Le ripercussioni economiche del Covid19 sono senza precedenti: la chiusura imposta dalle autorità sanitarie, pur con diversa severità in Europa e nel mondo, sta mettendo in ginocchio il tessuto economico e sociale.
Iniziamo dal secondo. Paesi con sistemi sanitari inadeguati e rete di protezione sociale inadatta a fronteggiare una crisi stanno avvitandosi più di altri. Purtroppo questo non risparmia i paesi sviluppati: gli USA hanno visto le domande di disoccupazione salire di diversi milioni. La maggior parte degli economisti prevede un livello di disoccupazione al picco della crisi, che ancora non è stato raggiunto, inferiore solo a quello della Grande Depressione degli anni 30 del 900.
Detto questo, i paesi maggiormente a rischio sono quelli emergenti. Gli USA hanno già messo in campo misure straordinarie che possono sostenere in quanto hanno un’economia molto forte, ma certamente pochi Paesi emergenti hanno mezzi simili. In più, una gran parte della loro popolazione lavora nella cosiddetta ‘economia informale’, per lo più alla giornata e compensi in contante.
La quarantena per queste persone significa non avere mezzi per sostentare la propria famiglia; uscire significa porsi a rischio di contagio. Il FMI aveva inizialmente previsto che avrebbe ricevuto richieste di assistenza per la crisi del Coronavirus da 8 o 9 Paesi: alla settimana scorsa erano 81.
Il FMI non ha i mezzi per sostenere questo volume di richieste. Torneremo su questo punto sotto. Le stesse dinamiche stanno esacerbando le differenze di reddito anche nei paesi sviluppati. Pensiamo solo a chi può continuare a lavorare senza problemi in remoto e a chi ha il ristorante chiuso e deve ricorrere ai sussidi.
I settori maggiormente colpiti sono quelli che richiedono viaggi o gruppi di persone per funzionare bene: ospitalità, trasporto persone e ristorazione sono i più in difficoltà e saranno probabilmente tra gli ultimi a riprendersi.
Dall’altra parte abbiamo settori che addirittura stanno beneficiando dalla crisi: tutto il settore online, quello delle consegne e soprattutto l’home entertainment sono addirittura sotto pressione per il troppo utilizzo e pianificano investimenti in infrastrutture e nuove assunzioni. Disney Channel, lanciato da appena qualche giorno, ha già superato la linea dei 50 milioni di abbonati. Difficile pensare che avrebbe raggiunto questi risultati senza che le persone fossero costrette a restare a casa per un tempo indefinito.
Il biomedicale vede investimenti massicci, pubblici e privati, senza precedenti. Lo stesso avviene per sicurezza e difesa, soprattutto sulle tecnologie di sorveglianza. Le conclusioni a livello di portafoglio le tireremo tra poco.
Veniamo adesso alla risposta necessaria in una crisi del genere: senza pretesa di esaustività elenchiamo solo alcuni spunti.
1) Come in ogni crisi, sia a livello macro che micro, ci sono fasi distinte che richiedono interventi adatti ad ogni fase.
La prima fase è la crisi di liquidità: le aziende costrette a non lavorare rischiano di chiudere per mancanza di flussi di cassa. Per evitare che smettano di pagare gli stipendi ai dipendenti e che chiudano definitivamente è necessario un intervento massiccio di liquidità (non ancora di capitalizzazione), da compiersi attraverso il sistema bancario e con l’appoggio massiccio e straordinario delle Banche Centrali. Questo è quello che Mario Draghi intendeva nel suo famoso articolo sul Financial Times. L’articolo è di libera consultazione e sarebbe auspicabile che lo leggessero tutti.
Questo è stato fatto: non entriamo nel dettaglio tecnico, ma le Banche Centrali stanno sostenendo lo sforzo maggiore mai visto in tempo di pace. Se i fondi non arrivano ancora alle imprese, questo è dovuto a regole complicate messe in campo da alcuni stati nazionali. Per carità di patria evitiamo un elenco.
2) La seconda fase sarà la fase di ricostruzione, nella quale si renderanno necessari interventi di capitale.
In questa fase è richiesta una massiccia iniezione di capitali nell’economia. Attenzione: ci sarà bisogno di capitali pubblici e privati. Quelli pubblici da soli non potranno bastare.
3) La crisi è globale e non si può affrontare da soli, nemmeno come Unione Europea.
Sarà quindi necessario coordinare gli interventi non solo a livello europeo, ma a livello globale, idealmente con il G20, per evitare di lasciare da soli anche i Paesi emergenti. Abbiamo tutti un interesse strategico a far sì che questi non collassino: abbiamo visto cosa succede quando collassa uno Stato con la crisi libica: non solo abbiamo un problema migranti, ma anche di approvvigionamento di materie prime.
A livello europeo, questo sarà il momento degli Eurobond: non ha alcun senso chiederli prima, in quanto siamo ancora nella prima fase della crisi e non sappiamo ancora quanto danno al sistema produttivo è stato fatto. E di conseguenza quanti mezzi saranno necessari. Quando arriverà il momento bisognerà trovare un accordo sul loro utilizzo.
All’intervento governativo andrà affiancata una politica di tassi molto bassi per un periodo prolungato. Questa inizialmente non produrrà inflazione a causa del riassorbimento della manodopera, ancora abbondantemente disponibile, e del basso prezzo delle materie prime. Nel medio termine, però, le Banche Centrali tenderanno ad errare dalla parte della prudenza, lasciando correre i prezzi anche per aiutare il riassorbimento del debito pubblico e privato, che sarà aumentato in modo esponenziale. Se non avete un mutuo, prendetelo adesso.
Questo però avrà effetti limitati se all’intervento pubblico non saranno affiancati capitali privati. Questi saranno disponibili in larga misura, purché le regole burocratiche non ne scoraggino l’utilizzo.
L’Italia ha essenzialmente bisogno di un ‘modello Genova’, che ha permesso di procedere con velocità notevole alla ricostruzione del Ponte Morandi crollato grazie ad una burocrazia fortemente snellita. Questo andrà applicato non solo al settore pubblico, ma soprattutto a quello privato.
In sostanza va ‘spenta’ la burocrazia per almeno qualche anno: se lo faremo, saremo in grado di ripartire con tassi reali di crescita mai visti dagli anni 50.
Se non lo faremo, continueremo ad avere tassi di crescita sotto le nostre possibilità, illudendoci che lo Stato possa prendersi cura di tutto e che i burocrati facciano un lavoro produttivo. Ci risveglieremmo in un incubo.
Un’altra implicazione che già vediamo riguarda l’accelerazione di tendenze già in corso, come la digitalizzazione e la regionalizzazione delle catene di fornitura. L’ultimo punto è un rischio enorme per la Cina e una grande opportunità per Paesi a forte vocazione manifatturiera come l’Italia. Per approfittare di questo passaggio avremo bisogno di agire come sopra: investimenti massicci, prestiti facili e poca burocrazia. Teniamo pure in conto che qualche delinquente potrà arricchirsi in una situazione del genere. Verrà arrestato dopo se ci saranno prove: nel frattempo i criminali comunque guadagnano, ma agli onesti non possono per questo essere negate le opportunità.
Conclusioni: serve un’analisi flessibile dei settori dei Paesi che si riprenderanno per primi, o addirittura che stanno già beneficiando dalla crisi. La flessibilità è d’obbligo, in quanto nuove informazioni potranno cambiare le carte in tavola anche molto rapidamente.