Il nuovo Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è prossimo a ricevere la campanella dalle mani di Matteo Renzi. Infranta quindi ogni speranza di elezioni immediate, che comunque era alquanto ingenua vista l’attuale situazione della normativa elettorale.
L’Italicum è una legge elettorale applicabile esclusivamente alla Camera dei Deputati. Questa scelta avventata e irresponsabile è stata determinata dall’idea che la riforma costituzionale sarebbe passata e che quindi il nuovo Senato non sarebbe più stato eletto a suffragio diretto. Visto l’esito del referendum che l’Italia si è appena lasciato alle spalle ci sono due leggi elettorali diverse: l’Italicum per la Camera dei Deputati e il Consultellum per il Senato. Dal momento che il nostro è (ancora) un bicameralismo perfetto, il Governo che si insedierà all’indomani delle prossime elezioni dovrà ottenere la fiducia da entrambi i rami del Parlamento. Da ciò deriva la necessità di avere delle maggioranze omogenee nelle due Assemblee Legislative e di conseguenza la stessa legge elettorale.
Dunque il nuovo Esecutivo si profila come un Governo di scopo, e lo scopo principale sarà (di nuovo) l’approvazione di una legge elettorale. Più facile a dirsi che a farsi, dal momento che la legge elettorale è un argomento sensibile e sensibilmente divisivo. All’alba del Governo Renzi c’era spazio per l’inventiva e per i progetti arditi. Era un Esecutivo che, pur essendo macchiato dal peccato originale del mancato ricorso alle urne (sic!), aveva un’innegabile carica innovativa che in un certo qual modo gli offriva una legittimazione forte. Al contrario, il nuovo Governo puzza già di vecchio, prima ancora di esser nato, e mantiene il medesimo peccato originale del precedente. In altre parole, la legittimazione politica dell’inquilino venturo di Palazzo Chigi rasenta lo zero.
Il momento è quindi delicato, soprattutto se si considera che, con ogni probabilità, chi ha votato NO ha inteso mandare un segnale alquanto inequivocabile: “sciogliete le Camere e ricominciamo”. Non c’è tempo dunque per arzigogoli e discorsi astratti, non c’è tempo per le assurde analisi campate per aria (che puntualmente si rivelano infondate) tanto care alla sinistra nostrana. Ci vuole una legge elettorale subito, una legge elettorale che metta d’accordo la maggioranza tutta, una legge elettorale che non rischi di essere bocciata dalla Corte Costituzionale.
Date le premesse, il risultato si può già agevolmente presagire: proporzionale corretto con una soglia di sbarramento. I più arditi proporranno uno sbarramento al 5%, poi qualche paladino dem della democrazia salirà in cattedra e arringherà il focoso popolo (che non si fa certo pregare) a suon di “dittatura della maggioranza” e di “vogliamo le preferenze”. Così si giungerà ad una mediazione: proporzionale con sbarramento al 3% e preferenze.
Ad ogni modo, se la profezia si avvera faremo un tuffo nel passato. Un ritorno alla Prima Repubblica in piena regola, con ampie maggioranze di governo che saltano dopo un anno, conventio ad excludendum nei confronti del Movimento 5 stelle, vertici di maggioranza e governi balneari.
Temo che il ritorno al futuro che si profila manchi di un elemento: le personalità. Se dovesse avverarsi lo scenario sopra descritto, avremmo l’instabilità politica che ci piace ma non avremmo Andreotti, Spadolini, Napolitano e Saragat.
Ma quali sono i motivi che orientano i principali attori politici verso il proporzionale?
La sinistra (dal PD in poi) sceglie il proporzionale in base ad un’analisi dell’esito del referendum che suona più o meno così: “il popolo ha bocciato la scelta maggioritaria della riforma costituzionale, affermando ancora una volta la vocazione proporzionale italiana”. L’analisi è, al solito, suggestiva ed elaborata quanto infondata. Si può sostenere con ragionevole approssimazione che un buon 70% dei votanti che si sono espressi il 4 dicembre non ha neanche in mente la differenza tra proporzionale e maggioritario.
La destra (a parte Salvini, che non si è espresso) è invece spinta verso il proporzionale da una considerazione pragmatica: il proporzionale fa in modo che per formare un Governo ci si debba coalizzare, ergo col proporzionale i 5 Stelle non governano. Quindi sembra volersi riaffermare il principio della conventio ad excludendum e tutte le logiche che hanno animato la Prima Repubblica.
Ora, a parte questa giusta considerazione, sarebbe cosa buona cercare di capire in cosa è sfociata la Prima Repubblica, lasciando da parte il processo Mani Pulite che ha raggiunto il solo scopo di distruggere dei partiti seri ma corrotti a favore delle macchiette (ugualmente corrotte) che ne hanno preso il posto.
Il vero lascito della Prima Repubblica è stata l’esplosione della spesa pubblica improduttiva, e questa è una storia che può insegnare molto sul futuro che si profila. Ma è una conseguenza praticamente inevitabile, dal momento in cui si esclude dal governo un partito che rappresenta circa un terzo della Nazione. Per tacitare le istanze dei 5 stelle bisognerà regalare mance, o si metterà a rischio la pace sociale.
E’ davvero auspicabile tornare agli schemi della Prima Repubblica con una legge elettorale nettamente proporzionale pur di evitare che i 5 Stelle salgano al Governo? Quello dei populisti è un bluff, per chiudere questa fase storica basterebbe solo dire “vedo” e una risata li seppellirebbe. Quel “vedo” si chiama legge elettorale maggioritaria a turno unico. Con una legge elettorale proporzionale e la sistematica esclusione del M5S dal governo, a seppellirci sarà il debito pubblico.