Nel surreale panorama delle bestialità e dei paradossi che intasano perpetuamente il dibattito politico italiano, la letterina di Matteo Ranzi a Repubblica eccelle per la sua mirabile capacità di esprimere in poche frasi l’atteggiamento mentale di un’intera classe politica, che ha ormai elevato la farsa e il doppiogiochismo da metodo di sopravvivenza a spudorata e cialtronesca filosofia di vita.
Per non tediare oltremodo il lettore, sorvoleremo sulle numerose falsità contenute nel testo, come quella del Regno Unito e della Spagna “cresciute grazie al deficit” o dell’Europa che starebbe “peggio che nel 2008”, per focalizzarci sul tema principale, ovvero quel grido di dolore contro la cosiddetta austerità, che è il motivo unico, dominante, onnipresente e martellante dello stonato coro gospel democratico-pentastellato-leghista trasmesso ormai da quattro anni a reti unificate in tutto l’etere nazionale.
Dunque, in perfetto accordo con Grillo e Salvini, Renzi ribadisce l’arcinota tesi che l’Europa, sull’esempio dei succitati presunti casi di “indisciplina finanziaria felice”, necessiti di una politica fiscale maggiormente espansiva, vale a dire di un incremento del disavanzo pubblico, suggellando tale teorema con la classica excusatio non petita che “comunque no, il governo non intende sgarrare sul deficit“. Ora, a noi pare ovvio e perfino banale che a Roma si preferisca passare giorno e notte a indirizzare doglianze verso Bruxelles e Francoforte o a tifare per i vari piccoli Tsipras, sperando che alla fine Draghi ottenga luce verde per qualcuno dei suoi bei magheggi, piuttosto che a mettere in campo serie riforme che rischierebbero di destabilizzare qualche cricca filogovernativa: il rapporto debito/PIL al 135% non è che il termometro di questa ineguagliabile e immarcescibile inclinazione a comprare indefinitamente tempo e consenso ipotecando il futuro e la libertà dei contribuenti.
Ciò che risulterebbe sbalorditivo invece, se non fossimo tutti noi avvezzi ai contorsionismi logico-argomentativi della politica nostrana, è che il Presidente del Consiglio contrapponga il tema della “crescita” all’idea di un Ministro delle Finanze Europeo, servitagli all’uopo su un piatto d’argento da Scalfari. Infatti il maggiore ostacolo ad una risposta reflattiva alla crisi finanziaria in Europa non è stata certo una fantomatica linea di austerità imposta centralmente da Barroso – e con quali mezzi, di grazia?, se le sanzioni non sono mai state comminate neppure alla Grecia? – bensì proprio il decentramento delle politiche fiscali, che, almeno fino all’intervento suppletivo della BCE, ha costretto i governi nazionali a guardarsi attentamente da possibili fughe di capitali verso i vicini più virtuosi – il famoso condizionamento dello spread, poi spezzato dall’incantesimo di Draghi. La stessa obamanomics, tanto decantata nella missiva, in effetti ha avuto come fulcro proprio quel centro di spesa unificato costituito dal Ministro del Tesoro Federale, che invece Ranzi apparentemente repelle.
Siccome escludiamo di trovarci di fronte a un caso di personalità multiple, riteniamo che a suscitare le resistenze di Palazzo Chigi, più che l’istituzione di un Ministro delle Finanze Europeo in sé, sia lo spettro di quella stringente supervisione comunitaria, che ne sarebbe la probabile contropartita: molto meglio quindi spingere per un nuovo intervento emergenziale dell’Eurotower che invece non sarebbe soggetto ad alcuna condizionalità. Ciò dimostra inequivocabilmente due cose. La prima è che la politica romana è ben consapevole che il vincolo esterno di Bruxelles, cui vengono quotidianamente imputate tutte le scelte impopolari, ad oggi è del tutto insussistente, poiché se l’Italia fosse già ridotta in libertà vigiliata, come spesso si dà ad intendere, essa non avrebbe niente da perdere a scambiare una sovranità già perduta contro una nuova politica economica, anche se quest’ultima non dovesse portarle nulla più che un soldo bucato. La seconda è che questa stessa tanto reclamata nuova politica di crescita in fondo interessa ben poco, dato che a Palazzo Chigi non si è disposti a sacrificarle neppure un centimetro di autonomia decisionale. La posta in gioco per il governo italiano è invece evidentemente unicamente la difesa ad oltranza dell’incomprimibilità e dell’insindacabilità della spesa pubblica nazionale, quali condizioni indispensabili all’efficace amministrazione del consenso clientelare interno. E allora, siccome la pressione fiscale è già esorbitante e il debito fuori controllo – perché di austerità fino ad oggi in Italia si è solamente parlato – ecco che occorre l’intercessione di Draghi affinché la BCE copra le spalle al governo italiano nel suo ambizioso disegno di portare il debito/PIL al 150% e oltre.
In tutto ciò la sguaiata disputa tra un governo europeista e le opposizioni euroscettiche è solo un misera messinscena costruita per il mercato elettorale domestico, laddove in realtà Renzi si è fatto portavoce dell’intero arco parlamentare, da Di Maio a Calderoli, nell’esercizio di questa specie di euroaccattonaggio monetario a beneficio delle corporazioni statali e parastatali, squallidamente spacciato per difesa dell’interesse nazionale. L’europeismo, il federalismo, il sovranismo e qualunque altro ideale, affine o contrario, declamato nei comizi o nei manifesti non sono che maschere perfettamente intercambiabili di tale miserabile questua praticata nei consessi internazionali. Un istrionico teatrino di macchiette, che invocano un’Europa politica solo per poterla delegittimare, che lamentano le sofferenze di un’austerità mai praticata e battibeccano livorosi gridandosi però in faccia gli uni gli altri i medesimi slogan, è tutto quello che questi partiti possono offrirci.
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[…] svalutato l’Euro, col consenso dell’Amministrazione democratica, al solo scopo di proteggere gli stati membri più indisciplinati, ma addirittura accusiamo gli altri incessantemente di mercantilismo, quasi per tenerci pronti ad […]
[…] reca in dote, quale mostruosa quantificazione contabile della propria cialtronesca attitudine a comprare tempo e consenso elettorale con soldi inesistenti. Ma Roma spergiurò di aver imparato dagli errori del passato e si impegnò solennemente a […]