Marjane Satrapi
edizione italiana: Lizard (2002)
No, non è un “fumetto”, è una graphic novel. Ma questo non è importante. Il romanzo non è recentissimo, uscito per la prima volta in Francia nel 2000.
E’ la storia autobiografica di Marjane. L’infanzia in una famiglia benestante e progressista di Tehran, con tutta la sua ingenuità, le sue fantasie, i suoi sogni, la sua aspirazione di capire cosa fanno i grandi e cercare di essere come loro. E l’adolescenza, quando le cose si comincia a capirle, ma comunque ci si sopravvive, e si cerca l’indipendenza, la ribellione, le feste con gli amici, lo stare alla moda. Fino al momento in cui Marjane si trova costretta, a 14 anni, a separarsi dai genitori, non vedendo più futuro in Iran.
Il contesto è quello degli ultimi anni di regno dello Scià, con la sofferenza del popolo per la sua tirannia e per l’ingerenza dei governi occidentali nel paese, la sua caduta, la temporanea speranza in tempi migliori, e l’ascesa della repubblca islamica. E poi la guerra contro l’Iraq di Saddam, il buio, la follia, e la crudeltà.
Ed è un contrasto continuo, crudo, tra un’infanzia e un’adolescenza che tutto sommato vorrebbero essere normali, nonostante il tempo e il luogo, proprio come riusciremmo ad immaginare un’infanzia e un’adolescenza qualsiasi, e l’anormalità di tutto ciò che le circonda. E il registro stilistico riesce a rafforzare alla perfezione questo contrasto. Riesce a trovare quella leggerezza di chi si trova a dover sopravvivere alla follia nella quotidianità, con sprazzi di umorismo, ironia, che riesce anche a strapparti qualche risata. La violenza c’è sempre, e si percepisce, ma rimane perlopiù sottotraccia, repressa, quell’operazione che si fa appunto quando ci si deve convivere, ma non scompare mai. E senza che te l’aspetti si scarica improvvisamente, giusto in un paio di riquadri nel libro, con tutta la sua atrocità, da far male, fino a diventare insopportabile.
E così ci si ritrova a “saltare” tra la storia della prima sigaretta e la “ribellione” ai genitori, e la storia di Niloufar, figlia diciottenne di oppositori politici che, vietando la legge di dare la pena capitale alle ragazze vergini, viene fatta sposare dal suo boia, violentata e quindi giustiziata (e affinché il concetto non sfugga, ai familiari viene fatta recapitare la dote della “sposa”: 500 tumans -5 dollari-).
Il tratto è semplice, ancora grezzo, nonostante ciò alcune tavole riescono ad essere più elaborate e suggestive, ma quello che rende di più è l’uso del colore, bianco e nero, con quest’ultimo che prevale in molti riquadri, quasi a voler caricare ancorà di più la drammaticità della storia.
Ho esordito rimarcando che non è un “fumetto”, dato che spesso questo genere viene percepito dai più come non serio, o comunque non all’altezza di un normale romanzo scritto. La scelta del formato è invece azzeccata, la storia scorre veloce e le immagini la supportano bene, completandone la percezione: le sensazioni della protagonista ti entrano dentro alla velocità di un battito di ciglia. La vicenda poi è attuale, nel senso che è utile per capire parte dell’attualità che ci circonda, e per riflettere su come il percorso della storia non sia così scontato e banale come in molti -purtroppo- lo vorrebbero. Serve anche per riuscire ad immedesimarsi, almeno per qualche attimo, in parte di quel mondo vicino/lontano che non conosciamo e, soprattutto, per capire che quella parte di mondo, che volente o nolente ci è entrata in casa, non è affatto riassumibile in un unico specimen, immutato e immutabile nello spazio e nel tempo.