Ad oggi c’è una sfida importantissima a cui l’umanità tutta deve far fronte, una serie di problemi enormi che affliggono prepotentemente il nostro secolo: sto parlando dell’inquinamento, della razionalizzazione delle risorse, del riscaldamento globale e, più generalmente, del cambiamento climatico.
Ma se pensiamo che la questione ambientale sia una novità del nostro secolo, siamo infatti in errore. Già durante la seconda metà del ’900, il filosofo tedesco Hans Jonas ha introdotto il problema con la sua opera fondamentale Il principio responsabilità, in cui si affronta la questione da un punto di vista prettamente etico. Le ricerche di Jonas vanno di pari passo con le prime pubblicazioni scientifiche sul tema che davano accesso ai numeri riguardo l’inquinamento, il riscaldamento globale, l’impatto ambientale delle industrie e dell’energia nei confronti del nostro pianeta. Ma il problema che si pone Jonas è il seguente: può l’etica tradizionale affrontare la sfida ambientale? Per il filosofo tedesco la risposta è un secco no, poiché l’etica tradizionale tiene conto soltanto del finito e dell’immediatezza.
Allo stesso tempo, l’etica tradizionale su cui si fonda il moderno Stato di diritto, per quanto fondamentale, sarebbe priva di un elemento ancor più importante: la garanzia verso le nuove generazioni di accedere alle medesime condizioni di partenza. Il problema ambientale diventa allora strettamente connesso a quello dell’equità generazionale. Infatti, in uno Stato di diritto, il non-nato non può rivendicare alcun diritto poiché semplicemente non esiste. La tutela dell’ambiente e l’equità generazionale presuppongono allora la costruzione di una nuova etica che, per la prima volta nella storia, tenga conto del futuro e non soltanto del presente. Ma questo “futuro” non è da intendersi come un periodo di medio-lungo termine (di stampo weberiano) in cui il politico governa per il bene comune. Quest’ultimo sarebbe un periodo troppo breve rispetto alla vita – che ci appare quasi infinita – del genere umano e del pianeta. Allo stesso tempo, non è da intendersi nemmeno come un futuro ipotetico ultraterreno (di stampo religioso), in cui gli individui si comportano bene nel presente per ottenere un vantaggio nell’aldilà. L’etica di Jonas tiene estremo conto della natura, tanto da concederle statuto ontologico. La natura andrebbe rispettata, non solo per ottenere un tornaconto personale in termini di qualità della vita, ma soprattutto perché è essenza.
La visione di Jonas, condivisibile o meno, ha il merito di aver sensibilizzato l’opinione pubblica tedesca del suo tempo, tanto da essere diventata il punto di riferimento dei Verdi tedeschi. Il movimento dei Verdi ha poi preso piede in tutta Europa ma, in Italia, essi si sono guadagnati l’appellativo di “cocomero”: verdi fuori ma rossi dentro. Nel bel paese, la sinistra si è infatti fatta portavoce di un ambientalismo anticapitalista sfruttando l’onda verde di fine anni ’90, così come la più recente ondata capitanata da Greta Thunberg. Il tema dell’equità generazionale che, come abbiamo visto, è legato alla nascita dell’ambientalismo, è stato dalla sinistra rimpiazzato con l’ennesimo rimpasto sulla lotta di classe e sulla decrescita (in)felice. L’ambientalismo di Jonas non voleva essere ideologico, anzi, aveva la pretesa di offrire una visione etica nuova e discontinua tenendo conto della ricerca scientifica sul tema. L’ambientalismo verde è invece diventato il nascondiglio perfetto per l’ideologia filomarxista che, come ci insegna la storia, non si è mai curata del progresso tecno-scientifico. Se invece tenessimo conto della ricerca scientifica e della “nuova” proposta etica, allora non ci sarebbe il bisogno di deindustrializzare il pianeta, creando di fatto povertà, con il nobile pretesto di volerlo salvare. L’ambientalismo oggi deve essere pragmatico e, in quanto tale, deve tener conto dell’equità generazionale e delle condizioni favorevoli ottenute grazie ad un’economia di libero scambio.
Se però commettessimo l’errore di spogliare del lato etico la lotta al cambiamento climatico, allora serviremmo all’ideologia tutta la possibilità di appropriarsi di questa battaglia, senza tener conto del futuro, ma soltanto di un presente prossimo. E questa risulterebbe essere la peggior strumentalizzazione politica che l’umanità abbia mai visto.
1 comment
Lunga lista di luoghi comuni, l’autore mi fa pensare di conoscere i movimenti ambientalisti solo per sentito dire. I Verdi in italia (non solo in quanto partito, ma anche come movimento d’opinione) non sono mai stati marxisti, se non in qualche frangia minoritaria. Se si può imputare loro un errore (grave) è di essersi spesso accasati da subalterni in “case comuni” di sinistra, il che ha favorito sicuramente l’equivoco del cocomero. Il paragrafo sull’equità generazionale poi, steso con notevole prosopopea, è patrimonio acquisito del pensiero ambientalista da almeno 30 anni, anche qui niente di nuovo. L’anticapitalismo in chiave classista è una stupidaggine, mentre è vero che gli ambientalisti contestano l’attuale modello di sviluppo, che al capitalismo è legato strettamente, ritenendolo (non per ideologia, ma osservando i dati di fatto) incapace di fare propria la spinta etica dell’equità intergenerazionale e di correggere le proprie storture. Last but not least, la sciocchezza sulla presunta spinta alla “deindustrializzazione”: ciò che si chiede a gran voce è proprio il contrario, cioè una riconversione del sistema economico e industriale che, riportandolo dentro i limiti della biosfera, lo salvi dal collasso. I peggiori nemici dell’economia mondiale sono proprio questi criptonegazionismi che, con la mistificazione dell”ambientalismo pragmatico”, tendono a mantenere il sistema sui binari del BAU, che lo porteranno dritto alla catastrofe.