Quando Angela Merkel, con un gesto nobile ma avventato, annunciò di voler accogliere per i successivi 5 anni i rifugiati siriani in fuga dal loro paese non si rese conto che il suo afflato umanitario avrebbe prodotto come esito inintenzionale l’esodo, ingestibile, di centinaia di migliaia di profughi siriani (e di migranti economici) verso la Germania e l’Europa. Fu un errore di valutazione macroscopico, il più grande passo falso nei suoi dieci anni di cancellierato.
Constatata l’impossibilità di farsi carico da sola di un’ondata migratoria di queste proporzioni, sotto la pressione impetuosa dell’opinione pubblica, scossa dai fatti di Colonia, e della Cdu, alleata di governo, con il rischio di veder conclusa anzitempo la propria carriera politica, è corsa subito ai ripari, dapprima ripristinando i controlli alle frontiere, poi ottenendo ed imponendo a livello europeo l’accordo con la Turchia, che, almeno per ora, sembra funzionare efficacemente – sia permesso un inciso: anche in questo si denota la differenza fra una statista e i politicanti di casa nostra: quando Merkel ha compreso la gravità del suo errore, subito ha profuso tutte le sue energie nel porvi rimedio. Con la chiusura della rotta balcanica il flusso di immigrati in arrivo in Germania nel 2016 si è arrestato: ormai sono solo poche centinaia al giorno a valicare i confini tedeschi. Gli arrivi a gennaio sono stati 3356, crollati a 599 nel mese di febbraio e a 480 a marzo. Basti pensare, per fare un paragone, che a dicembre gli ingressi registrati furono circa 5000.
Scrive Alessandro Merli su Il Sole 24 Ore che si stima che gli immigrati irregolari giunti in Germania nel 2015 in realtà siano stati 600.000, e non un milione come riportato dai media. Questo perché alcuni immigrati avevano altre destinazioni, altri sono ritornati in patria, si sono registrati due volte o si sono dati alla clandestinità. Il governo tedesco destinerà per le spese relative all’accoglienza dei richiedenti asilo (476.649 le richieste nel 2015) tutti i 19,4 miliardi di surplus ottenuti grazie al pareggio di bilancio.
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Da tempo in molti (da ultimo Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera) si prodigano per tentare di dimostrare gli effetti virtuosi, per l’economia italiana ed europea, dell’immigrazione. Sono analisi sovente viziate da ideologia, che confondono deliberatamente immigrazione illegale e legale (questa sì, necessaria e benefica).
La tesi sottostante è che in un paese (e un continente) con scarsi tassi di natalità e una quota di popolazione sempre più vecchia, è necessario reperire nuova manodopera per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico, e più in generale del welfare state; l’assunto di partenza è corretto, tuttavia ciò non implica che questa manodopera debba essere formata da lavoratori extracomunitari scarsamente qualificati e difficilmente integrabili.
E’ invece dubbio, se non falso, che l’afflusso senza precedenti di immigrati irregolari nel 2015 sia stato economicamente proficuo. Secondo uno studio del Fmi, l’impatto sul Pil dell’arrivo di 1,2 milioni di immigrati irregolari nel 2015 è stato e sarà irrisorio: in conseguenza soprattutto di un aumento della spesa pubblica comporterà un aumento dello 0,05% nel 2015, che salirà a 0,09% nel 2016 e a 0,13% nel 2017.
Per questo, sebbene accogliere chi ha diritto all’asilo politico – quindi non gli immigrati economici, i cosiddetti clandestini – sia un dovere giuridico oltre che morale, è lecito, a mio avviso, specie nell’attuale congiuntura storica, che ogni Stato sovrano ponga dei limiti sia all’accoglienza degli immigrati illegali tout court sia – e questo è un aspetto assolutamente dirimente – nell’accesso al welfare state (discorso che vale a maggior ragione per quelli che hanno uno stato sociale alquanto generoso).
