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ApprofondimentiEconomia & Finanza

Cronache dal fronte IRPEF: minimo vitale

Da mesi in commissione finanze, guidata da Luigi Marattin e Luciano D’Alfonso, viene portata avanti una indagine conoscitiva su un tema estremamente complesso e spinoso: la riforma dell’IRPEF.
Ricordiamo che l’IRPEF è una imposta che colpisce i redditi delle persone fisiche e che ha nella sua caratteristica principale la progressività: ad aumentare del reddito, l’imposizione aumenta più che proporzionalmente. Purtroppo l’IRPEF italiana è un problema pulsante sulle teste dei contribuenti, perché negli anni si è sviluppata, complicata e, in definitiva, ha perso ogni tipo di coerenza. Tra regimi sostitutivi e regalie elettorali verso determinati gruppi di pressione, i redditi da lavoro e da capitale sono trattati in modo iniquo e distorsivo.
Questo ha portato alla disperazione una lunga serie di tributaristi, tra cui Dario Stevanato, i quali, vedendo il sistema tributario trattato come puro mezzo elettorale, hanno proposto un taglio netto con una flat-rate tax.

In ogni caso, negli ultimi tempi arrivano notizie sempre più confortanti: il problema è stato preso a cuore ed anche Draghi ha affermato tra le priorità del Paese una riforma dell’IRPEF.
La direzione verso cui ci si sta muovendo è quella di una IRPEF a 3 aliquote e non a 5 come le attuali, con un drastico taglio di imposizione soprattutto verso i redditi da lavoro nella fascia 28k-55k, colpiti più duramente rispetto alle altre fasce con enormi perdite di efficienza ed equità con un’aliquota marginale di quasi il 40%. Ma soprattutto, ci si sta spostando verso l’introduzione di un minimo vitale per tutti i redditi sotto una certa soglia: un qualcosa di fondamentale in un Paese moderno con un sistema tributario serio.

Il minimo vitale può essere definito come “quei mezzi che appaiono indispensabili alle fondamentali esigenze dell’uomo in redditi così modesti da essere appena sufficienti alle fondamentali esigenze dell’uomo”. Declinato al nostro tema: no prelievo fiscale per i redditi sotto una certa soglia, indispensabili per soddisfare i bisogni fondamentali dell’individuo. Questo principio trova fondamento anche nell’art. 2, 3 e 36 della nostra Costituzione, e nella Dichiarazione dei Diritti Fondamentali dell’Uomo come un’espressione del diritto inviolabile alla dignità umana, ed è un principio che porta con forza alla prevalenza del singolo individuo rispetto alla collettività. Mettendo in secondo piano il finanziamento della spesa pubblica, viene messo in chiaro che prevale le esigenze di vita e di sopravvivenza dell’individuo su ogni altra cosa. Con l’attuale sistema tributario italiano questo principio viene rispettato a singhiozzo, per così dire. Infatti viene attuato con apposite detrazioni d’imposta verso i pensionati e i lavoratori dipendenti, e in modo totalmente insufficiente verso i lavoratori autonomi, ed è totalmente inesistente verso individui che detengono redditi di fonte imprenditoriale e fondiaria (che sappiamo essere cattivi ed evasori fiscali). Inoltre la presenza di vari regimi sostitutivi riduce ulteriormente l’applicazione del minimo vitale.

Questo problema in commissione finanze è emerso e, coniugato all’esigenza di semplificare il sistema e di non pensare che tutti gli italiani siano possibili evasori fiscali (le polizie tributarie lasciamole a qualche paese un pelo più autoritario), dovrebbe essere prevista l’introduzione di un minimo esente senza obbligo di dichiarazione per tutti i contribuenti sotto una certa soglia reddituale. Se ciò venisse introdotto, sarebbe un enorme passo avanti per un sistema tributario più equo e giusto.

Incrociamo le dita e auguriamo che i lavori possano proseguire nel modo più celere e pragmatico possibile.

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