Il Complottedì torna in pompa magna con un quesito a dir poco irrisolvibile: e se la realtà non fosse altro che una “matrice” progettata e scritta da intelligenze esterne come un videogioco estremamente complesso? Ecco la teoria pseudoscientifica che seduce da anni la comunità scientifica.
Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.
Matrix (1999)
Il cult delle sorelle Wachowski è la storia di una realtà che si rivela null’altro che una “neurosimulazione interattiva” iperrealistica governata da macchine senzienti in un futuro distopico in cui l’umanità è stata sconfitta. Nella trilogia di Matrix, i tre protagonisti Neo, Morpheus e Trinity manipolano e sfruttano i bug dell’illusione creata dalle macchine per contrastare gli Agenti, programmi senzienti deputati a mantenere l’ordine e l’inconsapevolezza degli ignari abitanti del Matrix. Solo un film, direte voi. Se non fosse che, stando al lavoro di diversi ricercatori che hanno preso seriamente in considerazione l’idea, non è assurdo pensare che il nostro universo sia una simulazione artificiale e olografica (letteralmente un universo-ologramma) programmata da esseri intelligenti di una differente realtà, esattamente come accade per la realtà virtuale in un videogioco.
Alla base c’è l’idea che il nostro universo sia riducibile a una struttura logico-matematica (esattamente come un programma informatico) con condizioni che rendono la vita possibile e che le sue quasi perfette regolarità siano altrimenti inspiegabili. Stando alla meccanica quantistica, vi è un limite nella “risoluzione” alla quale si può osservare l’universo (per l’appunto il livello quantistico della realtà) e, in questo scenario, ai pixel della nostra grafica corrisponderebbe la lunghezza di Planck, il limite oltre il quale il concetto stesso di lunghezza perde di significato. Da questa simulazione, tuttavia, non sarebbe possibile uscire, poiché essa costituirebbe la nostra unica occasione di esistere. Per quanto improbabile e apparentemente fantascientifico, questa è una delle tante possibilità che qualcuno ha deciso di considerare.
Nel 2014, infatti, i fisici del Fermi National Laboratory hanno ideato un esperimento chiamato “The Holometer” con l’obiettivo di capire se il nostro spazio tridimensionale potrebbe essere un’illusione olografica bidimensionale simile ai pixel di uno schermo, con le informazioni sul nostro universo contenute in pacchetti bidimensionali molto piccoli. Questi “pixel dello spazio” sono chiamati scala di Planck e sono circa 10 bilioni di volte più piccoli di un atomo.
Dal momento che, se lo spazio fosse fatto di bit bidimensionali, cadrebbe nel regime dell’incertezza quantistica, i fisici hanno costruito un interferometro olografico, lo strumento più sensibile mai creato per misurare lo spostamento quantistico dello spazio. Composto da due fasci laser ad alta intensità divisi da uno specchio parzialmente riflettente e inviati perpendicolarmente lungo due bracci di 40 metri, quando i fasci colpiscono lo splitter per la seconda volta, il movimento dello splitter può causare fluttuazioni nella luminosità dei fasci, indicando che lo spazio è in continua vibrazione come un’onda bidimensionale. Aaron Chou, ricercatore del Fermilab e responsabile dell’esperimento, ha spiegato che trovare vibrazioni che non provengono da sorgenti già note potrebbe rivelare qualcosa di fondamentale sulla natura dello spazio-tempo.
La realtà simulata
Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?
Matrix (1999)
Nell’aprile 2016 alcuni scienziati ne hanno discusso all’Isaac Asimov Memorial Debate al Museo di storia naturale di New York e il celebre astrofisico Neil deGrasse Tyson suppose che le probabilità di vivere in una simulazione computerizzata avanzata potrebbero ammontare al 50%, un numero paraculo ma non indifferente per un’idea così assurda da considerare. Lo stesso imprenditore Elon Musk afferma da anni che stiamo vivendo all’interno di una realtà completamente simulata e costruita da potenti computer e che la possibilità che non sia così è una su un miliardo, e non il contrario. L’ipotesi di Musk si poggia sull’idea che, se il progresso tecnologico dell’umanità continuasse al ritmo attuale, prima o poi i supercomputer sarebbero in grado di generare delle realtà virtuali perfettamente aderenti alla realtà fisica di partenza. Tali simulatori, benché inconsapevoli delle “irrealtà” da loro create, cominceranno a produrre realtà virtuali alternative proprie.
