Dunque la mitica Procura di Trani, già nota alle cronache marziane per i suoi fascicoli sulle congiure assassine ai danni di Gianfranco Fini, sui nessi tra vaccini ed autismo e sulle manipolazioni perpetrate dalle agenize di rating, ha aperto una tempestiva inchiesta sul presunto colpo di stato finanziario antiberlusconiano compiuto da Deutsche Bank nel 2011. Scontati gli applausi della destra nazionalista e machista, i cui adepti a distanza di cinque anni ancora rimpiangono l’uomo di Arcore con una devozione che, nelle osterie digitali frequentate da costoro, potrebbe addirittura far dubitare della loro virilità.
Non vorremmo sprecare tempo a rievocare i misfatti del 2011. È probabile che lo spettro del contagio della sindrome greca al gigantesco mercato dei titoli di stato italiani abbia indotto la comunità internazionale ad esercitare pressioni affinché Palazzo Chigi si lasciasse commissariare, come riferito in versioni piuttosto discordanti da Geithner e Zapatero – due che in materia di conti dissestati meriterebbero una cattedra all’Università di Harare – ma evidentemente invano, visto che l’FMI a Roma non è mai giunto. Per contro la BCE in autunno ingoiò ben € 103 Md. di BTP nel tentativo di salvare dal crack l’Italia e il suo claudicante governo, che frattanto si dibatteva in una crisi politica suicida, cui peraltro lo stesso Tremonti attribuì una matrice esclusivamente nazionale. Quando poi la Lega si sfilò e il PdL, d’accordo col PD, votò la fiducia a Monti, fu chiaro a chiunque fosse dotato di un minimo d’intelletto che Berlusconi rimaneva l’azionista di maggioranza del nuovo esecutivo, tanto che il portavoce del PdL Brunetta ebbe addirittura a vantarsi di aver riscritto lui in persona la finanziaria del 2012: alla prova dei fatti, non appena Arcore decretò la parola fine, Monti cadde. Più che di un colpo di stato, di cui comunque Berlusconi stesso sarebbe stato coautore, si trattò quindi di una spregiudicata operazione elettorale volta ad occultare la paternità politica di provvedimenti impopolari e le gravi responsabilità del PdL e della Lega nel crollo della fiducia degli investitori.
Quanto alle dinamiche borsistiche, Deutsche Bank tra il gennaio e il giugno 2011 vendette effettivamente € 7 Md. di titoli di stato italiani – contro, si rammenti, i 103 poi acquistati direttamente dalla BCE! – forse per riallineare la propria esposizione ai livelli storici, dopo che essa era incrementata enormemente a seguito dell’acquisizione di Postbank, secondo la non inverosimile spiegazione rilasciata dai suoi dirigenti. Tuttavia, trascurando il fatto che non risulta ancora che la legge vieti di vendere BTP od obblighi gli investitori che liquidino le loro posizioni sul Paese più bello del mondo a fornire giustificazioni, per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le tempistiche fulminee dei mercati finanziari odierni, risulta incomprensibile come il ribilanciamento di portafoglio concluso dalla banca tedesca a giugno abbia potuto essere causa diretta del successivo tracollo dei BTP tra settembre e novembre. Ancora più straniante è però il fatto che l’accusa rimproveri a Deutsche Bank di aver nel frattempo continuato a valutare positivamente il profilo dell’Italia, il che è proprio esattamente l’opposto di quello che farebbe un istituto che fosse intenzionato a seminare il panico ad arte. Questo tritissimo e tristissimo tentativo di additare ancora una volta un immaginario nemico esterno quale “untore” s’iscrive ovviamente nel più generale clima di caccia alle streghe creato scientemente allo scopo di distrarre l’opinione pubblica dalle cause endogene del declino italiano.
Ora, che in un Europa in cui l’Irlanda è ormai guarita e in cui la Spagna marcia al ritmo del 3% l’italiano medio preferisca crogiolarsi nella Dolchstoßlegende del complotto internazionale piuttosto che chiedersi se il Paese non abbia sbagliato e non stia continuando immarcescibilmente a sbagliare qualcosa di suo, anche nell’era senza scuse dei tassi a zero, del mini-Euro e delle commodities gratis, non ci soprende affatto. Ciò che invece ci lascia attoniti è che le stesse classi dirigenti si limitano ormai a scimmiottare inopinatamente i più beceri riflessi patriottardo-vittimistici del popolino anziché sforzarsi di mettere mano una volta per tutte agli annosi e arcinoti problemi della nazione e di prevenire la tempesta che a breve potrebbe abbattersi su di essa. Sì perché, se non si fosse capito, la pazienza per l’inconcludenza politica dell’Italia, per le sue frontiere colabrodo e per le sue finanze sgangherate, è ormai prossima all’esaurimento non solo in Europa; e chi scrive, sulla base di numerosi inquietanti segnali, crede che in molte cancellerie si stia già discutendo diffusamente se non valga le pena staccare la spina, dato che il paziente è il primo a non volerne sapere di curarsi.
Ma forse quando gli italiani, sotto la guida di un qualche caudillo nazionalista, si ritroveranno davvero con i valichi alpini sigillati dal filo spinato, con i principali mercati di sbocco sbarrati da barriere doganali e con una splendida moneta inflazionabile fino a dieci cifre e oltre, forse apprenderanno finalmente il significato dell’antica massima per cui “è meglio per gli uomini che non accada ciò che essi desiderano”. Perché, signori, oggi non c’è più la cortina di ferro a rendere preziosa l’Italia; questa volta non ci saranno interventi miracolosi dell’intelligence americana o prestiti emergenziali della Bundesbank a salvarvi dalla deriva nordafricana cui vi state abbandonando. Questa volta la comunità internazionale lascerà affondare lo stivale orgogliosamente, sovranamente e autarchicamente nella miseria che il popolo italiano ha cercato, agognato e preparato.
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