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Speaker's Corner

Una riflessione a latere della morte di Emanuel Namdi

Credo dovremmo astenerci tutti dal commentare nel merito la vicenda della morte di Emanuel Nambdi finché la dinamica dei fatti non sarà stata definitivamente chiarita.

La versione diffusa inizialmente dai media riportava la notizia di un terribile omicidio a sfondo razziale compiuto da un ultras, con la morte di un nigeriano richiedente asilo che aveva preso le difese della moglie. La versione di tre dei quattro testimoni oculari differisce però radicalmente: anche a detta di costoro la lite sarebbe stata innescata dagli insulti molesti riservati alla compagna del nigeriano; tuttavia marito e moglie avrebbero reagito aggredendo l’uomo, fino alla conclusione tragica. Sarà la polizia a stabilire come siano andate realmente le cose.

Su questa vicenda si sono levati dal mondo politico i solito lai, con Boldrini e Salvini a rappresentare, come spesso accade, gli alfieri degli opposti estremismi (Salvini sulla sua bacheca facebook ha scritto un post – in cui la parola razzismo non compare mai – facendo insopportabili distinguo e riferimenti senza senso all’immigrazione clandestina). Certo, manca completamente di credibilità una classe politica che non è nemmeno riuscita a far dimettere dalla carica di vicepresidente del Senato Calderoli per le contumelie indirizzate a un ex ministro (definì un orango Cecile Kyenge).

L’intellighenzia di sinistra non è stata da meno. Tutti a ricercare le cause del delitto nel clima sociale incattivito alimentato – a sentir loro – da politici spregiudicati e da certi giornali e programmi tv i quali titillano le peggiori pulsioni xenofobe degli italiani. Come si fa a credere davvero, come Saviano, che la responsabilità morale di quest’omicidio sia da attribuirsi a Salvini perché fa una battaglia politica (discutibile) contro l’immigrazione? Proprio non li sfiora nemmeno l’ipotesi che si possa trattare di un mero fatto di cronaca avulso da ragioni ideologiche?

L’attenzione mediatica che questa vicenda ha sollevato mi ha fatto riflettere su un aspetto poco considerato. Mi è tornato alla mente un altro tragico omicidio avvenuto l’estate scorsa. Non so quanti se ne ricorderanno. Riguardava una coppia di anziani uccisi in casa. Fu fermato un immigrato illegale che risiedeva nel centro di accoglienza di Mineo. Se ne parlò pochissimo sui giornali e sui social media, e solo per qualche giorno, dopodiché non se n’è più saputo nulla.

So che può sembrare di cattivo gusto questa comparazione, ma mi colpisce sempre che se a compiere omicidi (o reati) sono immigrati cala il silenzio o si tende a minimizzare. Perché persone che (giustamente) si indignano e provano un sentimento di autentica rabbia per quello che è successo a Emanuel e alla sua povera moglie (ammesso che i due siano vittime e non corresponsabili di quello che è successo) tacciono invece quando si verificano crimini analoghi i cui responsabili sono immigrati e le vittime italiani? Non si rendono conto che la loro è una subdola forma di razzismo al contrario?

Questo discorso vale a maggior ragione per i media, che, tranne alcune eccezioni (che cadono nell’eccesso opposto) danno molto più risalto ai casi in cui la vittima è un immigrato piuttosto che un cittadino italiano. Mi sono chiesto spesso le ragioni di un simile comportamento. Credo derivi dalla consapevolezza che, essendo l’immigrazione irregolare un fenomeno socialmente destabilizzante, parlarne in termini negativi (ad esempio ammettere che gli immigrati irregolari delinquono molto di più degli italiani) rischia di accrescere le paure della popolazione o di favorire quei partiti politici che osteggiano l’immigrazione, portando acqua al loro mulino. Oppure, può essere, in taluni casi, un meccanismo inconsapevole di rifiuto della realtà, perché troppo obnubilati dall’ideologia. Ricordo ancora che, all’indomani dei fatti di Colonia, diversi intellettuali (Dacia Maraini, ecc.) si dissero certi che degli immigrati che scappavano da situazioni di grande sofferenza non potevano aver perpetrato quelli atti di violenza.

C’è poi da considerare il fatto che – a mio avviso – i giornali, e i media in generale, e questo vale per l’immigrazione come per altri ambiti (ad esempio i diritti degli omosessuali e delle donne), hanno assunto un ruolo pedagogico, del tutto improprio, di formatori delle coscienze, per cui si sentono investiti della missione di educare il lettore o lo spettatore propinandogli una visione delle cose che sia il più aderente possibile al discorso “politicamente corretto”, a discapito del dovere di informare (e di cercare di farlo in maniera obbiettiva) o del pluralismo delle opinioni.

2 comments

Gianuario Cioffi 09/07/2016 at 16:14

Onestamente non vedo questo spirito pedagogico e politicamente corretto nei media italiani: i telegiornali dipingono sempre gli immigrati e i rom in maniera patetica, e strumentalizzano il femminicidio per dipingere gli uomini come criminali;

i quotidiani si ostinano a descrivere la fantomatica “teoria gender” come se fosse realmente esistente, e quando parlano di maternità surrogata accostano la realtà nordamericana a quella asiatica;

la pubblicità (forse il media più influente) continua da anni a dare l’immagine di una donna che possa sentirsi realizzata solo come madre/casalinga/gnocca;

le donne transessuali MtF vengono apostrofate OVUNQUE (quotidiani, tg, web) al maschile, mentre gli uomini FtM sono semplicemente ignorati;

per ultimo, ma non per importanza, noi meridionali siamo notati esclusivamente per mafia o malgoverno.

Poi, certamente, non posso negare che di troppo politically correct si muoia (Donald Trump ha vinto le primarie anche per la sensazione di liberazione che ha portato), ma non saprei se questo sia il caso dell’Italia.

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Salvatore Dedola 10/07/2016 at 09:55

Un buon articolo; lo definisco “non-ideologico”, “non-mercantile”. Per me la politica migliore verso l’afflusso di profughi è quella d’integrarli, mettendoli subito al lavoro a cominciare (se non trovano di meglio) da quei lavori socialmente utili che purtroppo l’Italia non sa più affrontare (pulizia delle periferie, riapertura dei sentieri campestri e montani, e tanto altro). Per far ciò ci vorrebbe una legislazione snella che i partiti non sanno elaborare proprio in quanto sono prigionieri dei loro schemi asfittici del muro-contro-muro, senza alcun riguardo per la qualità della vita dell’intera Italia.

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