Da mesi, ormai, ci siamo abituati ad ascoltare il Premier, Matteo Renzi, ripetere – come un disco rotto – che il governo abbasserà il cuneo fiscale al fine di rilanciare l’occupazione. Fin dall’inizio della “Seconda Repubblica”, la storiella sulle tasse sul lavoro è stata canticchiata in televisione e sui vari giornali da tutti i Capi di Governo (da Berlusconi a Prodi, da Monti a Letta) ma mai nessun governo è stato successivamente capace di passare dalle parole ai fatti. Risultato: dal 2000-2001 ad oggi, la differenza tra il costo totale del lavoro e quanto incassato dai singoli dipendenti di lavoro non è calata, anzi è aumentata di quasi un punto percentuale.
Forse, in fin dei conti, ai vari governi che si sono succeduti nel corso di questi ultimi due decenni ha sempre fatto comodo così. Aumentare le tasse significa permettere allo stato di spendere di più – e quindi espandere i suoi tentacoli nell’economia); significa permettere ai partiti di instaurare un rapporto di “stampo mafioso” con gli elettori – una finta protezione attraverso l’aumento di scarsi ed inefficienti servizi pubblici in cambio di un semplice voto; significa permettere ai politici di rubare i nostri soldi – giusto ricordare come spiegava Margaret Thatcher negli anni ’80 che non esistono soldi pubblici ma solamente i soldi dei cittadini; significa mettere in difficoltà milioni di piccole e medie imprese, di commercianti, di partite IVA e di lavoratori onesti che dopo aver faticosamente ed orgogliosamente creato ricchezza, si ritrovano spolpati dagli artigli affilati dello stato-leviatano.
Come l’economia reale ci dimostra, durante forti periodi di crisi, le imprese cercano il rilancio attraverso una riduzione dei costi, abbassando il prezzo finale del loro prodotto. Di conseguenza, anche un qualsiasi governo con un briciolo di sale in zucca – meglio smettere subito di credere nei “saggi governanti” alla Platone -, in caso di forti momenti di difficoltà come quelli attuali, dovrebbe cercare il rilancio attraverso una diminuzione dei suoi costi, abbassando le tasse.
Questo banale concetto, a cui anche John Maynard Keynes fa riferimento nel suo “The General Theory of employment, interest and money” (1936), ci permette di spiegare in modo molto chiaro uno dei princìpi cardini del mercato del lavoro: se il costo del lavoro aumenta, il numero degli occupati diminuisce. Se le istituzioni e le norme che regolano il mercato del lavoro – tra cui il cuneo fiscale – rendono tale mercato più “rigido”, sarà sempre più difficile ridurre il tasso naturale di occupazione nel medio-lungo periodo. Ciò implica che sarà sempre più complicato permettere agli Italiani di sperare e sognare un futuro migliore e di rivedere il nostro paese tornare a crescere in modo armonico e sostenuto per un consistente periodo di tempo.
Tradotto in parole più semplici, se il carico del cuneo fiscale – una delle istituzioni che regola il mercato del lavoro – continua ad aumentare – secondo I dati OCSE, la differenza tra costo totale del lavoro e quanto incassato da un dipendente single – senza famiglia – è salita al 47,8% nel 2013, rispetto ad una media OCSE del 35,85% -, la disoccupazione molto faticosamente tornerà a calare nel corso dei prossimi anni.
Tagliare il carico del cuneo fiscale – partendo magari da una forte riduzione dell’IRAP che punti all’eliminazione della stessa, ma andando a contrastare anche il costante aumento di IVA, IRPEF ed IRES – sarebbe un obbligo economico e morale. Politiche di stimolo dell’offerta non solo rimetterebbero in moto un’economia ormai in fin di vita da tempo, permettendo una graduale ma forte diminuzione della disoccupazione nel medio-lungo periodo, ma permetterebbero di ristabilire un più “equo” contratto sociale tra istituzioni statali e cittadini.