Musk ritiene inoltre che gli oggetti che popolano l’universo potrebbero ridursi a semplici informazioni gestite in qualche modo in termini computazionali e che le nostre sensazioni sarebbero input sensoriali simulati. Nonostante le smentite del mondo scientifico, anche alcuni fisici presumono che la natura, al suo livello fondamentale, sia costituita da pura informazione (non sono poche le ipotesi o le teorie informazionali della realtà, dalle stringhe alla meccanica quantistica, dalla Integrated Information Theory alla CTMU), tale che ogni altro aspetto o elemento della realtà, come le costanti naturali e le interazioni particellari, sarebbe analogo a una forma di calcolo: è proprio il fisico e informatico del MIT Seth Lloyd a paragonare l’universo ad un immenso computer quantistico. «Se guardi le viscere dell’universo – la struttura della materia nella sua scala più piccola – ti rendi conto che non sono altro che bit che eseguono operazioni digitali locali» ha sostenuto Lloyd..
Secondo il fisico e cosmologo americano Alan Guth il nostro universo potrebbe configurarsi come un esperimento portato avanti da qualche super-intelligenza, mentre il fisico Alain Aspect ha dimostrato in un esperimento che la rete di particelle subatomiche che compone il nostro universo, il tessuto della realtà, possiede quelle che sembrano essere innegabili proprietà olografiche. «Anche la Bank of America» scriveva Repubblica nel 2016 «ha sposato la tesi sostenendo che le possibilità che ci ritroviamo in una clamorosa messinscena frutto di un futuro già avvenuto possa darsi probabile in una forchetta fra il 20% e il 50%. Almeno, questa è la media delle convinzioni di molti esperti, filosofi e futurologi». Nel rapporto si leggeva infatti: «È possibile che grazie agli avanzamenti dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale e della potenza di calcolo i membri di future civiltà abbiano deciso di avviare una simulazione dei loro antenati».
Nulla di nuovo sotto il sole: filosofia e scienza di confine
Quello sulla natura e sul fondamento della realtà è forse il più antico problema filosofico e scientifico della storia umana: dalla metafisica all’epistemologia, passando per teologia, psicologia, chimica e fisica, la questione sulla “realtà della realtà” ha occupato pensatori e studiosi per millenni, toccando sia la comunità scientifica che le teorie cospirazioniste. Idealismo, soggettivismo, solipsismo, scetticismo metafisico, postmodernismo e costruttivismo sono solo alcune delle correnti filosofiche che hanno variamente messo in discussione la verità, l’oggettività della realtà, la possibilità di conoscere il mondo e l’esistenza stessa di una realtà esterna effettiva, ripensando il tutto come costrutti sociali, culturali e mentali o come mere percezioni e convinzioni soggettive. La stessa fisica teorica, ieri come oggi, tende a interrogarsi sulla natura della realtà, non di rado ponendo dubbi sugli assunti realisti e oggettivisti su cui il metodo scientifico, lo scetticismo scientifico e l’empirismo si fondano metodologicamente.
I problemi teorici posti dal nostro complicato rapporto con la realtà, sia in termini epistemici che in termini esistenziali, sono anzitutto legati a tutto quel filone delle scienze cognitive, delle scienze sociali e della filosofia teoretica inerente i processi narrativi e il modo in cui ci relazioniamo all’ambiente e alle cose da un punto di vista percettivo, cognitivo e rappresentazionale. In generale e, più specificamente, nel processo scientifico, il dibattito sulla realtà è oggetto delle epistemologie realiste e antirealiste, articolate in numerosi approcci. Il realismo (metafisico, scientifico, ontologico e indiretto) assume l’esistenza di una realtà oggettiva indipendente dai nostri schemi cognitivi, dalle nostre pratiche linguistiche e dalle nostre credenze e sostiene una prospettiva corrispondentista per cui la verità consiste in una qualche forma di corrispondenza dei pensieri alla realtà ed è conoscibile attraverso l’esperienza e l’osservazione. Al contrario, l’antirealismo nega la realtà oggettiva, riducendola alla nostra percezione (è il caso del filosofo e teologo Berkeley), alla nostra interpretazione e alle nostre rappresentazioni mentali che fungono da interfaccia cognitiva col mondo.
