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Speaker's Corner

Bettiza, l’aristocratico anticomunista

Con la scomparsa di Enzo Bettiza, all’età di novant’anni appena compiuti, se ne va uno dei grandi del giornalismo del ‘900.

Bettiza è stato: scrittore di successo, di saggi (prevalentemente sul comunismo) e romanzi (esilio, autobiografico, sulla fuga dalla Dalmazia, il più riuscito); politico: senatore nel partito liberale ed europarlamentare per il Psi; ma è nel giornalismo che lasciò una traccia indelebile.

Nato a Spalato nel 1927, esule dalmata dopo l’avvento di Tito, che spogliò la famiglia di tutti i suoi beni tra cui una fabbrica, riparò in un campo profughi inglese in Puglia. Voleva diventare un pittore, ma capì che non era la sua strada. In quel periodo per sbarcare il lunario giocava d’azzardo, vendeva libri usati, fece persino il contrabbandiere.

Amava le donne, ricambiato, e praticava uno stile di vita godereccio.

Assunto a La Stampa di De Benedetti, venne inviato come corrispondente dapprima a Vienna e poi a Mosca, negli anni di Krusciov e della destalinizzazione. I suoi reportage, racconterà in seguito, dovevano passare il vaglio della censura delle autorità russe, l’uso del telefono era alquanto limitato e il ricorso alle fonti proibito.

Quell’esperienza lo segnò profondamente, facendolo diventare un fervente anticomunista, benché fu attratto dal comunismo quando era ventenne (nel 1947 fece campagna per il PCI). Rinnegò quegli anni bollandoli come un errore di gioventù in “La campagna elettorale”. “Perché diventai comunista? – scrisse -. Fui sedotto dall’idea che si potesse dominare la realtà con ogni mezzo, anche il più crudele. E trasformare tutto questo in una grande utopia. C’era forse menzogna peggiore? Follia più grande?”. 

Dedicherà infine 15 anni della sua vita alla scrittura di un libro monumentale di 2000 pagine sugli orrori perpetrati da Stalin (i fantasmi di Mosca, uscito nel 1993). Fu uno dei primi ad arguire che la rottura tra Mosca e la Cina avrebbe provocato la fine del comunismo in Urss.

Il soggiorno a Mosca durò 4 anni. Alla richiesta di tornare in Italia, De Benedetti lo licenziò in tronco (formalmente per i continui ritardi nell’inviare gli articoli). A nulla valsero tre giorni di viaggio in auto da Mosca a Torino per riottenere il posto. Si racconta che, stremato dal viaggio, dovette aspettare davanti all’anticamera dello studio del direttore fino alle 4 del mattino per essere ricevuto.

Ma il suo talento di scrittore, l’essere poliglotta, la vasta conoscenza del centro Europa gli permisero di ottenere da subito un posto come corrispondente speciale al Corriere della Sera, con Alberto Russo direttore. Raccontò ai lettori la primavera di Praga. Per lui quei ragazzi erano i veri eroi del ’68.

Osteggiò e descrisse con toni sprezzanti, quasi feroci, Maria Giulia Crespi e Piero Ottone (“la forfora”,”i piedi caprini”, un uomo falso, bravissimo a simulare e dissimulare, succube dei comunisti). Ottone era accusato di aver corrotto l’anima del giornale. Quando nel 1974 si verificò la diaspora dal Corriere della Sera e nacque Il Giornale nuovo di Montanelli, di cui Bettiza divenne condirettore, fu il più attivo nel cercare di reclutare firme del Corriere e intellettuali francesi.

Il sodalizio con Montanelli non durò a lungo. A dividerli fu la passione di Bettiza per la politica, e in particolare il giudizio su Bettino Craxi. Bettiza si era invaghito politicamente di Craxi, di cui era molto amico, e nel quale ravvisava l‘unico argine al comunismo; Montanelli, come noto, lo detestava apertamente. 

In quel periodo coniò una formula, destinata ad avere successo, il “lib lab” per indicare il liberalsocialismo incarnato a suo modo di vedere da Craxi.

Le schermaglie tra Montanelli e Bettiza ebbero inizio con la scelta di Bettiza – che Montanelli non approvava – di candidarsi al senato. Bettiza pretendeva che Il Giornale facesse campagna per loro, cosa che Montanelli non aveva nessuna intenzione di fare.

I rapporti tra i due si ruppero definitivamente nel 1984. Il pretesto fu la decisione di Montanelli di non pubblicare un articolo scritto da Francesco Damato salmodiante nei confronti di Craxi. Ma la questione di fondo era la linea politica del giornale. Bettiza auspicava una linea più filo socialista e rimproverava a Montanelli l’appoggio alla Dc di De Mita. Montanelli era irremovibile, sostenendo – non a torto – che i lettori non avrebbero compreso quella svolta.

La rottura fu traumatica. I due non si sarebbero più rivolti la parola per tredici anni. Si riappacificarono solo nel 1997 a seguito di un gesto molto apprezzato da Montanelli, allorché Bettiza rifiutò la direzione de Il Giornale, orfano di Feltri, offertagli da Berlusconi (in realtà non per ragioni affettive o di solidarietà nei confronti di Indro, ma in quanto la proposta non lo convinceva perché implicava un ruolo gregario rispetto a Belpietro, che sarebbe stato il direttore effettivo).

Andò a dirigere quindi il Resto del Carlino; e poi ritornò a La Stampa come editorialista.

Negli anni aveva ricevuto molte proposte di collaborazione nei giornali; tra tutte quella di Scalfari, che non si concretizzò per via del veto della prima moglie del fondatore di Repubblica, Simonetta de Benedetti, che accidentalmente era anche la figlia di Giulio De Benedetti.

Fu proprio durante una visita a Repubblica che conobbe quella che poi sarebbe diventata sua moglie, Laura Laurenzi.

A dispetto della sbandata politica per Craxi, politicamente Bettiza era un uomo intimamente conservatore. Scandalizzò molti ammettendo, in un’intervista rilasciata ad Aldo cazzullo nel 2010, di aver votato Lega Nord.

Si definiva uno “scrittore prestato al giornalismo”. Definizione che gli si confà perfettamente.

In tempi in cui nel giornalimo imperano  sciatteria e pressapochismo, mancherà molto la sua scrittura asciutta e sfolgorante, i suoi ritratti, campo in cui era impareggiabile.

 

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