Alle 14:58 di giovedì 24 dicembre 2020, 1.644 giorni dopo lo sciagurato referendum che ha causato la decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea e a soli sette giorni dalla fatidica data del definitivo abbandono dell’Unione da parte dei britannici, Downing Street annuncia in pompa magna il raggiungimento dell’agognato accordo post-Brexit.
Contestualemte, in conferenza stampa, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea e Michel Barnier, capo del gruppo di lavoro della Commissione responsabile dei negoziati sulla Brexit, annunciano dal lato europeo il raggiungimento di un accordo equo ed equilibrato con il Regno Unito (“fair and balanced agreement with the UK”).
Nelle prossime ore verranno le analisi dei giuristi, le disanime degli economisti e i proclami dei politicanti, ma al momento i dettagli dell’accordo non sono ancora noti, salvo quanto abbondantemente trapelato nelle ultime ore e anche via via negli ultimi giorni e nelle scorse settimane. Sembrerebbe trattarsi di un compromesso con cessioni da entrambe le parti, ma è presto per esprimere un giudizio.
Tuttavia, le sensazioni non sono buone. A scanso di equivoci: chi scrive, sinceramente, spera in un finale disneyano, in cui tutti vivono felici e contenti. Il realismo però, ci assicura che non sarà così: non si può essere costantemente felici e contenti e le premesse, appunto, non sono rosee.
Un primo, pessimo, segnale è il fatto che UK a UE abbiano annunciato il raggiungimento dello storico accordo separatamente. Vista la portata epocale della nogoziazione appena conclusa, sarebbe stato auspicabile un comunicato congiunto, sobrio, equilibrato.
Invece, da un lato, una conferenza stampa, questa sì, sobria ed equilibrata di von der Leyen e Barnier e, a farle da contraltare, un proclama trionfalistico del governo di Boris Johnson che annuncia la vittoria di Londra su tutta la linea.
“Deal is done. Everything that the British public was promised during the 2016 referendum and in the general election last year is delivered by this deal”; L’accordo è fatto. Tutto ciò che è stato promesso al pubblico britannico durante il referendum del 2016 e nelle elezioni politiche dello scorso anno è garantito da questo accordo.
Segue un elenco puntato di tutti i punti messi a segno dai negoziatori di sua Maestà: abbiamo ripreso il controllo dei nostri soldi, dei confini, delle leggi, del commercio e delle nostre acque di pesca. L’accordo garantisce inoltre che non siamo più soggetti alle lune dell’UE (“we are no longer in the lunar pull of the EU”), non siamo vincolati dalle regole dell’UE, non c’è alcun ruolo per la Corte di Giustizia Europea e tutte le nostre linee rosse chiave sul ritorno della sovranità sono state raggiunte, tra gli altri.
Dunque, Londra festeggia con fare spaccone, da hooligan, aver raggiunto un accordo senza nessun ruolo per la Corte di Giustizia Europea. È lecito domandarsi invece, cosa intenda von der Layen quando parla di misure forti all’interno dell’accordo, in caso in cui una delle parti non rispetti le regole dell’accordo stesso. Quando il testo del trattato sarà a disposizione, si potrà analizzare, spiazza però vedere che a un minuto dalla firma, l’interpretazione delle parti è diametralemnte opposta: Boris Johnson, da un lato, si pavoneggia per aver liberato la Gran Bretagna dal giogo della lunatica Unione Europea, dando ad intendere che d’ora in poi faranno come gli pare, dall’altro, la presidente teutonica di quella rigida Unione, la cui nomea di iperburocrazia contrasta con questa rinnovata immagine, attribuitale oltremanica, di imprevedibile e bizzarra organizzazione, parla, va detto coerentemente, di regole e rimedi per chi le viola.
È difficile credere che il Regno Unito rinuncerà all’atteggiamento di ostentata superiorità mantenuto fin qui. Sopratutto se, come pretende il governo britannico nel suo comunicato (e nelle dichiarazioni successive), le concessioni di Bruxelles sono state importanti e decisive.
Valeva la pena cedere per firmare un accordo a tutti i costi? Forse no. L’Europa aveva un peso negoziale sproporzionato rispetto a Londra, accresciuto dalla sconfitta di Trump in America che ha definitivamente escluso che la Gran Bretagna potesse firmare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti in tempi brevissimi.
Inoltre, aver concesso l’accesso al mercato unico senza tariffe (se confermato) è un precedente gravissimo: si permette a un partner esterno, con l’aggravante di essere uscito dall’Unione sbattendo la porta, di competere in condizioni uguali o similari ai membri del club. Forse si sarebbe potuto mantenere una posizione più ferma nell’interesse del blocco continentale, forse si sarebbe potuto essere più audaci, un po’ più british, appena consapevoli di una oggettiva condizione di superiorità: ventisette contro uno.
C’è un altro aspetto sinistro che lascia presagire un’evoluzione non felice della Brexit: le parole di Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese: la Brexit sta avendo luogo contro la volontà della Scozia. E ancora: è tempo di tracciare il nostro futuro come nazione europea indipendente. Per il governo scozzese, insomma, la soluzione a una storica separazione, sembra essere un divorzio senza precedenti. Divisione per curare divisione, populismo per combattere populismo. Con la speranza che l’Europa non voglia, in futuro, prendersi delle rovinose rivincite su Londra per compensare le concessioni odierne.
1 comment
lunar pull le vedrei più come maree ma ok :)