Molti pensatori, commentatori, politici di centro-sinistra e di finto centro destra credono convintamente che il “contratto sociale” tra stato e cittadini equivalga ad un mutuo dare per ricevere e che, di conseguenza, il cittadino debba sempre ubbidire alle leggi – spesso esasperate ed inutili – dello stato e pagare tutto ciò che deve senza obiettare mai. Questa versione – molto rivisitata – contemporanea del contratto sociale, evidenzia i doveri dei cittadini nei confronti dello stato e si dimentica, però, degli obblighi dello stato nei confronti dei cittadini. Una simile concezione di “contratto sociale” sembra rifiutare l’idea di John Locke – uno dei padri del “contrattualismo moderno” e tra i fondatori del pensiero liberale classico – secondo la quale “l’unico vero obbligo dello stato è quello di preservare la proprietà privata…Lo stato deve permettere ai singoli privati cittadini di promuovere le loro attività al fine di far prosperare la società nel migliore dei modi” (Secondo trattato sul governo, 1689).
Una riduzione consistente del cuneo fiscale obbligherebbe innanzitutto lo Stato a ridurre le sue spese improduttive ed inefficienti ed al tempo stesso permetterebbe a milioni di aziende e commercianti di risparmiare soldi da poter poi reinvestire in ricerca e sviluppo, in capitale tecnologico (macchinari), in capitale umano ed – infine – di rilanciare i consumi, i consumi ed il livello dei prezzi grazie a questi nuovi, maggiori investimenti.
Un taglio del cuneo fiscale farebbe diminuire nel medio periodo il tasso naturale di disoccupazione e rilancerebbe anche la domanda interna. Purtroppo, questi concetti risultano essere troppo difficili da comprendere nei palazzi di governo e, al momento, ci siamo solo dovuti accontentare degli 80 euro di Renzi – altra politica di “scambio elettorale” che ovviamente non ha funzionato come il governo andava invece raccontando.
Nel frattempo, il tessuto industriale italiano fa sempre più fatica a rimanere al passo e si assottiglia giorno dopo giorno con migliaia di aziende chiudono ogni mese, il governo vara i punti chiave del “Jobs Act” (che rimane ancora un mistero) e spiega che nel 2015 ci saranno tagli pari a 20 miliardi quando in realtà le carte cantano di 4 miseri miliardi, i sindacati scioperano per il gusto di scioperare e il ruolo dello stato è sempre più ingombrante.
Esattamente 241 anni fa, in questi giorni di metà Dicembre, nel 1773, il Boston Tea Party, si ribellò alla decisione del Parlamento Britannico di imporre una ingiusta tassa sul tèa. In Italia, oggi, è invece giunto il momento di chiedere al governo di ridurre il peso di centinaia di tasse ingiuste, partendo proprio dal cuneo fiscale.
“Riscuotere più tasse di quanto è assolutamente necessario è semplicemente una rapina legalizzata a spese dei cittadini onesti e operosi” (Calvin Coolidge, 1872-1933, 30° presidente degli Stati Uniti).
9 comments
Buongiorno; per quello che mi riguarda sono pienamente d’accordo ma credo che il problema sia come farlo capire a tutta la gente.
Buongiorno, e grazie per il commento, innanzitutto. Come scrive giustamente lei, Sig.Mattioli, il problema principale, in Italia, è cercare di far passare il messaggio che anche lo Stato ha obblighi e doveri nei confronti dei cittadini. La sfida è chiaramente molto difficile visto che molti dei nostri politicanti, giornalisti e pensatori (“da strapazzo”, mi permetto di aggiungere) reputa che le tasse non sia troppe (giusto l’altro ieri mattina una giornalista del Sole24Ore spiegava come il “problema principale non siano le troppe tasse ma sia altro”) e che lo stato sia sempre la soluzione (quando in realtà, invece, credo che sia molto spesso il problema). Per cercare di vincere questa bellissima sfida credo sia importante continuare a raccontare quello che la teoria economica e la realtà ci spiegano ogni giorno, senza sentirsi mai sconfitti. Solo partendo da questo punto è possibile cercare di spiegare alla gente che pagare meno tasse è bello e che, più lo stato cresce, più la nostra libertà economica (ma non solo) diminuisce. Da qualche anno ho inziato a battermi per provare a dare un futuro migliore al nostro paese e continuerò a farlo in futuro, con sempre più passione. Tutti noi insieme possiamo farcela.