Senza scomodare le nozioni di simulacro e simulazione in Baudrillard, l’intuizione che la realtà sia un’illusione o un’allucinazione collettiva è un concetto molto antico nelle filosofie occidentali e orientali ed è noto come il problema dello scetticismo circa il mondo esterno: in fondo, «[…] nulla vieta che anche quello che Neo sta esperendo in quel momento, cioè l’incontro con Morpheus, possa essere, in verità, nulla più di una simulazione.» osserva la professoressa di filosofia del linguaggio Annalisa Coliva, docente dell’Università di Modena e di Reggio Emilia interessata ai problemi epistemologici dello scetticismo e della filosofia anlitica, «Molto del fascino di ‘The Matrix’ dipende proprio dal fatto che non si possa mai davvero sapere se Neo stia realmente combattendo contro le macchine per salvare l’umanità, oppure se anche questo sia un effetto della manipolazione da parte delle macchine (o chissà di chi altri).»
Nella riflessione filosofica tradizionale indiana, la teoria che la realtà sia una proiezione della mente è presente nella sua forma più estrema nella mistica dell’Advaita Vedānta e nella dottrina mistica dell’illusione fenomenica di Māyā e trae origine dalla speculazione cosmogonica sulle Upanishad indù, mentre in Cina il filosofo e mistico Zhuāngzǐ, dopo aver sognato di essere una farfalla libera e spensierata, come capire se fosse lui ad aver fatto quel sogno o se piuttosto fosse una farfalla che aveva appena iniziato a sognare di essere Zhuangzi (una cosa nota in letteratura come Butterfly Dream). In Occidente, invece, è Platone il primo a pronunciarsi su simili tesi (già con il mito della caverna, se vogliamo) e introduce il concetto di mimesis per riferirsi alla costante imitazione che la realtà materiale opera per somigliare il più possibile agli universali dell’Iperuranio, al mondo delle idee perfette e immutabili. Ma questa teoria della realtà è rintracciabile anche in Plotino, nell’influenza religiosa gnostica, nei dubbi e paradossi scettici (in particolare Cartesio e Hume).
Proprio Cartesio, nelle sue meditazioni filosofiche, spinge lo scetticismo al limite con il dubbio iperbolico, immaginando che la realtà e il pensiero siano un sogno ingannevole perpetrato da un genio maligno. Tesi poi indirettamente ripresa dal filosofo analitico Hilary Putnam nel suo celebre esperimento mentale del cervello in una vasca, in cui si configura la possibilità – quantomeno speculativa – che noi siamo null’altro che cervelli biologicamente funzionanti inseriti in vasche nutrienti e connessi a computer estremamente avanzanti in grado di simulare una realtà percepibile sensorialmente. Stimoli mirati e prodotti artificialmente che coinvolgano le reti neurali e le aree correlate con percezione e sensazione potrebbero, almeno virtualmente, generare un’illusione di realtà altamente strutturata (qualcosa di simile a degli stati allucinatori particolarmente complessi, ai sogni lucidi, ai disturbi percettivi o ai sintomi della schizofrenia) e, nell’esperimento di Putnam, controllata da macchine o geni maligni. Baudrillard e Putnam sono proprio, a detta delle registe, le maggiori ispirazioni concettuali della saga di Matrix.
Nel bundle delle dottrine sulla realtà, impossibile non annoverare poi il fenomenismo, la tesi (sostenuta persino da Bertrand Russell) secondo cui gli oggetti fisici non esistono in quanto cose in sé, ma solamente come eventi percettivi o stimoli sensoriali, e l’idealismo, che da Platone ai tedeschi ha a più riprese sostenuto l’irrealtà della realtà, concretizzata solo nel soggetto trascendentale (l’Io penso, il soggetto conoscitivo). Se la versione proposta da Musk fosse veritiera, il mondo in cui pensiamo di vivere oggi sarebbe solo una delle tante simulazioni dell’originale. E a questo punto, buttiamo nel mucchio tutto: eventi anomali di sorta, fenomeni paranormali, memorie di vite passate… tutti “bug” del programma o interventi studiati dalla macchina, direbbe qualcuno. D’altronde, «che cosa vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”. Se per reale ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel “reale” sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello».
