Cos’hanno in comune le antiche divinità celtiche e greco-romane, la Madonna e il Primo maggio? Scopriamolo indagando le tradizioni pagane di maggio, in cui questi tre mondi si incontrano nella storia e nella cultura.
Forse non molti lo sanno, ma non è un caso che la Festa della mamma cada a maggio, il mese notoriamente deputato ad ospitare le feste mariane, ossia eventi e commemorazioni dedicate alla Madonna (anche se la sua genesi ufficiale si fa risalire ad Anna Jarvis, che organizzò per prima un memoriale per sua madre nel 1908). Queste festività presentano attinenze con la mitologia e il paganesimo romani, come intuibile dalla lettura degli altri articoli della rubrica.
Ma, prima di cominciare, solito disclaimer: in questa rubrica proviamo a investigare meglio il viaggio e l’evoluzione delle festività nella storia, ma lungi da noi presumere di poter risolvere temi così complessi in articoli così brevi, che non potranno mai considerare ogni elemento storiografico compiutamente. Se ci sono storici all’ascolto, quindi, prendete quest’articolo come uno spunto e commentate per permetterci di migliorare il nostro lavoro!
Festività mariane nella tradizione pagana
Secondo la chiesa cattolica, maggio è soprattutto il “mese della Madonna”, con particolare devozione verso il Santo Rosario. E a ben vedere, in questo mese si celebrano perlopiù festività votive per questo personaggio a dir poco fondamentale nell’economia dottrinale cristiana. Ciò che però nessuno spiega mai è l’etimologia del mese di maggio, ancor più evidente nella forma inglese May: l’antico nome latino “Maius“, mutuato poi dalle lingue anglofone, deriverebbe infatti dalla dea romana Maia, dea della terra, dell’abbondanza e della fecondità.
La studiosa H. J. Rose, che come Aulo Gellio notò la singolare vicinanza di Maia al dio del fuoco Vulcano, precisa la correlazione tra il nome di “maggio” e quello della dea Maia, la cui ricorrenza cade il primo maggio perché in questa data i Lari venivano onorati come protettori di Roma e il Flamine di Vulcano offriva in sacrificio a Maia una scrofa gravida, con l’auspicio che anche la terra fosse fiorente e produttiva. Secondo Rose, insomma, la parola “maggio” proverrebbe dalla radice “MAG”, che connette indissolubilmente la dea alla crescita dei raccolti.
Pertanto, prima che la figura della Madonna s’insinuasse nel calendario rituale della società appena cristianizzata del Medioevo, il mese di maggio era consacrato alla dea Maia e sempre a lei erano dedicate le rose, poiché essa simboleggiava la fertilità e il risveglio della natura in primavera. Questa divinità, tra l’altro, ha una certa importanza in quanto madre del dio Ermes (o, secondo alcune tradizioni, di Sterope) e figlia di Atlante e Pleione (appartiene dunque alle Pleiadi). Essa era originariamente la dea dei campi, la Dea Bona (o Bona Dea), ossia la versione laziale della Grande Madre, il cui nome non poteva essere pronunciato (motivo per cui si stabilì tale pseudonimo).
Si devono a lei gli appellativi dell’attuale abbazia di Santa Maria Arabona, frazione di Manoppello, e dell’abbazia di Santa Maria Rambona a Pollenza, in provincia di Macerata, che erano in realtà templi dedicati al culto della dea Bona: dal latino “ara“, ossia “altare”, Arabona (Ara Bona) e Rambona sarebbero sinonimi e testimonierebbero una continuità non irrilevante “tra i luoghi sacri dell’antichità e la presenza cristiana che non cancella ma dà nuovo significato agli antichi culti.” La continuità, tuttavia, è di luogo e non necessariamente di culto: non esistono testimonianze sufficientemente solide per inferire una qualche sovrapposizione sincretica delle divinità venerate. E infatti, “La madonna col bambino prende così il posto della grande madre generatrice e protettrice, nelle sue varie forme locali.“
A dimostrazione, inoltre, che il mese di maggio, articolato nelle varie ricorrenze sacre, non appartiene da sempre alla Madonna, ma spetterebbe di diritto alla dea Maia, nella mitologia romana Mercurio (ossia Ermes) era commemorato alle Idi di maggio, il 15, come protettore dei mercanti (anche questo un potenziale collegamento con la madre Maia come dea promotrice di crescita).
Calendimaggio e dintorni
Ma la tradizione probabilmente più pregnante, dal nostro punto di vista, è quella che si riaggancia direttamente all’inizio del mese: il calendimaggio (o Cantar maggio) è infatti un rito di carattere magico-propiziatorio che, intorno al primo del mese, in concomitanza con le calende di maggio nel calendario romano, celebra l’avvento della primavera come allegoria della rinascita stagionale e del ritorno alla vita.
