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Speaker's Corner

Perché non dovreste più bruciare reggiseni

In Italia, la battaglia per la parità dei sessi non si può più combattere con il femminismo.

Un fenomeno che ultimamente infesta i social e le discussioni sull’argomento sono le schiere di politichini (o presunti tali) che si esibiscono in innumerevoli arringhe da uomo femminista, pro diritti della donna.

I commenti possono essere svariati, riporto di seguito le casistiche più comuni a titolo esemplificativo: “Ah in questo Consiglio comunale non sono presenti donne, malissimo.”

Oppure: “Gioisco perché abbiamo ben 3 (e dico 3 eh) candidate donne!”.

Queste frasi, purtroppo molto, troppo frequenti, mi fanno pensare che non si è capito quale sia il problema.

La criticità sorge SE donne, meritevoli (per competenze, per leadership, per i più svariati motivi) non sono elette o prese in considerazione alle stesse condizioni per dei ruoli considerati maschili.

La criticità non sorge perché, a priori, ci devono essere delle donne, sempre, ovunque e forzatamente, indipendentemente da quanto queste siano idonee al compito.

I problemi sono, sostanzialmente, ascrivibili a due categorie: l’impedimento e la non parità.

Il primo caso si verifica quando una donna non riesce a raggiungere una data posizione in nome di giudizi o pregiudizi che si basano sulla tipologia di sesso. Il sesso funge dunque da impedimento per la donna che si merita l’incarico.

Il secondo caso si verifica quando le capacità attuali e potenziali, le opinioni e, importantissimo, i salari, non sono riconosciuti allo stesso modo per gli uomini e per le donne: quando non vi è parità di trattamento.

Di contro il problema sorge quando devono per forza esserci delle donne indipendentemente da altre variabili.

Essere donna è sinonimo di qualità? Non mi pare.

Potete, semplicemente, giudicare la meritevolezza di un individuo ad essere investito di una carica, indipendentemente dal suo sesso? E non fare del sesso una bandiera, un motivo necessario e sufficiente per discettare dell’idoneità di un candidato?

Ma arriviamo a una discussione vissuta personalmente qualche giorno fa, che per arroganza e incapacità di confronto con idee altrui, rappresenta una perla rara.

Persone che evidentemente, si ritiene più umile e preparata della sottoscritta, mi apostrofano in malo modo sostenendo che, nello specifico dei consigli regionali, il mio focalizzarmi sulle competenze piuttosto che sul sesso è stupido poiché, per dirigere l’aula o tenere i rapporti tra i gruppi consiliari, non sono richieste in alcun modo “competenze” specifiche. Inoltre, aggiungono, gli uffici di presidenza sono da sempre gli organi meno tecnici e più inclusivi.

Sorvolando sul fatto che una simile frase implica che per essere un membro di un consiglio regionale non servano competenze specifiche ma piuttosto uno specifico sesso, il motivo per cui sono profondamente in disaccordo con l’affermazione di cui sopra è che il principio della meritocrazia non è scavalcabile dal principio della rappresentanza di genere.

Mi dispiace dirvi che la battaglia per la parità dei sessi non passa dalle quote rosa: mi rifiuto profondamente di esultare se una donna è meno competente di un uomo ma viene comunque eletta, in nome di una parità di facciata.

Le vittorie ottenute barando non danno molta soddisfazione.

Avremo veramente una parità di genere quando il genere non verrà chiamato in causa in alcun modo in una discussione. Quando discussioni come quella a cui ho assistito non avverranno più. Quando politici e politichini inizieranno a informarsi su un argomento prima di condurre battaglie su opinioni personali e nascondere la loro incompetenza dietro agli insulti.  

Insulti, sì, perché è inutile dire che se si sollevano obiezioni sulla questione di genere gli omuncoli che si travestono da paladini delle donne, non esitano ad attaccare chiunque non la pensi come loro producendo commenti di una bassezza e di un livello così infimo da corroborare l’idea che prima della parità dei sessi, dovremmo preoccuparci dell’educazione della società civile.

L’antico “vizio” di lasciar fuori le donne dai Cda, dalla vita pubblica, o da cariche di ogni genere, non si può imporre per legge, deve essere superato da un cambiamento culturale.

Mi capita spesso, nel fare questo discorso, di venir tacciata di anti-femminismo (come se fosse un reato poi) da altre donne. La frase classica in questi casi è: “Sentire questi discorsi da una donna fa ancora più tristezza.”

A mio avviso critiche del genere dimostrano solo che non si è compreso qual è la battaglia che si sta conducendo, oltre al fatto di denotare una pochezza di argomentazioni e di fantasia dialettica a dir poco preoccupante.

Ma, per dimostrarvi che non eludo il problema, non condanno la battaglia, ma disapprovo i mezzi chiamerò in causa le parole di una voce sicuramente immune “dall’accusa di non essere femminista”: Lea Melandri:

“Con il politicamente corretto non si cambia niente. Il dibattito sulle quote rosa ignora mezzo secolo di battaglie e riflessioni, perché parte, ancora una volta, dall’idea della donna come di una minoranza da difendere e rappresentare. Io voglio e sostengo la necessità di una presenza femminile più consistente nelle istituzioni. Ma non è con le bandierine del 50-50 che la otterremmo. Non è così che verrà scalfito il maschilismo del paese.”.

Questo il discorso che non avete colto, queste le obiezioni al vostro modo di condurre una battaglia travestite da suffragette (e suffragetti) in un mondo che è andato avanti.

Ma allora, come si combatte oggi per la parità dei sessi?

Basta osservare.

Osservate: donne in carriera, donne manager, donne dottori, donne imprenditrici, e allo stesso tempo donne madri, nonne, zie, mogli oppure single. Donne che, nonostante tutto, ce la fanno.

Le donne che combattono, hanno imparato a conquistare le sedie sotto ai sederi delle stesse persone che le hanno insultate, denigrate e biasimate, e hanno imparato ad ottenere le loro vittorie perché sono brave, perché se lo meritano, perché, a volte, sono le migliori.

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