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No alla legge Zan

Vi sono svariate ragioni – e non sono quelle della destra più becera e integralista a la Gandolfini, Salvini, Meloni – per cui essere contrari alla legge Zan: una legge raffazzonata, un accrocchio dal punto di vista giuridico, oltreché un inutile feticcio ideologico.

Il primo busillis della legge è l’idea di fondo, propugnata dai suoi estensori (Boldrini, Zan ecc) e da larga parte di quella cultura politica per cui per risolvere un problema specifico (in questo caso le aggressioni e le discriminazioni subite dagli omosessuali) basti emanare una legge. In Italia ci sono troppi femminicidi (che termine orribile!)? Promulghiamo una legge e questa piaga, come per magia, scomparirà da sé. Secondo questa visione distorta della realtà bisognerebbe normare su ogni questione sociale – contribuendo all’attuale superfetazione legislativa – così da eradicare ogni stortura umana. Il pampenalismo adoperato al fine di raddrizzare “il legno storto dell’umanità” per dirla con Kant. Non solo. Il dl Zan è il portato di quella “cultura dei diritti” coltivata negli ultimi lustri dalla sinistra. “Continuiamo ad aggiungere diritti, i quali altro non sono se non desideri che si trasformano in norme giuridiche“, ha chiosato Michele Ainis.

Inoltre, è altresì discutibile, da un punto di vista strettamente giuridico/garantista, l’idea – rectius l’illusione – che l’inasprimento delle pene (la legge Zan prevede: fino a 4 anni di detenzione e poi eventualmente un anno di domiciliari, lavori socialmente utili, cospicui risarcimenti, ritiro di passaporto, patente e documenti validi per l’espatrio, divieto per 3 anni di partecipare a una campagna elettorale) abbia un effetto deterrente nei confronti di chi commette reati. La repressione è inefficace nel dissuadere da comportamenti devianti. Aver letto non dico Nordio o Fiandaca, ma almeno Montesquieu e Beccaria, per limitarsi ai classici, sarebbe chiedere troppo. Ad ogni modo, ciò è perfettamente coerente con la concezione delle leggi come panacea di ogni male, di cui si è detto sopra; e consustanziale all’idea di “rieducare i reprobi” (definizione brillante di Ricolfi) mediante le leggi. Così come è arduo per un liberale difendere la legge Mancino (di fatto la Zan ne è un’estensione) per motivi che non sto qui a richiamare.

Intendiamoci: le leggi possono innescare cambiamenti sociali. Ma da sole non bastano, come insegnava il compianto Sartori. Mutamenti sociali di questa portata (la scomparsa di ogni tipo di discriminazione legata all’orientamento sessuale degli individui, obbiettivo auspicato da ogni persona assennata) richiedono una lunga gestazione, passano dallo sdoganamento prima e da una normalizzazione poi dell’omosessualità; assai difficilmente possono essere determinati da singole norme. Che basti introdurre un’aggravante specifica per chi aggredisce o discrimina una persona omosessuale per arginare il fenomeno dunque è una mera illusione. Tutt’al più la legge Zan può rappresentare, da questo punto di vista, un segnale di tutela delle minoranze. Ma allora sarebbe onesto ammettere che una legge siffatta avrebbe una valenza puramente simbolica.

Il secondo punto di dissenso concerne il fatto che in Italia non esiste alcun vuoto normativo nel caso di aggressioni. Pertanto non serve una legge ad hoc. A sentir i proponenti sembra invece che l’Italia sia ancora un Paese profondamente incivile e oscurantista in cui le persone omosessuali vengono sovente malmenate da qualche balordo; mentre i loro seviziatori la fanno franca. È una narrazione di comodo, tendenziosa. Stiamo parlando di meno di una cinquantina di casi segnalati ogni anno. Intollerabili certo, ma statisticamente irrilevanti (lo stesso si può dire dei “femminicidi”, in costante declino negli ultimi anni, a dispetto della presunta emergenza e dei toni allarmistici propalati dai media). Questo per inquadrare i fatti, non per sminuirne la gravità. Nel caso di aggressioni di stampo omofobo, i giudici hanno già tutti gli strumenti giuridici per applicare aggravanti (i cosiddetti abietti e futili motivi previsti dal codice penale).

Ma veniamo al contenuto. La legge Zan introduce il principio (non meglio precisato) di “identità di genere“, un riferimento obliquo e pernicioso in ossequio all’ideologia queer/gender. Ora da che mondo è mondo, dal punto di vista biologico, i sessi sono due, così come i generi: uomo e donna, maschile e femminile (per aver ribadito questa ovvietà, corrispondente a una visione binaria dei sessi, la scrittrice Jk Rowling è stata linciata a mezzo social). Il genere non è altro che una sovrastruttura, per dirla in termini marxiani, una sorta di costruzione sociale storicamente determinata. Attraverso il concetto di identità di genere si vorrebbe scardinare questo paradigma atavico. Non conta il sesso biologico, ma l’identità – maschile o femminile – che la singola persona percepisce e poi dichiara in un documento (self id).

