“Ogni verità è semplice”. – Non è questa una doppia menzogna?
F.W. Nieztsche
Sta spopolando sui social il duro attacco di Alexandria Ocasio-Cortez nei confronti di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, sul tema delle fake news. In particolare AOC contesta a Zuckerberg di permettere che su Facebook vengano diffuse dai politici notizie false tramite inserzioni a pagamento.
La deputata, dopo averlo incalzato duramente sullo scandalo di Cambridge analytica, solleva il punto delicato della diffusione di notizie false per influenzare l’esito elettorale. Chiede ad esempio se sia possibile fare una inserzione, mirata ai codici postali dove tipicamente abitano persone di colore, divulgando una data sbagliata per le elezioni o se sia possibile dire che dei repubblicani hanno votato per il Green New Deal.
Le risposte di Zuckerberg, sempre un po’ claudicante in queste occasioni, non sono molto decise: ogni volta che tenta di elaborare un discorso, AOC lo interrompe chiedendo una risposta chiara. Il suo “So you won’t take down lies?” (“Quindi non rimuoverà le bugie?”) è già virale: dallo scontro dialettico, il madido Zuckerberg pare uscire devastato.
Tuttavia, nel breve frangente in cui a Zuckerberg viene data la possibilità di parlare, dice una frase molto significativa: “In a democracy, I believe that people should be able to see for themselves what politicians -that they may or may not vote for – are saying and then judge for themselves” (“Credo che, in una democrazia, le persone dovrebbero essere in grado di vedere coi loro occhi quello che i politici – per i quali possono aver votato o meno – stanno dicendo e giudicare autonomamente.”).
Interrompere questa frase, che riteniamo alla base delle libertà democratiche, con “So you won’t take down lies?” dimostra, a nostro avviso, che qua AOC non voleva capire né dimostrare un punto. Il suo scopo era diventare virale, “vincere il confronto” a prescindere dai contenuti, a prescindere dalle risposte di MZ. Ed in questo, pare esserci riuscita egregiamente: il dibattito impazza sui social e si leggono elaborate tesi a sostegno delle accuse mosse da AOC. Abbiamo cercato di riassumere queste posizioni in cinque motivazioni. Come da titolo, sono tutte sbagliate.
1. Le inserzioni a pagamento dovrebbero avere un trattamento diverso perché Facebook ci lucra.
Molti, forsi consci dei potenziali pericoli della censura, mettono enfasi sul fatto che AOC non accusasse Facebook di non fare un adeguato fact checking su tutti i contenuti, ma solo su quelli a pagamento. Non ci sono chiare le ragioni per cui tali contenuti dovrebbero avere un trattamento diverso (in un quotidiano le pubblicita’ dovrebbero essere piu’ controllate degli articoli della redazione?), ma riteniamo si basino sull’idea che siccome Facebook ha un guadagno da tali contenuti, questi non debbano contenere falsità perché lucrare su cose false è “sbagliato” (vedi punto 5).
Premesso che questa obiezione potrebbe denotare una dubbia conoscenza dei meccanismi di funzionamento del social network (dato che il vostro post in cui vi lamentate di essere ingrassati è altrettanto prezioso per Facebook, poiché è proprio tramite i vostri post che Facebook vi targetizza), essa presuppone che sia auspicabile (nonché fattibile) che ogni contenuto pubblicizzato su Facebook (e, per estensione, su qualunque piattaforma online) venga sottoposto ad un controllo di veridicità.
Già ai tempi della Direttiva 2019/790 (che, secondo alcuni, avrebbe vietato i meme) la questione della fattibilità di un controllo sui contenuti era stata sollevata (in particolare per le piattaforme più piccole, che non hanno a disposizione gli strumenti dei colossi del web), ma lì si trattava “solo” di controllare le violazioni di copyright, operazione tutto sommato facilmente automatizzabile.
