Era molto atteso il responso della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum organizzato dalla Lega Nord per abrogare la riforma Fornero delle Pensioni. La consulta alla fine ha bocciato il quesito.
Per conoscere le motivazioni della sentenza bisognerà attendere. Ma l’esito era prevedibile. Probabilmente in virtù di quell’articolo 75 della Costituzione con cui già nel 94 la Corte bocciò un analogo referendum relativo alla riforma pensionistica di Amato, considerando quest’ultima ascrivibile alla categoria delle leggi di Bilancio.
Nel frattempo Salvini si è scatenato: “mi vergogno di questo paese”, “Renzi dittatore”, “Fornero vergognati e taci.Che schifo”, “prendiamo atto che l’Italia è uno stato di merda”, “vaffanculo”, “hanno fottuto un diritto sacrosanto alla gente”.
Queste sono solo alcune delle sobrie dichiarazioni del nuovo leader dei moderati.Al contrario, il paese – la parte più responsabile di esso – non può che rallegrarsi della scelta operata dalla Consulta.
Come mai una scelta giusta e necessaria come quella di rivedere in maniera più rigorosa la materia previdenziale suscita una così diffusa ostilità nella maggioranza della popolazione?
Per la lega, quello delle pensioni è sempre stato un tema molto sentito (nonostante la riforma di Maroni, una delle cose migliori fatte dai governi Berlusconi).
È proprio l’assoluta indisponibilità della Lega a toccare le pensioni il vero motivo per cui cadde il governo Berlusconi nel 2011.
La sinistra – ma il discorso vale seppur in misura minore per la destra berlusconiana – ha sempre cercato di evitare interventi che potessero penalizzare la sua base sociale, che è composta prevalentemente di pensionati. Secondo i retroscena della stampa, Bersani nel 2011 rifiutò recisamente la possibilità di fare un governo che avesse come priorità una riforma pensionistica così come era auspicata in Europa.
C’è poi un fattore culturale non secondario.
La sinistra è ancora largamente egemonica nel dibattito pubblico (e storiografico) italiano: riesce quasi sempre cioè a imporre nell’opinione pubblica la propria visione della realtà, le proprie convinzioni ideologiche (basti pensare all’articolo 18 o al giudizio su Craxi, per fare due esempi).
In questo caso: si è diffusa l’idea che la modifica del sistema pensionistico ideata dalla Fornero – una dei massimi conoscitori della materia in Italia – sia stata una brutale ingiustizia. A rafforzare tale tesi, popolarissima, è intervenuto il caso dei cosiddetti esodati, che è stato utilizzato pretestuosamente per additare al pubblico ludibrio la legge e la sua ideatrice. Va ricordato che la questione degli esodati, a cui la riforma viene ancora oggi inevitabilmente associata (perché si trattò di un errore clamoroso), è di responsabilità esclusiva di chi allora dirigeva l’Inps, Antonio Mastrapasqua, che fornì al Ministero dati fasulli. Se c’è una cosa che si può rimproverare all’ex ministro è proprio quella di non aver provveduto a licenziare all’istante chi ha determinato la nascita di un vero e proprio dramma sociale (che nessuno, nemmeno l’ineffabile Fassina, poteva prevedere).
Con metodi vergognosi, si è anche tentato di sfruttare la vicenda degli esodati per prepensionare alcune categorie di lavoratori non-esodati; quelli veri (162.130) sono stati tutti salvaguardati finanziariamente dai governi che si sono succeduti fino al 2014 (per una spesa complessiva di 11,5 miliardi di euro).
Varata 20 giorni dopo l’insediamento del governo Monti, in piena crisi del debito, è la riforma strutturale più radicale ed efficace degli ultimi 20 anni (non a caso è la riforma italiana più apprezzata in Europa): ha evitato il tracollo delle finanze pubbliche e garantito la sostenibilità a medio-lungo termine del sistema pensionistico italiano.
Dal punto vista tecnico, estende il sistema di calcolo contributivo per tutti, eliminando le pensioni d’anzianità ed innalzando drasticamente i requisiti anagrafici e contributivi per accedere alla pensione.
Ha segnato perciò una svolta nel senso di una maggiore equità intergenerazionale e consentito un risparmio per le casse dello stato di 80 miliardi (2012-2020), allineando l’Italia ai livelli di spesa dei sistemi previdenziali europei, anche se quella italiana rimane ancora lievemente superiore alla media europea. Oggi la spesa previdenziale incide per il 16,3% del pil, pari circa a 270 miliardi di euro; se la riforma Fornero non fosse stata adottata, la spesa pubblica per le pensioni sarebbe stata di due punti superiore: al 18% rispetto al pil.
La questione è controversa, ma secondo alcune stime, grazie a tale riforma, nel 2060 la spesa pubblica per le pensioni scenderà addirittura al 14%, in confronto al 13% dei paesi europei.
La riforma è sicuramente migliorabile, ad esempio la si può rendendere più flessibile in uscita, come auspicato sul sole 24 ore da Mauro Marè (e su questo è intenzionato a intervenire il governo).
Non si può invece pensare di smantellarla, come vorrebbe Salvini (coadiuvato nella sua battaglia populista, non a caso, proprio dalla CGL di Susanna Camusso); né tantomeno stravolgerla come pensa di fare un fronte largo a sinistra capeggiato da Damiano. Alcune recenti dichiarazioni in merito del ministro del Lavoro Poletti destano più di qualche preoccupazione.
Non dovrebbe comunque sorprendere che una classe politica vile e irresponsabile, espressione di un paese in un declino che pare irredimibile, non sia stata in grado di difendere – e spiegare – una scelta politica seria e lungimirante, fatta nell’esclusivo interesse del paese.
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[…] 2014), la spesa pensionistica è tornata sotto controllo e si è addirittura ridotta grazie alla riforma Fornero. Poi è tornata a salire nel 2018, ma i dati della Tabella in alto ancora non mostrano gli effetti […]