Thomas Frank è uno dei giornalisti che ha speso più inchiostro su George Papadopoulos, l’ex consigliere elettorale di Trump che nelle ultime settimane con i suoi tweet ha fatto da controcanto alle visite dell’attorney general Barr in Italia. La vicenda è quella nota dello spygate, il presunto complotto ordito dalle intelligence di Paesi alleati degli Usa per mascariare il Don, facendogli credere che erano disponibili email “sporche” sulla Clinton in mano ai russi in maniera tale da poter poi denunciare la tresca Trump-Putin.
Questa almeno la versione di Papadopoulos su cui indaga il Dipartimento della Giustizia Usa, con Barr venuto due volte in agosto in Italia a sentire cosa ne dicono i nostri servizi segreti, visto che una delle manine del gioco, tale professor Mifsud, incontra e parla con Papadopoulos a Londra e a Roma cercando di piazzargli la paccottiglia cospirazionista. Sulla visita del capo del dipartimento della giustizia Usa, il presidente del consiglio Conte si prepara a riferire al Copasir. Nulla di strano, si tratta di comunicazioni di rito, tanto più che i giornaloni e Salvini ci ricamano su da un mese, quindi fare chiarezza non guasta. Cerchiamo di capire meglio il perché.
Thomas Frank ha scritto un lungo e colorito articolo apparso sul Washington Post sulla coppia che scotta dello spygate, Papadopoulos-Giansante. Simona Giansante, avvenente avvocatessa italiana, ha sposato Papadopoulos dopo un colpo di fulmine che ha del romanzesco. Il lungo articolo di Frank sul WP è divertito quanto divertente, due sposini in bilico tra spie, guerre su twitter, mondo hollywoodiano. Bei vestiti, belle case, long drink, l’ansia di farsi notare nei circoli che contano. Qualche giorno fa, però, Frank è tornato sulla vicenda con un nuovo articolo pubblicato su Vanity Fair, più asciutto del precedente ma non meno interessante per il punto di vista che esprime.
Frank fa il suo mestiere di giornalista. Racconta i fatti senza prendere una posizione politica sull’accaduto, o perlomeno non lo fa in modo troppo sgargiante. Da una parte c’è il Russiagate come ce lo hanno raccontato gli avversari di Trump, e cioè l’inchiesta del superprocuratore Mueller che doveva smascherare le relazioni pericolose fra Trump, Putin e WikiLeaks durante le Presidenziali americane del 2016, inchiesta che nei desiderata avrebbe dovuto concludersi con l’impeachment di Trump ed è invece finita con un buco nell’acqua. Dall’altra lo spygate versione Papadopoulos, ovvero la già citata ipotesi di un complotto dei governi e delle Intelligence alleate degli Usa per incastrare Trump durante le presidenziali. Ora che l’America si prepara a tornare al voto, Donald Trump ha pensato bene di scatenare una offensiva contro chi voleva incastrarlo.
Thomas Frank ricorda tutte queste cose, che la inchiesta di Mueller è fallita se l’intento era far fuori Trump, che Papadopoulos è un ragazzone simpatico ma non ha la statura per essere il protagonista di un intrigo internazionale, insomma che George e Simona sarebbero ottimi personaggi di un film più che vere spie. Frank non parla a vanvera, avendo avuto accesso all’archivio delle email di Papadopoulos. Per questo bisogna dargli credito quando il giornalista americano si fa un paio di domande non scontate sul Russiagate. Nella sua ricostruzione, Frank dà ampio spazio all’ubiquo professor Mifsud, agente russo per alcuni, agente provocatore dei servizi occidentali anti-trumpisti secondo altri, in ogni caso l’uomo che aggancia Papadopoulos e consorte per regalargli la polpetta avvelenata sulle email della Clinton in mano ai russi. Ebbene, quello che si chiede Frank, e che potrebbe essere argomento di discussione quando Conte riferirà al Copasir, è come mai un personaggio non certo di secondo piano come Mifsud ed il racconto che ne ha fatto Papadopoulos non abbiano trovato l’eco che meritavano nel rapporto Mueller.
Ma come, Papadopoulos viene indagato per falsa testimonianza dalla FBI, si becca pure due settimane di galera, e nessuno si preoccupa di capire fino in fondo che ruolo ha avuto il professore che lo aggancia e fa il doppio o triplo gioco? Mifsud sparisce, per inciso l’ultima volta è stato avvistato a Roma, e tutto questo non appare centrale per chi indagava sul Russiagate? Eppure Bill Barr è venuto in Italia a chiedere conto ai nostri servizi proprio di questo! Per Thomas Frank, insomma, qualcosa non torna nelle inchieste sul Russiagate e nel ruolo giocato da Mueller, FBI e intelligence internazionali nella vicenda. Frank non è un complottista, quindi non si lascia catturare dalla ridda di informazioni che tanto piacciono ai giornaloni italiani. Se mai la considerazione che fa Frank lascia intendere qualcosa di più grave.
Secondo il giornalista americano, le agenzie della sicurezza Usa si sono comportate in modo partigiano durante la inchiesta sul Russiagate, privilegiando delle piste investigative a discapito di altre. Hanno sottovalutato la figura dell’umbratile Mifsud, non perché si dovesse coprire un complotto bensì perché il professore non era funzionale alla tesi preconfezionata della tresca Trump-Putin. Ma se la FBI e la comunità della intelligence occidentale sono state così partigiane nell’indagare un presidente odiato da molti come Trump, potrebbero rifarlo anche con un candidato che magari ci sta più simpatico. Questa la conclusione preoccupata a cui arriva Thomas Frank su Vanity Fair, che riguarda la tenuta democratica dei nostri Paesi più che i gomblotti, le manine e le barbe finte.
Chi doveva investigare a trecentosessanta gradi si è fermato a centottanta. Perché tutti erano d’accordo su un fatto. Trump non avrebbe dovuto vincere le primarie dei Repubblicani. Non avrebbe dovuto vincere le presidenziali. Tutti erano d’accordo. La CNN, i grandi partiti americani, Big Web, gli ambienti della Intelligence. Tutti contro. E invece, sorpresa. Vince. E ora il presidente Trump vuole il bis. Né si fermerà facilmente. Se questo è ciò che conta alla fine dei giochi, il libero voto in una grande democrazia, allora qualsiasi elemento di valutazione che possa saltare fuori dall’Italia, dalla audizione di Conte, dal Copasir, sul professor Mifsud, sarà un puntello per il corretto funzionamento delle nostre democrazie. Con la accortezza che inizia a ad essergli riconosciuta, e se davvero noi italiani abbiamo ancora a disposizione informazioni utili sul Russiagate, ecco, Conte le usi per fare chiarezza su come funzionano i poteri dello stato in democrazia, al di là delle spie, dei complotti e del Deep State. Invece di comportarsi come la partigiana FBI.