Il graduale ma costante deterioramento delle variabili macroeconomiche cinesi ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione della Banca Popolare Cinese.
Come tutti voi avranno letto (forse in maniera anche più esaustiva del sottoscritto), settimana scorsa, tra l’11 ed il 13 agosto, la Banca Popolare Cinese (PBoC) è intervenuta – tre volte, nell’arco di tre giorni consecutivi – per indebolire la propria valuta, il Renminbi.
Come poi, di conseguenza, avrete – ulteriormente – avuto modo di leggere, questa mossa della PBoC ha causato la reazione a catena di economisti, commentatori, giornalisti, operatori finanziari, governi e banche centrali di tutto il mondo. In moltissimi, “addetti ai lavori e non” sono subito intervenuti nel dibattito che si è venuto a creare gridando immediatamente alla “guerra valutaria” ed alla più grande “svalutazione cinese” degli ultimi vent’anni.
Insomma, talmente tanto rumore e confusione che per la la nostra amata “casalinga di Voghera” (probabilmente sotto l’ombrellone nel corso di questi caldi e torridi giorni di metà agosto) immagino non sia stato difficile perdersi in un bicchiere d’acqua e non capirci veramente nulla.
In questo articolo non utilizzerò mai il termine “svalutazione del Renminbi”. Alcuni di voi si potranno chiedere il perché ma la risposta è presto data. Visto l’attuale regime di cambio semi-fisso con il dollaro, la Banca Popolare Cinese, pur rimanendo ancorata al biglietto verde di Washington, può decidere di intervenire giornalmente sul valore della valuta nazionale, lasciando fluttuare del 2% (sia al ribasso che al rialzo) il Renminbi nei confronti del dollaro, basandosi sul valore di fissaggio del giorno precedente.
Questo è semplicemente quello che è realmente accaduto. L’11 agosto la PBoC è intervenuta indebolendo il Renminbi dell’1,9% rispetto al giorno precedente; il 12 agosto tale “fixing” giornaliero è stato portato ad un livello inferiore del 1,6% rispetto al valore dell’11 agosto; il 13 agosto – infine – il “fixing” giornaliero del Renminbi è stato nuovamente “fissato” ad un livello inferiore dell’1,1% rispetto al “fixing” del 12 Agosto.
Risultato (tenendo in considerazione il lieve rialzo della valuta Cinese dettato dal mercato nell’arco delle tre giornate): il Renminbi si è indebolito nei confronti del dollaro del 4,4%.
Partendo da queste considerazione, non è quindi corretto parlare di “svalutazione del Renminbi” ma si sa: se nel dibattito economico nostrano non si riesce nemmeno a comprendere il semplice schema “per avere una tassazione strutturale minore serve tagliare la spesa pubblica” (una semplicissima questione di contabilità), figuriamoci se si riesce a comprendere fino in fondo l’importante mossa della Banca Popolare Cinese ed in cosa consistano le svalutazioni nelle economie emergenti.
Come è stato riportato in modo molto chiaro dal Financial Times l’11 agosto chiamare l’indebolimento del Renminbi, avvenuto settimana scorsa, “svalutazione” fa un pochino ridere visto quanto accaduto nel corso degli ultimi decenni in molti paesi in via di sviluppo. Per chi, infatti, volesse capire in cosa consistano delle vere svalutazioni, gli esempi da riportare sarebbero moltissimi, ed oltre all’articolo del Financial Times (purtroppo non accessibile a tutti) qui potete trovare un bel grafico, preso dal libro di testo “International Economics” di Feenstra e Taylor (2011) in cui si mettono in evidenza alcune delle svalutazioni più importanti e, sotto alcuni punti di vista, “catastrofiche”, avvenute tra il 1994 ed il 2003 (mi scuso per la qualità dell’immagine).
Definire quindi il “fissaggio giornaliero” del Renminbi una svalutazione, significa semplicemente non sapere di cosa si stia parlando e non aver capito cosa stia accadendo in Cina.
Come spiega bene Patrick McGee, reporter del Financial Times ed ex Wall Street Journal, in un suo recente articolo dell’11 agosto pubblicato sul blog del World Economic Forum e come già scrisse il 6 marzo anche Gavyn Davies, commentatore del Financial Times, la decisione da parte della PBoC di indebolire il Renminbi era nell’aria da diversi mesi e gli ormai costanti (da quasi due anni) dati macroeconomici “negativi” provenienti da Pechino lasciavano prevedere un intervento imminente delle autorità monetarie cinesi.