Non raccontiamocela, l’accoglienza degli immigrati irregolari, data l’entità straordinaria delle migrazioni in atto dal continente africano, ha un costo insostenibile, che né l’Europa né tantomeno l’Italia possono accollarsi.
So che può sembrare razzista asserirlo, ma gli Stati devono dare la priorità ai propri cittadini, pensare innanzitutto ad assicurare loro sicurezza e benessere, non fare la carità a danno di quegli stessi cittadini.
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A questo proposito, i “liberali boldriniani” (intesa come Laura Boldrini), che ogni due per tre reclamano (giustamente) la necessità di diminuire la spesa pubblica, e quindi la pressione fiscale, non avvertono la contraddizione nel difendere un immigrazione le cui proporzioni sono tali da determinare necessariamente un aumento consistente della spesa pubblica corrente (e del debito pubblico) per farvi fronte? Costoro sostengono anche che l’immigrazione conviene sempre da un punto di vista economico poiché produce crescita economica. Si sono convertiti improvvisamente al neokeynesismo e alle virtù taumaturgiche del moltiplicatore della spesa?
In questo momento in Italia non c’è lavoro per gli autoctoni, figuriamoci per gli immigrati irregolari. Il mercato del lavoro non è in grado di assorbirli e così questi finiscono tra le fila del lavoro in nero. Avere un’elevata manodopera a basso costo, inoltre, ha come effetto quello di generare deflazione salariale. È questo che vogliamo?
Piuttosto si dovrebbe pensare ad impiegare gli immigrati che fanno richiesta di asilo politico per svolgere lavori di pubblica utilità (pulizia delle strade ecc) in cambio dell’ospitalità e del contributo (72 euro al mese) che ricevono dallo stato italiano.
Questi strani liberali che albergano in Italia si stracciano continuamente le vesti per “l’abolizione di Schengen” e paventano i danni che ne deriverebbero per gli scambi commerciali, e quindi in definitiva per le economie dei paesi membri dell’Unione. Il trattato di Schengen, indubbiamente una delle più grandi conquiste europee, non è stato abolito; è stato solo momentaneamente sospeso in alcuni paesi (possibilità che è prevista dal trattato stesso, per due anni, in caso di reali emergenze o minacce esterne). Anche la semplice sospensione si tradurrà in costi ingenti per i cittadini europei; ma è l’inevitabile conseguenza, non delle decisioni di governi miopi e autolesionisti, ma di un’immigrazione massiccia e incontrollata (che loro propugnano, per ragioni demografiche). Oltretutto, così facendo ottengono l’effetto opposto rispetto a quello sperato: “anziché fermare la spinta verso i controlli delle frontiere, convincono sempre più cittadini che solo questa è la via giusta. E accentuano il desiderio di lasciare l’Unione e la moneta unica”, come ha scritto il sociologo Gianfranco Morra. Un po’ di realismo non guasterebbe.
Gli accordi di Schengen che permettono la libera circolazione delle persone presuppongono il controllo delle frontiere esterne. Se manca questo, se cioè le frontiere esterne sono porose, diventa necessario presidiare i confini interni. Per essere chiari: all’Unione Europea spetta la vigilanza delle frontiere esterne; mentre agli stati nazionali il controllo di quelle interne.
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L’immigrazione clandestina è sconveniente e ha riflessi significativi non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale. Giovanni Sartori ha sempre sostenuto che gli immigrati musulmani sono portatori di una cultura incompatibile con quella occidentale, o comunque difficilmente integrabile (o assimilabile). La Francia in questo senso è il più fulgido esempio del fallimento del multiculturalismo.
È ormai conclamato, inoltre, che questo tipo di immigrazione selvaggia si salda con la minaccia terroristica. Giova ricordare che il ministro degli interni Alfano e buona parte della sinistra avevano negato pervicacemente che tra gli immigrati “disperati” che arrivavano con i barconi dalla Libia potessero infiltrarsi dei terroristi.