Verificare la veridicità di un’affermazione (o di una immagine) è invece enormemente più difficile, anche perché spesso il concetto di affermazione vera non è così semplice da definire (come dovremmo ritenere le affermazioni di AOC sulla MMT?).
Inoltre, non si capisce perché questo trattamento sia da riservarsi ai soli social media; perché le emittenti televisive non dovrebbero bloccare la trasmissione tutte le volte che un politico dice qualcosa di falso?
2. Facebook ha un monopolio nell’informazione e come tale andrebbe regolamentato
Si dice spesso che Facebook abbia un monopolio. Ma un monopolio di cosa? Non lo ha di certo sulle pubblicità (o ads), visto che chi vuole acquistare spazi dove promuovere il proprio prodotto può trovarne di tutti i tipi. Anche avesse una grande fetta di mercato, è monopolista (quasi per definizione) chi riesce a mantenere prezzi alti per bassa reperibilità di prodotti sostituibili. Ma sostituire Facebook con altri servizi può farlo, l’azienda che cerca pubblicitá.
La confusione nasce dalle caratteristiche quasi uniche della piattaforma (che al più la renderebbe impresa in concorrenza monopolistica, prodotti diversi ma sostituibili come iPhone e Galaxy. Probabilmente per questo c’è anche confusione sul fatto che sia monopolio dell’informazione, mentre di informazione se ne può trovare piú facilmente che mai, proprio nell’era dei supposti monopoli globali.
E anche fosse un monopolio, perché mai sarebbe piú pressante intervenire? É comprensibile (che sia condiviso o meno) che si voglia regolamentare il mercato per sciogliere o limitare formazione o perpetuazione di posizioni monopolistiche, ma perché diventerebbe piú importante per la politica intervenire su come è gestita l’informazione sulla piattaforma di un monopolista?
Tipicamente, le democrazie sono in pericolo tanto più l’informazione è sotto il controllo e la censura della politica. Certo, possono esistere (teoricamente) regole generali da far rispettare a tutti i media, regole che non hanno a che fare col controllo diretto di uno o più partiti, ma in vista del pericolo di regole sbagliate, non è più importante che la politica faccia pressioni su media privati in quanto monopolisti; è più pericoloso.
3. Le fake news sono pericolose e quindi vanno bloccate
Sicuramente il problema delle fake news va affrontato: volenti o nolenti sono un fenomeno nuovo, del quale non conosciamo esattamente l’impatto e non sappiamo esattamente come difenderci. In realtà, le grandi compagnie hanno già da tempo iniziato a muoversi in tal senso (soprattutto Facebook stessa tanto che Zuckerberg tenta di dire (ma viene prontamente interrotto) che le fake news vengono già segnalate (ad esempio, quando provengono da siti dubbi), e non solo per i politici, che potrebbero tranquillamente (come già fanno) utilizzare pagine satellite per fare propaganda. Quello che Zuckerberg vuole evitare (giustamente) è che a lui venga data la responsabilità (e, con essa, il potere) di decidere cosa è falso e, quindi bloccarlo.
Come spiegato anche da Zuckerberg verso la fine del video, non spetta a lui il compito di fare fact checking sui contenuti, ma a degli enti esterni. Qualcuno potrebbe dire che si creerebbe uno scenario Orwelliano in cui Zuckerberg potrebbe agire come ministro (o CEO) della verità: basti ricordare il caso del ban delle pagine di ispirazione fascista nel nostro paese (con la motivazione, ufficialmente almeno, di istigazione all’odio), che sollevò la questione dell’ingerenza di Facebook (e non di chi lo usa per diffondere contenuti!) sulla vita politica di un paese.
Si potrebbe controbattere che la censura di un privato non è la censura di un governo: certo! Perché un’impresa non è un governo, ma a maggior ragione per questo non si vede neanche perché il privato dovrebbe perseguire i fini dettati da un governo – al di là del rispettare gli espliciti divieti ed avere responsabilità civile, che è diverso dal seguire una specifica agenda di interesse pubblico. Della responsabilità dell’impresa tuttavia se ne parlerà meglio dopo.
