Libertà e lavoro contro statalismo e sussidi. Per riassumere la dialettica, o meglio il muro contro muro, tra la nuova presidenza di Confindustria e il governo più a sinistra della storia non servono molte parole in più.
Questa settimana l’impostazione ideologica diversa si è reificata plasticamente agli Stati Generali dell’economia, indetti da Conte a Villa Pamphili. Nella Camera delle Corporazioni che ha soppiantato indegnamente il Parlamento per la sfilata propagandistica del governo, sono stati ascoltati “i singoli menti brillanti”, meticolosamente scelti da Conte. C’erano i gruppi di interesse che interessavano all’esecutivo gialorosso del proletariato e quelli che proprio non potevano non invitare. C’è chi, a ragione, si è lamentato di non essere stato invitato come Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, e chi, come Carlo Bonomi, ha colto l’occasione per fare una vera e propria mossa politica.
Il neopresidente di Confindustria doveva essere ricevuto mercoledì, ma ha deciso di concedere un’intervista esplosiva a Les Echos ancora prima di sedersi al tavolo dei lavori. Ha criticato duramente la scelta di indire un appuntamento come questo senza avere un piano operativo. Effettivamente, ci devono essere problemi endemici al governo se dal caos di Marzo nessuno è riuscito a formulare qualche proposta di senso compiuto.
Le picconate di Bonomi non si sono limitate a questa considerazione, infatti ha dichiarato che il governo ha preferito “favorire l’assistenzialismo invece di liberare l’energia del settore privato”. Inoltre ha lamentato il fatto che la cassa integrazione sia stata anticipata in vasta misura dalle imprese, nonostante le partigiane promesse di Tridico, e si siano verificati “gravi ritardi per le procedure annunciate a sostegno liquidità”.
La replica del governo non si è fatta attendere, ma è stata grottesca come sempre. Prima Giuseppi Conte si è chiesto, con un codone di paglia che poteva spazzare l’altopiano murgico, perché si ritenesse che l’esecutivo avesse un pregiudizio nei confronti della libera iniziativa economica. Sembra proprio incredibile per il governo che ha progettato più nazionalizzazioni, che ha abbandonato le imprese durante la crisi più grave degli ultimi 70 anni, che ha parlato più vastamente di supposti “fallimenti del mercato” e i cui esponenti (e giornalisti amici) definiscono gli imprenditori come “prenditori”.
Dall’esecutivo, poi, non si sono spiegati come Bonomi abbia osato far notare che lo Stato –ladro aggiungo io- non abbia ancora restituito 3,4 miliardi di euro alle imprese come stabilito dalla Corte di Cassazione. Come ha osato, questo maledetto borghese. Anche perché non è finita qui. Il cattivone ha avuto l’ardire di argomentare che non esisterà una vera ripresa senza un rilancio della produttività, stagnante da tempo immemore, e una strategia per contenere e rendere sostenibile il debito pubblico.
Apriti cielo. I feticisti dello statalismo non ci hanno visto più. Il mostro neoliberista si è manifestato sul serio – Alleluja! – e non aveva il volto dei sovranisti. Sì perché, piccola nota a margine, Emanuele Felice, neoresponsabile economico del PD, sostiene che la Lega sia emblema del neoliberismo, nonostante i responsabili economici del partito fossero Borghi e Bagnai. Per dare l’idea del livello di supercazzola, quest’ultimo, collega di Felice a Pescara(cas), collaborava con Marco Rizzo del Partito Comunista.
La reazione più scomposta è stata quella di Andrea Orlando, Vicesegretario del PD, che ha pubblicato un tweet indignato. “Se si facessero i campionati mondiali di luoghi comuni il presidente di Confindustria vincerebbe a mani basse.” Se Orlando fosse nato nei primi anni novanta, avrebbe evitato di essere “così confuso da colpirsi da solo”. La generazione Pokémon, che peraltro viene continuamente trattata dalla politica come un branco di foraggiatori di pensioni e sussidi destinati ad altri, non avrebbe fatto questo errore.
Quello che dice Bonomi sono, invero, banalità. Banalità che gli sparuti liberali, quelli veri che non vivono su Rete4, ripetono da una vita. Nessuna economia avanzata può rimanere tale con un PIL collassato, una produttività stagnante, un debito pubblico insostenibile e una politica autoreferenziale. Sono banalità effettivamente. Peccato che il governo, con i pilastri del nuovo progressismo fanatico della decrescita, PD e M5S, non sia in grado di dare risposte decenti in merito.
Dalle parti di Palazzo Chigi non dovrebbero preoccuparsi. Sono il linea con 4 governi Berlusconi, 2 governi D’Alema, 2 governi Prodi, il governo Letta, il governo Renzi e il governo Gentiloni. E molti altri in realtà. Stirpi reali di politici che volevano campare di spesa pubblica per mantenere il potere, fregandosene dei problemi strutturali che durante la pandemia ci hanno investito come un gatto in tangenziale.
Nel frattempo Di Battista, la cui mancanza non è stata sentita da nessuno, ha spiegato il suo piano di rilancio del Paese copiato, a suo dire, da nientemeno che Franklin Delano Roosevelt: assumere 200mila giovani forestali. Geniale e innovativa, la proposta di Dibba si innesta sul sogno keynesiano per cui “scavare buche per poi riempirle” serva a rilanciare l’occupazione. Ma con un tocco di Piketty: questi non scaveranno manco le buche. Telefonare in Calabria e Sicilia per conferma.
La Lega, oltre a berciare con FDI su quanto sia brutto e cattivo il MES, ha elaborato una proposta che può seriamente cambiare le sorti dell’Italia: vietare l’accesso ai video porno, a meno di fare una richiesta esplicita al proprio operatore. Missione Italia-Saudita. Zero proposte serie per giustizia, PA, economia, scuole, appalti. Solo propaganda.
Insomma, Bonomi si sta presentando come una delle poche figure pubbliche presentabili. Praticamente è diventato il capofila di tutti coloro che hanno fiducia contemporaneamente nella società aperta, nell’economia di mercato e nell’UE. Curioso che, tuttavia, la galassia che erge Bonomi a modello sia frammentata al punto di non essere minimamente rilevante.
Le cose dovranno cambiare o il declino accelererà sempre di più. Direzione Argentina.