu una parola coniata nella Grecia antica con un forte senso dispregiativo, che continuò ad essere l’accezione principale fino all’illuminismo. Il potenziale distruttivo di una democrazia diretta esasperata, di un’oclocrazia, è evidente anche oggi.

Condannare la violenza è imperativo in democrazia, ancor più quando questa si configura come semplice forma di vendetta. Altrettanto imperativo è ascoltare e interpretare i bisogni del “popolo” per costruire il governo del popolo. Negli USA l’aver lasciato inascoltati per anni alcuni bisogni ha aperto una falla enorme nel processo democratico e oggi se ne pagano le conseguenze.

La libertà è come l’aria, non solo perché come scriveva Piero Calamandrei ci si accorge di quanto valga solo quando viene a mancare, ma perché quando compressa sotto l’azione di una forza oppressiva, come il peso che ha ucciso George Floyd, basta una scintilla e divampa. Ciò che osserviamo oggi in America è un assaggio di ciò che resta quando la democrazia cessa di esistere: il caos. È un boccone amaro, difficile da digerire, ma talvolta necessario. Non perché l’America si possa definire un Paese anti-democratico, ma perché possiamo scrivere con serenità che una larga fetta di americani non si senta più democraticamente rappresentata da troppo tempo. Lasciando da parte i discorsi manettari e forcaioli, prontamente imbracciati anche in Italia, occorre dire che il crimine razziale meschino che ha portato alla morte di George Floyd è un dramma umano tremendo, ma il principale problema è uno Stato incapace di condannare con fermezza quel crimine in un regolare processo.

Questo non deve comunque sfociare in una giustizia di frontiera, sancita prima delle sentenze come sembrerebbe proporre qualche membro del CSM, anche perché la morte per asfissia meccanica potrebbe essere stata causata dalla compressione esercitata sul torace da un secondo poliziotto o sull’addome da un terzo. Uno Stato che però sancisce la morte per ipertensione di George Floyd e che accusa di “third-degree murder” (omicidio colposo, NON intenzionale quindi) chi l’ha ucciso non può dirsi pienamente rispettoso dei diritti umani. Non di fronte a questo video, rilasciato in un secondo momento dall’emittente NBCnews.

Uno dei pilastri portanti della democrazia americana si è crepato, ciò che ne deriva è un assaggio del caos. Il caos non è né giustificabile né condannabile, è solo la naturale evoluzione degli eventi esplosivi. Tutto ciò che si può fare è prevenirlo. La violenza travolgente, incendiaria, che osserviamo oggi è l’ultimo straziante grido di una società esasperata che non conosce altri mezzi per farsi ascoltare. Se questo non fosse stato un omicidio, ma George Floyd fosse rimasto paralizzato in seguito ad una lesione midollare e se la scena non fosse stata filmata da tre prospettive diverse, probabilmente sarebbe stato uno dei tanti casi di police brutality, l’ennesimo di Derek Chauvin. Tutti questi casi, giorno dopo giorno, hanno compresso la libertà individuale fino al momento in cui è bastato una scintilla per farla esplodere.

Non sono di certo un rivoluzionario, ho partecipato a due manifestazioni in tutta la mia vita, ma sono consapevole che ai rivoluzionari dobbiamo il mondo. Dal punto di vista storiografico sono le guerre a mutare radicalmente le società. Fatichiamo ad accorgercene perché essendo nati nell’Unione Europea consideriamo la pace per scontata. Non lo è. L’Europa è la culla e il faro dei diritti umani nel mondo e sono profondamente convinto che i più agguerriti anti-europeisti di questo Paese fuori dall’Europa ci siano stati poco. Sono altrettanto convinto che un’Italia fuori dall’UE avrebbe imboccato una china sudamericana molto pericolosa, nonostante Beccaria.

In sociologia si indicano come “patti sociali” le convenzioni secondo cui gli individui rinunciano a parte della propria libertà in favore di un governo che agisca negli interessi di ognuno. Quando la tensione sociale si accumula giunge un momento in cui la misura è colma e i patti sociali, che non sono più in grado di sostenere la pressione sociale, prima si crepano e poi crollano. Arrivati a quest’ultimo punto la democrazia non esiste più, il tempo della disobbedienza civile lascia spazio al tempo della guerra civile. Una tragedia immane che bisogna evitare in qualsiasi modo, ma guai a considerarla sempre futile.

Il pacifismo del disimpegno, quello del menefreghismo salviniano, è stato un macigno oppressivo scagliato sulla parte progressista e globalista della società. Pensare che la libertà si fermasse a Kobani, a Donetsk, a Tripoli un errore imperdonabile.

Oggi è doloroso e sconfortante osservare le città date alle fiamme, ma mi sento vicino a tutti quegli americani che hanno la forza di lottare per le idee in cui credono, che hanno il coraggio di sognare e rischiare la vita per un mondo migliore. Il mondo ve ne è grato. Quanto a voi, che non riuscite a immaginare un’ipotesi, per quanto improbabile, in cui rischiereste la vita per rivendicare ciò che amate, sia la famiglia, gli affetti, lo Stato o la libertà, a voi va tutta la mia compassione. Senza accorgervene siete già morti.

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