C’è un altro tema legato a questo, riguarda i tassi di criminalità degli immigrati irregolari, e qui non si tratta più di opinioni ma di dati incontrovertibili: gli immigrati irregolari delinquono di più rispetto a quelli regolari e molto più degli italiani (io ne avevo già scritto diffusamente qui).
In “la crisi non è uguale per tutti”, Tito Boeri ha fatto notare che negli ultimi anni “si è modificato la composizione dei flussi migratori diretti nel nostro paese, finendo per attrarre da noi più criminali che altrove”. Prosegue Boeri snocciolando i dati: “la percentuale di omicidi di cui vengono accusati immigrati è quintuplicata negli ultimi 15 anni; quella dei tentati omicidi è aumentata di 6 volte, ben di più della crescita della quota di immigrati sulla popolazione italiana. La percentuale di stranieri sul totale di denunciati o arrestati per furti è del 70%, quella per furti in abitazione del 50%, nel caso di violenze sessuali si arriva al 40%. Siamo l’unico Paese in Europa in cui la percentuale di immigrati sul totale della popolazione carceraria è 5 volte superiore alla loro quota sulla popolazione residente”. Attualmente la quota di stranieri che si trova nelle carceri italiane è del 33,4%, contro una media europea del 21%.
Anche altrove il problema è pressante: basti pensare ai fatti di Colonia, dove, secondo le autorità, le aggressioni sono state perpetrate nella quasi totalità dei casi (97%) da immigrati irregolari o richiedenti asilo; in Svezia, invece, si sono verificati alcuni omicidi nei centri di accoglienza.
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In Europa si diffonde la sindrome Orban che coinvolge indistintamente governi di destra e di sinistra.
Non dovrebbe sorprendere. Oggi in Europa l’immigrazione è diventata il cleavage decisivo nella strutturazione dei sistemi politici. Si è creato un clima propizio all’emersione e all’affermazione di partiti reazionari ostili all’immigrazione e all’Ue. Finora l’Europa, invece che gestire il fenomeno, regolandolo, lo ha subito inerte, limitandosi a soluzioni provvisorie come la chiusura delle frontiere.
Se il problema immigrazione, che è strutturale, non venisse risolto, o quantomeno attenuato con un significativo contenimento dei flussi, la crisi in cui versa l’Europa non solo non cesserà ma potrebbe anche aggravarsi.
La crescita dei partiti populisti e antisistema in tutta Europa segnala che è in corso una tendenza “alla rinazionalizzazione della politica”, per dirla con un’espressione adottata da Stefano Stefanini. Scrive Stefanini: “Werner Faymann, Viktor Orban, Robert Fico sono gli effetti non le cause” di questo. “I leader nazionali non fanno altro che rispondere alle aspettative e sentimenti di chi li ha eletti, si fanno interpreti di quanto chiedono larghi strati delle loro opinioni”.
Sei stati – Germania, Francia, Danimarca, Svezia, Austria, Belgio – hanno deciso unilateralmente di sospendere, in tutto o in parte, gli accordi di Schengen e reintrodotto i controlli alle frontiere. La Svizzera si appresta a mobilitare l’esercito. La Svezia, uno dei paesi che ancora oggi accoglie più immigrati a livello pro capite, ha annunciato di voler espellere 80.000 richiedenti asilo sprovvisti dei requisiti per ottenerlo. La Norvegia foraggerà con 10.000 corone (poco più di 1000€) a testa i richiedenti asilo che accettino volontariamente di essere rimpatriati nei loro paesi anche perché questo significa ottenere un risparmio rispetto alla loro permanenza lì. Da ultima l’Austria, dopo aver chiuso il confine con l’Ungheria, minaccia ora di erigere un muro al confine del Brennero, e per questo è stata duramente criticata. Il punto è se questa sia un’iniziativa giustificata oppure no: attualmente non sussiste nessun reale pericolo che motivi una scelta simile, quindi pare più che altro un’azione preventiva. Gli austriaci, che hanno il sostegno tedesco, diffidano – e su questo non si può dar loro torto – della capacità da parte dell’Italia di gestire l’imponente ondata migratoria proveniente dalla Libia.