L’argomento della simulazione
Diversamente dalle teorizzazioni filosofiche, le posizioni espresse da scienziati e teorici contemporanei si rifanno più o meno esplicitamente alle tesi scettiche del filosofo svedese Nick Bostrom, impegnato in studi sul rischio esistenziale comportato dal transumanesimo e dall’Intelligenza Artificiale, sulla clonazione, sulle nanotecnologie e sul trasferimento di coscienza. Direttore fondatore del Future of Humanity Institute e del Programma sugli impatti della Future Technology della Oxford Martin School, ha introdotto l’argomento sulla simulazione in un suo chiacchierato paper, tutt’ora al centro di ampi dibattiti e foraggiato dallo stesso deGrasse Tyson, che ha esteso la teoria all’intero universo. Esso riguarda l’eventualità che civiltà intelligenti evolute abbiano raggiunto, a un certo stadio evolutivo, la maturità tecnologica e la potenza computazionale necessarie a creare una simulazione avanzata della vita umana, magari allo scopo di studiare l’evoluzione di specie primitive.
In particolare, Bostrom afferma che almeno una delle seguenti affermazioni è probabilmente vera:
- Nessuna civiltà raggiungerà mai un livello di maturità tecnologica in grado di creare realtà simulate.
- Nessuna civiltà che abbia raggiunto uno status tecnologico sufficientemente avanzato produrrà una realtà simulata pur potendolo fare, per una qualsiasi ragione, come l’uso della potenza di calcolo per compiti diversi dalla simulazione virtuale, oppure per considerazioni di ordine etico (ritenendo, ad esempio, immorale l’utilizzo di soggetti tenuti “prigionieri” all’interno di realtà simulate).
- Tutti i soggetti con il nostro genere di esperienze stanno vivendo all’interno di una simulazione in atto.
L’astrofisico e cosmologo George Fitzgerald Smoot ha osservato che non esistono sufficienti ragioni per credere vere le prime due sentenze. Derivando dalle tre affermazioni il teorema “Se si pensa che gli argomenti (1) e (2) siano entrambi probabilisticamente falsi, si dovrebbe allora accettare come assai probabile l’argomento (3)“, Bostrom lo formalizza matematicamente e determina delle approssimazioni statistiche a supporto dell’ipotesi. La tesi di Bostrom, per quanto appaia indimostrabile, è assolutamente falsificabile e può essere scientificamente trattata. L’autore ritiene che una realtà simulata di questo genere non contempli necessariamente esseri coscienti come abitanti della simulazione, ma non è impossibile che includa esseri programmati con una tale complessità da avere lo stesso tipo di esperienze coscienti che abbiamo noi (i cervelli simulati sarebbero così parte integrante di questo “universo matrice”).
Una mente olografica
Addirittura il lavoro neuroscientifico di Karl Pribram, medico neurochirurgo austriaco, professore di psichiatria e psicologia, svela che è possibile pensare al funzionamento del cervello secondo un’analogia olografica, poiché i ricordi non vengono immagazzinati in un’area specifica, ma sono ‘spalmati’ su diverse reti neurali altamente distribuite, come un ologramma in cui, per definizione, ogni parte contiene tutta l’informazione. Pribram è il co-ideatore, insieme a David Böhm, della Holomonic brain theory (teoria del cervello olomonico), secondo cui noi vedremmo solo l’informazione quantistica degli oggetti. Nel libro di Böhm “Universo, mente e materia” del 1966 (che, rispetto agli standard della letteratura scientifica, è praticamente preistoria), il fisico e filosofo statunitense asserisce che nell’universo esisterebbe un “ordine esplicito”, che vediamo, e un “ordine implicito”, che non vediamo e che egli paragona a un ologramma nel quale la struttura complessiva è identificabile in ogni sua singola parte.
Il problema scientifico ed epistemologico della Simulation Theory
La plausibilità di una teoria che concepisce la realtà come una simulazione, cioè come un grande ologramma di natura computazionale codificato da chissà quale super-intelligenza, solleva numerosi interrogativi: la nostra tensione esistenziale verso le grandi domande dell’uomo è un glitch di questo sistema virtuale o è parte della nostra programmazione? Il raggiungimento di questa consapevolezza era imprevisto o prestabilito?
