Sono state pubblicate dal Ministero della Salute le nuove linee guida sull’aborto farmacologico, che di fatto semplificano il ricorso alla tanto discussa pillola “RU486”. La decisione, presa dopo il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità (CSS), prevede la possibilità di assunzione del farmaco in regime ambulatoriale o di day hospital, annullando l’obbligo di ricovero e allungando il periodo in cui si può ricorrere a questa procedura da sette a nove settimane di gravidanza. La notizia è rimbalzata da un giornale all’altro e, come prevedibile, ha destato l’indignazione dei soliti noti antiabortisti travestiti da prolife. Tra le critiche piovute abbondano quelle sulle scarse evidenze scientifiche in base alle quali si è espresso il CSS. Analizziamo dunque nel dettaglio quali sono i motivi che hanno portato a questa decisione.
Innanzitutto, occorre portare al centro del dibattito l’opinione delle pazienti: diverse evidenze scientifiche dimostrano, infatti, che dove esistono diverse possibilità di aborto le donne trovano più accettabile la procedura scelta in prima persona. Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che le pazienti siano adeguatamente informate e consigliate da personale medico preparato circa le procedure più adeguate a seconda della durata della gravidanza, dei vantaggi e dei rischi correlati.
Per l’età gestazionale presa in considerazione nelle nuove linee guida, ossia fino al 63esimo giorno di amenorrea, l’OMS raccomanda il ricorso a due differenti metodi di aborto:
- L’aborto chirurgico, mediante aspirazione manuale a vuoto (MVA) o aspirazione a vuoto elettrica (EVA), da non confondere assolutamente con il cosiddetto “raschiamento”, procedura considerata ormai obsoleta.
- L’aborto farmacologico, mediante somministrazione di mifepristone in combinazione ad una prostaglandina (misoprostolo o gemeprost).
Anche se generalmente queste due procedure hanno lo stesso grado di accettabilità, nelle fasi iniziali della gravidanza le pazienti sembrano preferire il ricorso all’aborto farmacologico, mentre quelle che scelgono l’aborto chirurgico lo fanno principalmente per la velocità della procedura (3-10 minuti).
In Italia l’aborto farmacologico mediante mifepristone è stato introdotto nella pratica clinica a partire dal 2009, limitandone l’impiego in regime di ricovero ordinario per tutta la durata del percorso assistenziale (circa tre giorni). Il mifepristone è un ormone steroideo che, agendo da antagonista progestinico, interferisce con il naturale sviluppo embrionale provocando il distacco della mucosa uterina. La successiva assunzione della prostaglandina (a 36-48 ore di distanza) induce le contrazioni e favorisce l’espulsione dell’embrione. Il metodo farmacologico nelle prime nove settimane di gravidanza è efficace in circa il 98% dei casi e solo il 2-5% delle volte necessita di un successivo intervento chirurgico per far fronte ad un aborto incompleto, o ad eventuali sanguinamenti. Prendendo in considerazione invece la possibilità di utilizzo in regime ambulatoriale o day hospital, è stato dimostrato che l’assunzione di mifepristone è ugualmente efficace e sicuro anche quando praticata in ambienti non ospedalieri, e che le donne che non ricorrono a ricovero ordinario riferiscono di non essersi pentite della scelta fatta. Per questi motivi, e per il fatto che può essere utilizzato in sicurezza anche in nazioni in via di sviluppo, il mifepristone è stato inserito dall’OMS nella lista di medicinali essenziali.
Nonostante l’aborto in Italia rientri tra i LEA, ovvero quei livelli essenziali di assistenza che lo Stato è obbligato a soddisfare, il diritto all’interruzione di gravidanza non è sempre garantito: negli ultimi mesi la pandemia ha sommato nuovi problemi, come il sovraffollamento degli ospedali, a quelli storici e ha di fatto ritardato, e in alcuni casi impedito, l’accesso ad un aborto sicuro. L’aggiornamento delle linee guida sull’utilizzo della RU486 è stata una grande vittoria degli attivisti e delle associazioni di ginecologi che chiedevano da anni una revisione, e si prevede riuscirà a meglio garantire la salute riproduttiva, evitando ricoveri spesso superflui e favorendo il ricorso all’aborto farmacologico piuttosto che a quello chirurgico (come già accade in molte nazioni europee).
In conclusione, l’aggiornamento delle linee guida sembra essere perfettamente in accordo con le più recenti evidenze scientifiche e con gli standard terapeutici degli altri Paesi Europei. Inoltre, questo aggiornamento rende pienamente giustizia allo spirito della legge 194/ ’78, la quale prevede che l’interruzione volontaria della gravidanza sia effettuata sulla scorta delle più avanzate conoscenze nel campo e nel rispetto della dignità fisica e psicologica della donna.