Proprio il caso austriaco merita di essere approfondito. Da sempre l’Austria è stata considerata dalla scienza politica come uno dei classici esempi di bipartitismo, dove cioè i due partiti tradizionali, quello socialdemocratico (Spo) e quello popolare (Ovp), raggiungevano insieme almeno il 70% dei consensi elettorali. Per la prima volta dal 1945 al ballottaggio andranno invece i verdi e l’Fpo, il partito di estrema destra fondato da Jorg Haider.
Nel 2015 un milione di immigrati ha attraversato il territorio austriaco e le richieste di asilo accolte sono state 90.000. Nel frattempo il governo ha ripristinato i controlli alle frontiere e tentato di regolare il fenomeno fissando per il 2016 una quota massima di 37.500 immigrati. Si obbietta che le quote sono contrarie alla convenzione di Ginevra, quindi giuridicamente illegittime; ma anche l’accordo stipulato tra Unione Europea e Turchia viola il diritto internazionale giacché prevede espulsioni collettive per tutti gli immigrati, compresi i profughi siriani, giunti in territorio greco dopo il 20 marzo: se è legittimo l’accordo con la Turchia, allora, per quanto deplorevole o disumano possa apparire, lo è anche stabilire delle quote o innalzare dei muri a difesa dei propri confini.
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C’è un’altra convinzione diffusa che viene propinata da anni, diuturnamente, dai media e dal cosiddetto “partito dell’accoglienza”, che occorre smentire. Quella per cui a giungere in Italia (o in Europa) sono soprattutto i profughi. Così non è.
Nell’anno in corso – i dati si riferiscono al mese di marzo – sono sbarcati 18.234 immigrati irregolari, con un aumento dell’25% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (ve li ricordate i titoli trionfalistici dei giornali, specie quelli di sinistra, che annunciavano il calo dei flussi?). Le previsioni preconizzano nel 2016 l’arrivo di 300.000 immigrati. Ma tutto dipenderà dalla stabilizzazione della Libia. Tuttavia si commetterebbe un errore a pensare che ciò sia dovuto alla chiusura della rotta balcanica, meta di immigrati che provengono da zone diverse rispetto a quelli che giungono in Italia.
Gli immigrati che arrivano in Italia provengono quasi tutti dal nord Africa: dalla Nigeria (15%), Gambia (12%), Senegal (8%), Costa d’Avorio (8%), Mali (8%), Guinea (8%), Somalia (5%), Marocco (3%), Eritrea (3%), Sudan (2%); il restante 28% deve essere ancora identificato. Insomma, di profughi neanche l’ombra: sono quasi tutti immigrati clandestini e pertanto, secondo le regole europee, vanno rimpatriati.
“A differenza di quanto avviene in Grecia, tra i trecentomila migranti attesi quest’anno sulle nostre coste, i siriani e gli iracheni, che hanno diritto all’asilo politico, sono una minoranza irrilevante”, ha scritto Andrea Bonanni su la Repubblica.
