Mentre il Governo italiano è impegnato a schierare le truppe nel parcheggio dell’ospedale di Codogno, reo di aver reso il popolo del Belpaese, l’appestato universale, e ad invocare morigeratezza da parte della Rai, loro bocca di fuoco istituzionale, l’economia nazionale continua a perdere pezzi.
La Repubblica del 24 Febbraio scorso a firma di Alessandro Longo ci riporta dell’ultima di infinita serie di disfatte del sistema economico italiano. Il settore delle TLC, in contrazione a livello globale, nella penisola è già alla conta delle vittime.
Longo però non parla esclusivamente delle TLC in senso stretto ma punta un faro sull’indotto, nel caso dei provider di servizi BPO (Business Process Outsourcing) meglio noti come I servizi di assistenza tecnica o call center. Il calo dei profitti degli operatori di telefonia in Italia sta causando un effetto a catena che porterà a nuovi tagli occupazionali, sempre nella misura delle migliaia di unità, forse decine di migliaia.
La notizia non è che grazie all’AI i computer si sostituiranno all’opera umana (lasciate ogni speranza voi che pensate di tassare le machine, dunque), ma che, tanto per cambiare, le varie TIM, Vodafone, Wind Tre sposteranno all’estero l’erogazione di questi servizi. E qui si trova la ragione di queste mie sparute considerazioni.
Io sono uno di quelli a cui verranno trasferite queste commesse. Chi legge non creda che io sia un capitano d’industria, bieco speculatore, che sfrutta I lavoratori dell’est. Sono un italiano al cento per cento, che nell’Europa orientale ha trovato casa, lavoro ed opportunità. Vi scrivo da Sofia dove i giganti a livello globale delle BPO, da Tellus a Concentrix, da HCL a Sitel, fino a quelli più piccoli (tutti con almeno 400 dipendenti a tempo indeterminato ben inteso) si contendono con Bucarest tutte le commesse BPO, non solo degli operatori di telefonia ma di tutto il comparto industriale a livello globale.
Ho avvertito l’esigenza di commentare il pezzo di Longo ed i dati riportati perché’ troppo si parla e troppo poco si sa di quanto avviene da queste parti ed in particolar modo troppo spesso si finge di ignorare chi siano i lavoratori in queste terre. Che gli italiani finalmente lo sappiano; siamo loro connazionali!
Siamo persone di tutte le età da quella universitaria fino ad ex giovani, più prossimi alla mezza età che a quella dell’esame per la patente, come il sottoscritto. Siamo persone che abbiamo accettato di rivoluzionare in modo totale il paradigma di rapporto di lavoro che conoscevamo (non certo in senso sardinesco sia chiaro).
In Bulgaria la tutela del lavoratore sostanzialmente non esiste. Tutti firmano contratti a tempo indeterminato con un periodo di prova di sei mesi, nel corso del quale si può essere tagliati, per ragioni disciplinari o scarsa produttività, con un preavviso di 30 secondi, senza alcun paracadute o chance di vincere un ricorso del lavoro. Eppure la gente vive. Io stesso mi sembro piuttosto vivo. Ma non solo; i lavoratori cambiano azienda più o meno ogni due anni perché’ in queste realtà si viene continuamente formati a nuove procedure o software, perché’ cambiano le commesse dunque si arricchisce il know-how e soprattutto perché’ i manager vivono di report qualitativi e sulla produttività dei loro team e non appena qualcuno si discosta dai target non c’è sindacato a cui rivolgersi frignando per il demansionamento. Perché’ non è concepibile non solo il demansionamento ma anche l’esser messo da parte. Un lavoratore non performante viene immediatamente inserito in un programma di training mirati ed i risultati monitorati costantemente al fine di poterlo far rendere come il resto dei colleghi.
Se poi la cosa davvero non funziona o magari l’azienda perde la commessa il datore di lavoro offre uno scivolo di un paio di mesi (a Sofia si parla di 3/4000 leva vale a dire 1500/2000 euro) e lo stato offre un sussidio di pochi mesi, da tre ad un anno, scaduto il quale, in Italia si direbbe che si è abbandonati a se stessi, in Bulgaria entro quel termine una mossa se l’è già data chiunque ed un’occupazione si è già trovata.
Il senso di tutto ciò è che qui la gente si dà da fare, gli italiani si danno da fare come matti. Il sistema glielo permette perché esiste un mercato del lavoro dinamico. Un mercato del lavoro dinamico esiste perché le imposte sono al 10 per cento ed i salari la metà di quelli italiani (per onestà intellettuale va detto che pure la vita costa la metà).
Perché è possibile avere 10 punti di imposte? Perché non ci sono pensioni da pagare per 40 anni, perché’ non si pagano vitalizi o barbieri ai deputati, perché’ nel tempo in cui in Italia si sostituiscono le scale mobili di una fermata della metro di Roma, si costruiscono due nuove linee e le si rinnovano pure.
In Italia i lavoratori del Sud non si vogliono trasferire al Nord perché’ hanno un mutuo da pagare; a Sofia tanti giovani hanno un mutuo da pagare (non è un refuso, anche i giovani hanno i mutui perché’ il credito è concesso sulla base del reddito e non delle garanzie patrimoniali), ma se gli offrono un’opportunità di crescita a Burgas o a Varna, la casa di Sofia la affittano e la vendono e rincominciano da un’altra parte. L’Italia al confronto non è un paese morto come tanti la rappresentano; è piuttosto un vecchio grasso, pressoché’ immobile pieno di piaghe di decubito che ama trascorrere le giornate a compiacersi delle loro dimensioni e del loro incremento