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Caso Apple: decisione legittima, effetti drammatici

 

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“Gli Stati membri non possono concedere vantaggi fiscali a determinate società e non a altre: tale trattamento è illegale ai sensi delle norme UE sugli aiuti di Stato.” così Margrethe Vestager, Commissaria responsabile per la Concorrenza, nonché ex leader dei social-liberali danesi, commenta la decisione della Commissione relativa al caso Apple.

L‘indagine, avviata nel giugno 2014, riguardante tra gli altri anche i casi Starbucks e Fiat, è sfociata nell’ormai nota decisione del 30 agosto con la quale la Commissione ritiene il trattamento fiscale riservato dall’Irlanda alla multinazionale di Cupertino illegale ai sensi della disciplina europea in tema di aiuti di Stato e “condanna” Dublino a recuperare l’aiuto per un totale di ben 13 miliardi di euro!

Nello specifico, la Commissione afferma che trattasi di un trattamento selettivo incompatibile con il mercato interno in quanto conferisce ad Apple “un vantaggio considerevole rispetto ad altre imprese soggette alla stessa normativa nazionale“. Difatti, per Bruxelles, dal 2003 al 2014, l’aliquota effettiva sugli utili pagata dalla multinazionale americana non sarebbe stata del 12,5% – tasso del prelievo fiscale sugli utili in Irlanda – ma dell’1% diminuendo gradualmente fino ad arrivare, nel 2014, allo 0,005%. Al riguardo, tale aliquota deriverebbe dall’applicazione di due tax ruling irlandesi – non più in vigore dal 2014 – secondi i quali gli utili attribuibili alle “sedi centrali” non vengono tassati.  Pertanto, forte di questi ruling, Apple avrebbe imputato la stragrande maggioranza degli utili delle due società, registrate in Irlanda e appartenenti al gruppo Apple, a fantomatiche “sedi centrali” esistenti solo sulla carta.

In altri termini, dal 2003 al 2014 la società di diritto irlandese Apple Sales International  su un totale di 16 miliardi di euro di utili, vale a dire tutti i ricavi delle vendite in Europa, solo 50 milioni sono stati considerati imponibili in Irlanda. I restanti 15,50 mld poiché riferiti alle “sedi centrali” di conseguenza non sarebbero stati tassati.

Pertanto, detti ruling avrebbero permesso ad Apple di beneficiare di un trattamento agevolato rispetto alle altre imprese contrario alla disciplina UE sugli aiuti di Stato.  Tuttavia la Commissione può imporre il recupero dell’aiuto solo nel decennio precedente alla prima richiesta di informazioni, avvenuta nel 2013. Ne consegue che il periodo dell’aiuto va dal 2003 al 2013, sono esclusi gli utili del 2014; pertanto il recupero è di “soli” 13 mld di euro!

Ciò detto, per questioni di maggiore chiarezza e per rispondere alle accuse mosse da Apple nella lettera di Tim Cook, occorre riprendere la disciplina UE in tema di State aids. Il primo comma dell’articolo 107 TFUE prevede che: “Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza“.

Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, così come riportato ai punti 71-73 della Sentenza della CGUE nelle cause riunite C-107/09 e  C‑106/09, per aiuti non si intende solo quelli positivi, vale a dire mediante sovvenzioni, bensì qualsiasi altro intervento statale volto ad alleviare i normali oneri di bilancio “Di conseguenza, un provvedimento mediante il quale le pubbliche autorità accordano a determinate imprese un trattamento fiscale vantaggioso che, pur non implicando un trasferimento di risorse da parte dello Stato, collochi i beneficiari in una situazione finanziaria più favorevole di quella degli altri contribuenti costituisce aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (oggi art. 107, comma 1, TFUE).

Nello specifico, per quanto concerne i ruling, in una recente comunicazione sulla nozione di aiuti di Stato, la Commissione afferma che questi costituiscono un vantaggio selettivo quando:

applicano in modo errato la normativa fiscale nazionale e ciò si traduce in una riduzione dell’onere fiscale;

non sono disponibili per imprese che si trovano in una situazione di diritto e di fatto analoga o;

l’amministrazione applica un trattamento fiscale più «favorevole» di quello concesso ad altri contribuenti che si trovano in una situazione di fatto e di diritto analoga”.

Quindi che sia chiaro la decisione, così come specificato nel comunicato, non mira assolutamente ad incidere sulla disciplina fiscale irlandese che impone un’aliquota del 12,5% degli utili sociali, al contrario, mira a che detta aliquota venga applicata a tutti gli operatori e che i concorrenti non subiscano uno svantaggio dal trattamento selettivo riservato ad Apple così come previsto dalle regole sopracitate. Inoltre, la Commissione apre alla possibilità che “l’ammontare delle imposte non versate che le autorità irlandesi devono recuperare verrebbe altresì ridotto se le autorità degli Stati Uniti dovessero imporre ad Apple di versare per il periodo in oggetto importi maggiori alla società madre statunitense per il finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo”.

Cionondimeno, questa decisione si inserisce in un contesto tale in cui la sicurezza giuridica per le imprese è pressoché pari a 0 e solo recenti e tardive iniziative di accordi tra gli Stati potranno sopperire in parte a tale carenza.

Se da un lato, quello giuridico, la decisione appare legittima, in attesa sempre del ricorso dinanzi agli organi giurisdizionali dell’UE, annunciato sia da Apple che dall’Irlanda, dall’altro, quello politico, allo stato attuale, rende l’idea di un’Europa dirigista e autolesionista che nel combattere lo strapotere fiscale delle multinazionali rischia un contraccolpo fatale alla propria economia in termini di occupazione e di investimenti. Lo stesso dicasi per le procedure nei casi Amazon e McDonald’s ancora in corso.

La politica è sempre questione di scelte e il diritto deve saper essere al tempo stesso argine e frutto delle stesse. Il caso Apple è l’emblema di come all’interno dell’UE queste scelte stentino ad essere chiare mentre invece il diritto fa giustamente il proprio corso e le priorità, ancora una volta, non si capiscono. E’ quasi come se Juncker fosse Zeman e l’UE una squadra votata completamente all’attacco trascurando la difesa. Certo, c’è qualcosa di positivo, ma ancora tanto da lavorare per diventare veramente competitivi.

 

 

 

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