Un altro motivo per il quale dovremmo trovare irrazionale richiedere che una grande multinazionale spenda risorse per scovare e rimuovere notizie false per motivi politici – al di là del fatto che voglia farlo per conto proprio – è che non abbiamo neanche prova che le fake news siano cause di visioni distorte del mondo. Queste ultime ci sono sempre state in abbondanza, e nessuno ha dimostrato finora che questo fenomeno recente dei social network siano un’aggravante e non semplicemente un’espressione adattata alla comunicazione moderna.
4. Questa è l’era delle fake news e il fenomeno va arginato
Non vogliamo dire che questa non sia l’era delle fake news. Ma un lecito dubbio sovviene: sappiamo con certezza che le notizie false siano tipiche di questo tempo? Quello che sappiamo è che le notizie false viaggiano e si diffondono più velocemente che mai, come sappiamo che si propagano spesso in modo diverso dalle notizie più credibili. Sappiamo, allo stesso tempo, che le notizie vere viaggiano e si diffondono più velocemente che mai. Sembrerà una banalità, ma non è chiaro se il rapporto tra notizie false e vere rilanciato dai consumatori sia peggiorato o migliorato nell’era dei social network. Forse, in ogni caso, le notizie false non sono cosí diffuse.
5. Le imprese hanno delle responsabilità verso la collettività: diffondere notizie false è eticamente sbagliato.
Non c’è risposta migliore di questo video.
*Ha collaborato Jolyon Hine
2 comments
Sul punto 2 si commette un errore, che a me sembra self-evident: il problema non è pretendere che una corporation abbia un comportamento eticamente corretto (lasciamo pure tali appiccicaticce argomentazioni a AOC & friends, grazie); il problema è semmai ottenere che l’erogazione di servizi digitali (di tutti i servizi, non certo solamente dei social network) avvenga fuori da un regime di monopolio. Non dobbiamo farci trascinare su posizioni semplicistiche: gli utenti di internet si sono agglutinati su una singola piattaforma (decretandone lo straordinario successo) non perché fosse migliore delle altre o perché si fosse dimostrata vincente in una competizione sulla qualità del servizio. No: il successo dei servizi digitali (tra cui Facebook nella maniera più macroscopica) è dovuto esclusivamente alle esternalità positive legate all’Effetto di Rete (https://en.wikipedia.org/wiki/Network_effect): tutti sono utenti di Facebook perché solo così possono comunicare agli altri utenti di Facebook. E Whatsapp e Twitter e chissà quanti altri: tutti monopolisti, ciascuno nel proprio territorio.
Le operazioni antitrust, così virtuosamente praticate in passato nel paese di Zuckerberg e Ocasio-Cortez, devono uscire dal medioevo old-economy limitato a break-ups e ai regolamenti sulle merger&acqusitions e definire nuove regole affinché l’erogazione dei servizi avvenga in scenari di autentica competizione. Non è impensabile che la cara vecchia europa ci arrivi prima, peraltro: le proposte, provenienti da più parti, di intervenire sui servizi digitali lasciandogli fornire liberamente il proprio prodotto ma imponendo di rendere interoperabili le piattaforme, consentirebbero di ristabilire un territorio di sana e libera competizione.
Guardi, anche se molto migliorato Apple e Microsoft hanno ancora problemi fra di loro. E la convergenza delle due piattaforme ha decretato il successo e la convergenza hardware col risultato che Motorola non fa più i mitici processori per apple che usa intel come tutti gli altri.
Obbligare le piattaforme ad essere interoperative rischia di compromettere la qualità del servizio. Il quale mi sembra già diversificato… Nel senso che esistono diversi operatori che forniscono servizi leggermente diversi nel mondo del social network.
Cosa ne pensa?