Osservando infatti i dati provenienti da Pechino, la decisione della Banca Popolare Cinese di indebolire il Renminbi nei confronti del dollaro appare sicuramente più prevedibile.
Nel corso di questi ultimi anni (come era lecito aspettarsi, visto il normale ciclo economico che da sempre contraddistingue lo sviluppo dei paesi emergenti) le stime di crescita dell’economia cinese sono state costantemente riviste al ribasso. Secondo molti analisti, la crescita del PIL prevista per quest’anno risulterà sicuramente inferiore al 7% (usando i dati annuali del database della Banca Mondiale, se la crescita prevista per quest’anno rimarrà tra il 6 ed il 7% – oppure del 5% o 4%, come viene riportato da alcuni analisti ed investitori come l’Italiano Alberto Forchielli oppure l’australiano Michael Hintze – tale dato sarà il più basso dal 1991 a questa parte).
Oltre alla crescita del PIL, al di sotto del 10% da quattro anni ed in costante calo, è però importante leggere anche qualche altro dato per comprendere meglio l’affaticamento dell’economia cinese dopo oltre due decenni di forte crescita (crescita economica dovuta principalmente ad un’apertura economica e finanziaria sempre maggiore verso il così detto libero mercato).
Secondo quanto evidenziato nel mese scorso (Luglio 2015), la fiducia dei consumatori cinesi è scesa per il diciannovesimo mese consecutivo e si è attestata a meno 2,5% rispetto a giugno 2015; i dati sull’indice dei prezzi alla produzione sono calati del 5,4% su base annua; l’export è crollato dell’8,3% e l’inflazione si è attestata all’1,6%, ben lontana dall’obiettivo dichiarato dalle autorità monetarie cinesi del 3%.
I dati macroeconomici sempre più negativi hanno spinto, mercoledì 18 agosto, il governo cinese ad iniettare oltre 90 miliardi di dollari in due grandi banche pubbliche (45 miliardi di dollari alla Export-Import Bank of China e 48 miliardi alla China Development Bank) per rafforzare il capitale ed aiutare l’economia cinese, in particolare i settori riguardanti l’export e l’edilizia.
Riguardo l’andamento dell’economia cinese e l’indebolimento controllato del Renminbi, ci sarebbe da parlare anche del pesante crollo del mercato azionario cinese che nel corso di questi ultimi mesi ha subito perdite immense e sta generando una sempre maggiore insicurezza sui listini e di tutto il mondo e nell’intero mercato finanziario globale.
Dovendo (per necessità e correttezza verso voi lettori) congelare questo interessantissimo discorso (che per chi viene influenzato positivamente dal pensiero economico Austriaco come il sottoscritto, mette in evidenza due principi chiave di tale scuola: l’instabilità dei mercati finanziari e la possibilità per le aziende di commettere grossi e sistematici errori), voglio comunque riportarvi alcuni dati riguardanti la drammatica crisi azionaria cinese: lo Shanghai Composite Index è calato da 5166,350 punti a 3794,109; lo Shenzhen Index è calato da 3140,663 a 2222,050 (una perdita corrispettiva pari a circa il 27% ed il 30% dal valore massimo raggiunto dall’indice il 12 giugno 2015); l’Hang Seng Index di Hong Kong è calato in poco meno di quattro mesi del 20% (passando da 28433,59 punti a 23167,85 punti base). [I dati sono aggiornati a mercoledì 19 agosto].
A questo punto, possiamo però tirare una prima riga rossa sul perché la Banca Popolare Cinese sia intervenuta per indebolire il Renminbi: la prima causa dell’indebolimento “controllato” del Renminbi (ben diverso da una vera e propria svalutazione) è da ricercarsi nel deterioramento, seppur graduale ma costante, di tutte le principali variabili macroeconomiche e nello “spettacolare” crollo di tutti i principali listini azionari cinesi.
P.s.: Piccola digressione finale per chi volesse un’informazione di carattere generale: cercate di usare la parola Renminbi quando dovete o volete parlare della valuta nazionale cinese. Parlare di Yuan non è sbagliato ma è comunque incorretto in quanto lo Yuan è semplicemente un’unità del Renminbi. 10 Jiao formano uno Yuan, mentre 10 Fen formano uno Jiao.