Le implicazioni sarebbero dirompenti e nefaste. Uomini che accedono agli spazi (bagni pubblici, spogliatoi) riservati alle donne. Atleti trans ex uomini che gareggiano nelle stesse competizioni femminili alterandone proditoriamente il risultato, giacché un’atleta donna non potrà mai competere, sul piano della mera forza fisica, con un uomo. Un trans donna che in precedenza era un uomo potrà pure sottoporsi a tutte le cure e cambiare i propri connotati, ma dal punto di vista morfologico sempre un uomo rimane. Dovrebbe essere pacifico; e invece, l’amministrazione Biden ha dato il suo placet alla partecipazione di atleti trans ai prossimi giochi olimpici. Su questo, la giornalista, scrittrice e femminista Marina Terragni ha messo in guardia, sulla Stampa, citando i casi avvenuti in California di coloro che, una volta arrestati, si dichiarano donne perpetrando stupri efferati nelle carceri oppure dell’episodio, grottesco, di quel politico americano che, sfruttando il cambiamento di sesso, è riuscito ad accedere a cariche pubbliche riservate alle donne. Sono rischi reali denunciati da più parti (ad esempio Martina Navratilova, anche lei subissata di improperi per aver manifestato la propria contrarietà agli atleti trans uomini, discostandosi dalla vulgata LGBT).

Come si può facilmente intuire, il concetto di identità di genere ha visto contrapporsi un altro fronte, oltre alla destra e alla parte più oltranzista dei cattolici: una larga parte del movimento femminista. Sul punto persino Anna Paola Concia, dichiaratamente omosessuale, e Aurelio Mancuso, ex presidente di Arcigay, si sono detti contrari. L’identità di genere è ferocemente avversata dalle femministe perché cancella secoli di battaglie femministe volte al riconoscimento della diversità fra i generi. Un’alterità che viene espunta in un colpo solo. Tramite l’identità di genere si invera quella dematerializzazione sessuale oggi tanto in voga. “Ognuno è libero di sentirsi come gli pare, ma l’autopercezione non può diventare legge. Un conto è cambiare le norme sulla transizione che sono del 1982, un altro è dare dignità legislativa alla fluidità a seconda di come ci si alza al mattino“, ha osservato lo stesso Mancuso.

Un’altra ragione di dissenso (che ha fatto ulteriormente inalberare proprio le femministe) è il riferimento alle donne, la maggioranza della popolazione, in una legge dedicata precipuamente alle minoranze. Oltre alle donne, e non si capisce il motivo, nel testo sono state incluse anche le persone disabili.

Un altro aspetto critico della legge Zan riguarda l’obbligatorietà dei corsi gender nelle scuole, a proposito della mentalità da stato etico che innerva la legge e ispira i suoi proponenti. In un Paese in cui persino l’ora di religione è facoltativa, demandata alla libera scelta dei genitori, non è accettabile che si impongano ai giovani discenti (e alle loro famiglie) corsi di questo tipo, per di più gestiti dalle associazioni LGBT (molte delle quali, va ricordato, propugnano l’utero in affitto). Quale la ratio, se non la volontà di indottrinarli? Se il fine fosse insegnare il rispetto di ogni individuo a prescindere dall’orientamento sessuale, basta e avanza l’ora di educazione civica. A proposito di associazioni LGBT, la legge ne prevede (art 7) il finanziamento ad libitum con una cifra prevista di 4 milioni di euro ogni anno. Non se ne vede il motivo dato che si tratta di associazioni private.

Va tuttavia riconosciuto, per amor di verità, che la legge Zan è parzialmente migliorata durante il passaggio parlamentare, grazie all’emendamento Costa che esclude esplicitamente i reati di opinione. La destra paventa affermare per esempio che l’utero in affitto è un crimine contro l’umanità sia passibile di reato. Questo rischio sembra scongiurato. Tutto bene dunque? Non proprio. Il politologo Alessandro Campi ha fatto notare come “in quest’articolo si è introdotto (a questo punto non so nemmeno quanto involontariamente) un inciso a dir poco ambiguo. Nel senso che sono ammesse, si legge, tutte le idee ed opinioni “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti. Ma chi decide quando idee ed opinioni liberamente espresse possono determinare un concreto ed effettivo pericolo? Ci vuole poco a capire quali margini di discrezionalità, con una magistratura politicizzata in molte sue frange come quella italiana, lascia aperta una simile formulazione“. Il riferimento della legge “alla libera espressione di convincimenti e opinioni” è del tutto pleonastico dal momento che è un diritto già previsto dall’art 21 della costituzione; sempre nell’articolo 4 è sancito che “le condotte legittime sono salve“, ovvero legittime. Una tautologia allo stato puro.

In ogni caso, ammesso e non concesso che sia dirimente una legge specifica sul tema, ciò che non è accettabile è la pretesa di approvarla in fretta e furia, senza modifiche e senza prima un vero, anche aspro, dibattito. Così come fu, negli anni 70, nel caso del divorzio o dell’aborto (anche se qui non stiamo parlando di diritti civili veri e propri come invece le adozioni o il matrimonio tra persone dello stesso sesso, questi sì necessari e cogenti). Meglio allora nessuna legge che una legge rabberciata, ideologica e dai risvolti incerti e perniciosi.

PS: se la legge fosse stata composta di un solo articolo volto ad ampliare le fattispecie della legge Mancino anche ai reati d’odio e alle discriminazioni legate all’orientamento sessuale, non avrebbe suscitato una così ampia e variegata opposizione; e sarebbe perciò passata in cavalleria. Chi troppo vuole…

1 comment

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Leonardo Accardi 21/05/2021 at 11:00

Scemenze pure mischiate a qualche opinione condivisibile, presto replica #staytuned

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