A pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca.
Il lettore si prepari al nuovo apparente volo pindarico, e come si dice in questi casi, il numero dello psicologo ve lo lascio a fondo link se ne sentiste la necessita durante la lettura. Astenersi deboli di cuore.
Possiamo pensare che il vero europeismotm, quello con apice e marchio registrato, si ponga come obiettivo finale l’unione di bilancio. Ad oggi però l’Europa è monca: volendo semplificare, ha solo una moneta comune, integrazione bancaria e poco altro. Molti problemi dell’Eurozona derivano da questa mancanza. Addirittura, potremmo dirci che quelli con l’europeismo più lungo trovino nel federalismo europeo la piena catarsi.
Cara lettrice, caro lettore, appurato cosa io intenda per europeismo, mi piacerebbe chiederti se la retorica promossa da qualche fazione di questo parlamento possa incarnare questa idea. Successivamente, ti inviterei a confrontare queste deduzioni con le parole del nuovo leader maximo Giuseppe Conte.
È evidente che non sussista la benché minima congruenza fra le due concezioni di europeismo. Ma anzi, quasi tutti i partiti politici in Italia sarebbero contrari ad una cessione di sovranità ad un super-ente europeo. Figuriamoci ridisegnare, anche solo dal punto di vista fiscale, la cartina della zona Euro.
Conte non è un’europeista. Dobbiamo dircelo chiaramente.
Ma veniamo ai giorni nostri. Probabilmente non torneremo presto alle urne, sul piatto ci sono circa 200 miliardi da spendere, e quando il malloppo è così interessante difficilmente si è incentivati a compiere rinunce.
Propongo quindi di analizzare la questione attraverso tre scenari per sintetizzare delle possibili situazioni:
- Il recovery plan non viene approvato dalla commissione;
- Il recovery plan viene inizialmente approvato e poi bloccato dalla commissione fra qualche anno;
- Il recovery plan viene approvato dalla commissione e non viene bloccato in seguito
Ovviamente questi tre sviluppi sono esempi estremi, ma ci permettono di misurare gli angoli della questione. Per rendere il tutto più credibile si propone di aggiungere una variabile che misuri la bontà dei progetti presentati dall’Italia. Potremmo ipotizzare, per esempio, che tale variabile sia rappresentata dall’aderenza alle linee guida appena approvate.
Se i progetti fossero in linea con le aspettative dei nostri partner europei verrebbe meno la questione. Se invece i progetti non rispettassero gli accordi allora si dovrebbero valutare gli scenari appena descritti. È personale ipotesi di chi scrive che un 50/50 da attribuire a queste due situazioni sia assolutamente improbabile.
Successivamente bisognerebbe chiedersi quali dei tre scenari di partenza sarebbero i più auspicabili per una visione che rientri nella definizione di europeismo. Risulta abbastanza evidente che la seconda e la terza opzione siano quelle con il costo più elevato. Infatti, nel secondo caso avremmo sprecato tempo e risorse inseguendo un progetto fallimentare: come più volte ribadito da chiunque, il NextGenEU è una facility. Questo significa che i soldi pioveranno dopo aver raggiunto un determinato obiettivo, non prima.
Nel terzo avremmo creato un precedente molto forte che potrebbe causare instabilità, qual’ora un piano inefficiente riuscisse a passare. Se è vero che solo grazie all’annuncio dell’unione monetaria i paesi hanno acquisito credibilità –ceduta a prestito dalla cattiva Germania-, è anche vero che il mancato rispetto di una condizionalità così forte, attraverso giochi di palazzo, potrebbe portare gli investitori a mettere in dubbio la capacità dell’Eurozona di ripagare i propri debiti. Questo è uno scenario che non mi auguro perché porterebbe indietro il processo piuttosto che avanti. Sarebbe plausibile supporre che già solo l’approvazione di un progetto di scarsa qualità porti ad un aumento del costo del debito comune europeo. A questo si aggiunge anche l’incognita relativa alla possibilità di introdurre una tassa europea.
In questo periodo di grandi rivoluzioni gattopardiane, c’è chi si oppone alla possibilità di tornare ai seggi. Il problema principale sarebbe trovarsi come Presidente del Consiglio Salvini con un parlamento guidato dalla peggiore destra degli ultimi 20 anni. Senti la mancanza di qualcosa quando non c’è più. Quindi, riflettendoci, forse è più conveniente provare a far sentire la mancanza agli italiani del Qe, dello SURE o delle altre misure europee piuttosto che insistere con l’accanimento terapeutico e trovarci fra 5 anni a ripeterci gli stessi temi, le stesse problematiche e le stesse soluzioni. Come ci insegna la Brexit non si esce in una notte dall’Europa.
È arrivato il momento di smetterla di calciare la lattina sperando che prima o poi qualcuno ci salvi.
1 comment
Però l’Inghilterra dall’Europa alla fine è uscita. E ora è fuori.
Per pagare, morire e uscire dall’Europa c’è sempre tempo. Meglio aspettare.