Nel 2015 in Italia sono sbarcati illegalmente 153.842 immigrati, quasi il 9% in meno del 2014; di questi circa la metà, 71.110, ha presentato domanda d’asilo; il 53% (precisamente il 52,6%) delle richieste è stato respinto. I Siriani erano 7.444; gli eritrei 38.612. Nel 2014 su circa 170.000 immigrati, le domande d’asilo sono state circa 36.000, di cui il 63,8% ha avuto esito positivo. Va detto che i criteri con cui le commissioni territoriali (ma il discorso vale allo stesso modo per i governi europei) accettano o rifiutano domande d’asilo non sono molto chiari; andrebbero resi uniformi a livello europeo. Oggi in Italia fa ricorso il 50-60% degli immigrati cui viene negato l’asilo politico. Secondo i dati della Fondazione Maressa, a Milano nel 2015 è stato accolto il 27% dei ricorsi.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, i dati del 2015 ancora non si conoscono. È probabile che in questo caso il numero “reale” di profughi possa sopravanzare quello degli immigrati economici. Nel 2014 secondo i dati Eurostat il 55,28% delle domande d’asilo sono state bocciate. Nel 2013, invece, su 326.125 richieste di asilo, diversamente dall’Italia, la stragrande maggioranza, ben 213.415, sono state respinte, vale a dire oltre il 65%.
E chi non presenta domanda d’asilo? È presumibile che non lo faccia o perché non è profugo né rischia la vita nel paese di provenienza o per sfuggire ai controlli e raggiungere così altre mete europee (come accadeva per i siriani l’anno scorso).
Sull’immigrazione il governo italiano ha adottato una politica buonista, cioè favorevole all’accoglienza, ed irresponsabile, permettendo che molti immigrati non venissero identificati e potessero fuggire in Europa; non eseguendo molti rimpatri; e scaricando le responsabilità della sua mala gestione sull’Europa stessa. Questo atteggiamento “induce non pochi elettori a credere nel becero oltranzismo di Salvini”, per dirla con Morra.
Ora, per la prima volta in due anni, il governo Renzi ha avanzato una proposta concreta sulla questione immigrazione. Il migration compact prevede di destinare soldi ai paesi d’esodo affinché non consentano agli immigrati di partire.
Proporre di finanziare il progetto con eurobond è un’evidente provocazione stante l’ovvia contrarietà della Germania, ma pagare i governi africani per tenersi gli immigrati potrebbe essere una buona idea a condizione che i soldi siano elargiti solo in presenza di risultati concreti, cioè ex post e non ex ante.
Per mesi il governo italiano si è baloccato con il piano di ricollocamenti, ovvero la redistribuzione dei profughi dai paesi di prima accoglienza verso il resto d’Europa. I ricollocamenti si sono rivelati un fallimento clamoroso – dall’Italia finora sono partiti 530 rifugiati (su 39.600 in due anni!) – per un motivo molto semplice: nessuno in Europa vuole (e può) accogliere altri immigrati. C’è poi il rischio che i profughi “deportati” in una determinata nazione facciano di tutto per recarsi in un’altra. E le mete più ambite sono sempre i paesi del nord Europa.
Anziché pensare ai ricollocamenti si dovrebbe cercare di rendere effettive le espulsioni degli immigrati economici. In questo senso i dati forniti da Frontex, l’agenzia preposta al monitoraggio delle frontiere, sono impressionanti: nel 2010, su 540.000 ordini di espulsione di immigrati clandestini, solo 199.000 hanno lasciato effettivamente l’Unione Europea; nel 2011 furono 167.000 su 491.000; nel 2012 178.000 su 484.000; nel 2013, invece, su 425.000 persone destinatarie di un provvedimento di espulsione, hanno effettivamente fatto ritorno nel proprio Paese in 167.000. Nel 2014, infine, appena il 39% degli ordini di espulsione è stato eseguito (circa 188.000 immigrati su 470.000).
Il Times (che però è stato subito smentito dalla commissione europea) ha scritto che nel 2015 il numero di immigrati irregolari che non ha diritto all’asilo politico, da rimpatriare, si aggira intorno ai 400.000, in linea con gli anni passati. Probabile che sia persino superiore – 600.000 – se fossero vere le indiscrezioni pubblicate dai giornali, sui nuovi dati di Frontex, secondo cui anche quest’anno uno su due tra gli immigrati illegali arrivati in Europa sono da considerarsi immigrati clandestini.