Come il fisico Carlo Rovelli, il docente di psicologia Riccardo Manzotti non è d’accordo con Musk. L’idea che lo sviluppo tecnologico sia un indizio che siamo un mondo simulato artificialmente non regge, dice Manzotti, perché una simulazione è per definizione l’imitazione di qualcosa ed è in genere della stessa composizione: prendendo vita attraverso supporti materiali come schede, chip, plastica, carbonio, display, console e visori, la realtà virtuale che usiamo oggi non è affatto immateriale come si potrebbe pensare, ma è una porzione di materia che interagisce col nostro cervello. Dunque, se noi fossimo una simulazione, saremmo comunque parte del mondo reale di partenza e non qualcosa di diverso o separato.
Anche deGrasse Tyson è scettico sulla teoria della simulazione, ma asserisce che l’unica evidenza che possa avvalorarla è che, a un certo punto, raggiungiamo le condizioni tecnologiche per produrne a nostra volta una simulazione fedele, come sostiene anche Musk. Questo perché (ed è la migliore argomentazione che abbiamo, nonostante sia comunque piuttosto debole) se la nostra realtà è la simulazione di una originale, deve conservarne necessariamente almeno le caratteristiche fondamentali (altrimenti non è una simulazione, by definition): se fossi il “simulatore”, non solo dovrei ispirarmi alla mia realtà per creare una simulazione della stessa che possa includere la vita intelligente (e già questo assicura delle prime somiglianze), ma è altamente probabile che una simulazione artificiale riuscita contenga in sé la possibilità tecnologica di essere ulteriormente simulata a matrioska.
Ergo, benché adesso non ci sia possibile fisicamente e tecnologicamente simulare il nostro universo, la sola possibilità di farlo in futuro (motivo per cui è nata l’ipotesi della simulazione) potrebbe essere un buon indizio del fatto che noi stessi siamo simulati? deGrasse Tyson afferma che, se adesso non possiamo simulare il nostro mondo, due sono le opzioni: o siamo noi la realtà di partenza (e dunque non siamo simulati a nostra volta, ma sia autentici), o siamo nella catena di simulazioni successive, ma in un momento del tempo in cui non abbiamo ancora scoperto come simularci. Il dubbio principale che deGrasse Tyson adduce è però il rischio di un regresso all’infinito: se ogni simulazione conserva almeno gli elementi fondamentali della realtà precedente (se non tutti) e quindi ogni mondo può raggiungere la maturità tecnologica per simulare se stesso, come si può risalire a quello di partenza? E noi dove siamo nella catena?
Ma deGrasse Tyson può fare sonni tranquilli: secondo i fisici Zohar Ringel e Dmitry Kovrizhin, l’informazione necessaria per simulare il comportamento anche solo di un centinaio di elettroni richiederebbe un calcolatore con una memoria fisica compsta da più atomi di quelli contenuti nello stesso universo.
Inoltre, la fisica statunitense della Harvard University Lisa Randall sostiene che la consapevolezza di vivere in una simulazione non modificherebbe, o almeno non dovrebbe, il modo in cui investighiamo la realtà: dal punto di vista logico non è affatto preclusa la possibilità, da parte di eventuali esseri intelligenti nella simulazione, di accorgersi di falle, errori di programmazione o anomalie all’interno della stessa. E d’altro canto nessuno rimarrebbe tanto condizionato da annichilirsi, pur sapendo che tutto è potenzialmente frutto di una virtualizzazione altamente strutturata: se muori nella realtà simulata, muori definitivamente esattamente come se non lo fosse. Al massimo questo potrebbe influenzare significativamente le prospettive metafisiche, religiose e spirituali dominanti.
In ogni caso, la domanda vera è: se questa ipotesi fosse vera, come potremmo saperlo? E come potremmo studiarla scientificamente? Quale che sia la risposta (se ce n’è una), la teoria della simulazione è per adesso un suggestivo costrutto filosofico che ha attirato le attenzioni della comunità scientifica, ma su cui è ancora impossibile trarre delle conclusioni rilevanti o degne di nota. Al netto delle possibili evidenze e dei deliri di alcuni, questa ipotesi è scienza di confine ma, laddove è trattata con la dovuta cautela scientifica, ci permette di affacciarci su un’infinità di nuovi modi di vedere il mondo che ci circonda e di interpretare una natura tanto complessa da sembrare improbabile.
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1 comment
bello, eh sì (scrissi una teoria simile ma leggermente diversa a natale 2009)
ps “ma sia autentici”