Grazie ancora. Le auguro una bella giornata.
Distinti Saluti,
Giovanni Caccavello
Ho già commentato questo articolo ma mi viene in mente un’altra cosa : il cuneo fiscale è una somma proporzionata al reddito di ciascun lavoratore dipendente destinata a ……. a che cosa ?
Il problema non è soltano quanto elevato sia questo cuneo, ma anche la sua destinazione d’uso.
I problemi sono due :
1) Un cuneo fiscale elevato induce le imprese a delocalizzare per avere un costo del lavoro più basso. Questo è già un problema in sè.
2) Alto o basso che sia il cuneo fiscale sono soldi prelevati al lavoratore, di cui il lavoratore non conosce la destinazione e di cui non in grado di valutare l’utilità marginale.
Dal punto di vista del lavoratore occupato, un cuneo fiscale elevato che si traduca in una quantità misurabile e soddisfacente di servizi a lui resi, poò anche essere gradito. Non lo è nella misura in cui il lavoratore non è in grado di stabilire alcun rapporto tra servizi resi e prezzo fiscale pagato.
Il primo elemento da aggredire è questo : la trasparenza tra spesa e servizio reso. Solo in seguito si può aggredire la spesa, sino al limite inferiore oltre il quale il servizio reso si considera non sufficiente e non sopportabile.
Ciao, bell’articolo, pienamente d’accordo su tutta la linea.
Sono curioso a proposito del grafico però, che non mi è chiaro al 100%.
“WS” immagino rappresenti il work supply. “E” è spiegato. Ma mi sfuggono le linee PS ed L.
Buonasera Wtfzambo (nome molto artistico, lo ammetto, chapeau…hehe).
Rispondo subito alla sua domanda, molto specifica ma giustissima. Premetto di avere avuto difficoltà ad inserire il grafico e mi è davvero sfuggito il fatto di non aver menzionato cosa siano le fare curve (linee).
Allora:
WS, sarebbe la “Wage-Setting Curve”: curva che mette in evidenza il salario che i lavoratori riescono a percepire una volta che datori di lavoro e sindacati (riporto il modello base tenendo conto di tutte le varie “istituzioni”) si sono accordati.
PS, sarebbe la “Price-Setting Curve”: curva che mette in evidenza il prezzo deciso dalle aziende che interagiscono in un mercato competitivo.
L, per finire, equivale alla forza lavoro totale (0% di disoccupazione, cosa impossibile, mi serviva solo per far vedere che il livello di occupazione aumenta e il tasso naturale di disoccupazione diminuisce passando E a E*).
Equazioni del modello WS-PS:
Wage-Setting Curve (W^WS ): W^WS=b×(E,z)
Price-Setting Curve (W^PS ): W^PS=λ×f×(μ,z)
Spero di essere stato di aiuto. Non si faccia problemi per altre domande.
Saluti,
Giovanni Caccavello
Grazie mille per la chiarificazione.
Wtfzambo è il nickname, non avevo capito fosse d’uopo inserire il nome vero.
Non lo è. Comunque sapevo lo stesso chi eri!
Ma va :D?
Il problema della politica non è MAI che cosa sia giusto fare ma A CHI interessa una cosa da fare e se questa cosa si possa tradurre in POTERE POLITICO.
Se ridurre il cuneo fiscale o abbattere le tasse fosse funzionale ad ingrossare le fila dei sostenitori di chi detiene il potere, verrebbe fatto immediatamente, ma il POTERE si nutre in Italia, da sempre, dell’appoggio di una vasta e ramificata classe parassitaria o comunque dipendente dalla spesa pubblica per la sua sopravvivenza.
Questa vasta classe sociale ha tutto da perdere da una riduzione della spesa pubblica e quindi un potere politico che si basi su questa classe sociale non farà mai nulla di serio nella direzione auspicata.
Sino a quando un’altra classe scìociale sufficientemente vasta non prenderà coscienza di sè e non dimostrerà la capacità di darsi una consistente forza politica non ci sarà mai alcun vero cambiamento.