È considerata astronomicamente opposta alla festa dei morti (primo novembre) e alle usanze di Halloween (di cui si parlerà a tempo debito) poiché il calendimaggio vede generalmente dei figuranti noti come maggianti (o maggerini) intonare strofe benauguranti presso le case del borgo in cambio di doni simbolici come vino, cibarie, dolciumi e uova. La festa si articola dunque in una questua carica di significati simbolici e allegorici, come viole e rose, citate nelle strofe dei canti e ornamento dei maggianti, e gli “alberi del maggio” (l’ontano, considerato il simbolo della vita e spesso presente nel rituale poiché cresce lungo i corsi d’acqua, e il maggiociondolo), che accompagnano i maggianti nella visita presso gli abitanti del paese.
Diffusa principalmente nel territorio italiano, la sua tradizione è andata perdendosi in molte regioni a causa della sua data: nell’Ottocento, infatti, il movimento socialista usò il primo maggio a scopo di protesta sociale, istituendo la festa dei lavoratori. Ma, siccome sotto il fascismo tale ricorrenza popolare fu vietata, in molte zone dello Stivale fu completamente dimenticata e solo in alcune riesumata a motivo di rievocazione storica (come il Calendimaggio di Assisi, ripristinato nel 1927).
Attualmente è presente in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo e Molise, ma, risalendo ai popoli molto più antichi e sovente più legati all’armonia con la natura (come Celti, Etruschi e Liguri), il calendimaggio ha due controparti ingombranti e celebri anche nel folklore europeo: Beltane e la notte di Valpurga.
Beltane
E non è un caso se il nome di “maggio” in irlandese è “Bealtaine”. Nella tradizione gaelica, infatti, la notte tra il 30 aprile e il 1° maggio nel calendario celtico, tra l’equinozio di primavera e il solstizio estivo, si celebra l’inizio dell’estate con la festa pagana di Beltane (o Beltaine, letteralmente “fuoco luminoso”, “falò”), analoga per certi versi al gallese Calan Mai (o Calan Haf), festeggiato lo stesso giorno ma parzialmente distinto per alcune ritualità.
Stando ad alcune fonti gaeliche del X secolo, durante Beltane pare che i druidi accendessero dei falò sulla cima dei colli, conducendovi persone e bestiame per purificarli in segno di buon auspicio.
Sebbene Beltane fosse squisitamente un prodotto culturale gaelico (Bretoni, Galli e Cornici non ne furono interessati), la tradizione endemica europea di accendere fuochi e falò in occasione di festività primaverili è la traccia indelebile degli antichissimi riti legati al Dio Belanu (gli adoratori del dio in Italia erano i celtoliguri, i quali pure celebravano questa festività). L’usanza si è conservata per secoli anche dopo la cristianizzazione con poche modifiche (come i popolani sostituiti ai druidi nell’accendere i fuochi), ma dagli anni ’50 è sopravvissuta solo in alcune regioni.
La notte di Valpurga
Feste, balli tradizionali, canti propiziatori per la purificazione del bestiame e falò notturni: era questa la cifra della notte di Valpurga (in tedesco Walpurgisnacht, in svedese valborg), un rituale pagano che si celebrava la notte tra il 30 aprile e il 1° maggio nell’Europa centro-settentrionale e prende il nome da Valpurga di Heidenheim, monaca bavarese dell’VIII secolo poi canonizzata dalla Chiesa Cattolica e venerata appunto il 1° maggio.
Poco si sa sull’origine di questa celebrazione, se non che fosse l’eredità (o il prodotto storico) della commistione tra le cerimonie dei popoli germanici e celtici in onore della primavera, come quella dedicata a Ostara (vista in un precedente articolo), il Beltane. Probabilmente proprio celebrazioni come il Beltane, il Calendimaggio (la variante dell’Europa centro-meridionale, in cui tale costume si diffuse in un secondo momento) e altre festività analoghe del continente (la festa approdò persino nella mitologia norrena, motivo per cui è oggi celebrata in Svezia) si sovrapposero alla ricorrenza cattolica di santa Valpurga nell’XI secolo, ribattezzata appunto “notte di Valpurga”. E, infatti, come ogni rito propiziatorio stagionale, tra i fuochi e i festeggiamenti, la notte di Valpurga accoglieva invocazioni per un buon raccolto estivo, per l’abbondanza, la prosperità, la fertilità.
Secondo alcune tradizioni teutoniche del IV-V secolo (di cui abbiamo riscontri in alcune zone della Germania settentrionale), la notte tra il 30 aprile e il 1° maggio delle bizzarre figure poi identificate come streghe uscivano dai loro rifugi per danzare e cantare, spesso inneggiando alla Luna in pratiche rituali che oggi ricondurremmo facilmente (ma erroneamente) a dei sabba o a dei riti satanici. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che i satanisti laveyani annoveravano la notte di Valpurga tra le tre ricorrenze annuali principali, insieme al proprio compleanno ed Halloween, così come dichiarato da Anton LaVey, fondatore del satanismo razionale e della Chiesa di Satana, nella Bibbia di Satana.