L’Iran, Stato che nasce dall’antica Persia, non è sempre stato dominato da un regime che si rifà alle leggi e le pratiche del Qu’ran, il libro sacro di tutti i musulmani. Si tratta di un paese che fino agli anni ’70 ha cercato di tener lontana la casta religiosa dal governo diretto della nazione. Questa situazione però è terminata con la rivoluzione del ’79, culminata con la stesura e promozione di leggi riconducibili a una interpretazione estremista del messaggio coranico.
In questo articolo ripercorro la storia del Paese, dall’era monarchica dei Pahlavi fino alla presa di potere degli Ayatollah. In questo modo si può vedere come le proteste di questi giorni abbiano radici profonde.
Prima della rivoluzione: l’età degli Shah
Il periodo monarchico-imperiale, (il periodo dei “Re dei Re”) che precede l’arrivo della repubblica islamica dell’Iran, durò circa 74 anni. Fu un periodo di profondo rinnovamento, culturale, spirituale sociale ed economico. Reza Shah, il primo monarca della dinastia, si ispirò a quell’idea di repubblica laica che era divampata in Anatolia con Mustafa Kemal Ataturk, che cercava la realizzazione di uno stato moderno turco dopo la dissoluzione dell’impero ottomano.
L’opera riformatrice del primo Shah di Persia è notevole: venne innanzitutto potenziata l’industria pesante, migliorato l’apparato burocratico statale e i servizi (sistema giudiziario e sanitario). Venne meno l’esclusività dell’istruzione da parte del ceto clericale, attraverso la pianificazione e creazione di una scuola pubblica statale. In quel momento in Iran si formarono professionisti specializzati e nacque un proletariato industriale. Ma specialmente si iniziarono ad adottare costumi occidentali, si scoprì la parità di genere, e alla donna venne data grandissima autonomia.
L’Iran (Paese degli ariani), chiamato così dal 1935, fu uno stato moderno sotto gli Shah. In esso convergevano maestranze professionali francesi, italiane e britanniche, in grado di proiettare il regno verso una dimesnione quasi totalmente occidentale, mentre la Germania era il maggior partner commerciale. L’opposizione interna però veniva sedata con troppa durezza, cosa che a un certo punto cominciò a causare problemi alla casata reale.
Dopo il periodo di occupazione anglo-sovietica salì al trono l’ultimo monarca iraniano, Mohammad Reza Pahlavi. Era il 1941. Otto anni più tardi venne bandito il partito comunista (Tudeh) a causa di un fallito attentato ai danni dello Shah. Il fondamento del potere del nuovo sovrano era l’esercito. Inoltre, vennero pagati a caro prezzo gli errori del primo ministro Modasseq, che nazionalizzò l’industria petrolifera, causando l’embargo occidentale (temuto dallo stesso reggente). Su intervento USA, dopo la cessazione dei rapporti diplomatici tra UK e Iran, lo Shah nominò un nuovo primo ministro nel 1953. Fu un fatto eclatante che causò una ribellione che lo costrinse a fuggire a Roma. Al suo ritorno, lo Shah esiliò Modasseq, oltre a ordinare l’arresto e uccisione dei ribelli comunisti della bandita Tudeh, che avevano collaborato con l’ex premier all’allontanamento dello Shah.
Il pensiero islamico a cavallo tra il regno e la repubblica
L’orientamento culturale della nazione iraniana riflette questo periodo di scissione formale tra religione, l’Islam sciita, e democrazia.
In questo periodo di profondo rinnovamento culturale, uno dei massimi pensatori del riformismo islamico è senz’altro Abdolkarim Soroush, il “Lutero” dell’Islam. Costui, evidenziando alcuni problemi dell’Islam iraniano, prestò grande attenzione all’armonizzazione tra religione e democrazia.
Necessarie per il pensatore sono giustizia sociale e libertà; proprio per questo si discostò dal governo frutto della rivoluzione degli Ayatollah (dove all’inizio ebbe un ruolo nel ministero alla cultura). Il primo dei diritti che una società sviluppata deve garantire è per lui la democrazia. Nella sua grande opera “Reason, Freedom and Democracy in Islam”, di inizio 2000, propone una visione laica dell’idea di democrazia: una democrazia non può esistere in uno stato teocratico. Soroush crede ferventemente nella libertà di culto, nella necessità di poter praticare la religione, qualsiasi essa sia.
Un estratto dalla sua opera riassume questa visione: “…è la comprensione religiosa che dovrà adattarsi alla democrazia e non viceversa.”
La rivoluzione e l’avvento della “Repubblica islamica”
Sono diversi le ragioni che portano all’avvicendamento delle istituzioni iraniane nel 1979. Tra queste si riconoscono senz’altro le grave crisi economica e l’autoritarismo dell’ultimo monarca. Ad aizzare gli animi in prima fila c’è il grande escluso dalla vita politica: il clero sciita degli Ayatollah, che continua ad avere una grande influenza sul popolo, a grandissima maggioranza sciita.
La “rivoluzione bianca” voluta dallo Shah, ovvero un passaggio a un sistema economico ispirato al capitalismo europeo, stenta a decollare, favorendo solo i ceti benestanti della nazione. Dunque, la grande opposizione contro lo status quo non include solo il clero, ma anche comunisti e nazionalisti. I primi a scendere in piazza sono “i volontari del popolo” (Fedayyin-e-khalq), formazioni appunto di derivazione marxista.
Il governo centrale teme questa protesta che mira ad instaurare una teocrazia basata sulla legge islamica, la Sharia. La figura principale è il capo religioso, l’Ayatollah Khomeini, il quale, con una incredibile forza mediatica, riesce ad attirare migliaia di sostenitori, pur essendo in esilio a Parigi. Lo Shah, invece, non ha la stessa forza. Con il deteriorare della sua popolarità, nel 1979 il presidente USA Carter lo invita ad abbandonare il suo paese per approdare in Marocco, in esilio. Il sovrano non metterà più piede in patria.
Due settimane dopo l’esilio dello Shah, l’Ayatollah Khomeini ritorna in patria, proponendosi come leader della rivoluzione contro il governo presieduto dalla figura internazionale di Bakhtiar. I militari non intervengono e il primo ministro si dimette. Il nuovo governo viene così formato dalle forze rivoluzionarie, con a capo dello stato l’Ayatollah Sadegh Khalkhali, anche se la vera guida politica e spirituale è Khomeini.
Si indice un referendum popolare il 30 Marzo 1980: con il 98% dei consensi sceglie il passaggio alla Repubblica islamica. L’Iran non tornerà più indietro.
L’Iran degli Ayatollah
Dopo il referendum viene imposto alle donne l’obbligo di indossare l’Hijab (il velo). A loro, vengono inoltre vietati gioco d’azzardo e alcolici. Infine, viene anche introdotta la pena di morte per reati morali (adulterio). Si scrive una nuova Costituzione basata sulla tutela del giurisperito “Velayat-efaqiq”, dove a capo dei due filoni istituzionali vi è la Guida Suprema, individuata nell’Ayatollah Khomeini. Nell’attesa del Madhi (il dodicesimo imam) l’Ayatollah crede che a reggere il governo debbano essere i dotti, i sapienti, che non altro sono coloro che conoscono il Qu’ran e le altre sacre scritture.
La figura del presidente della Repubblica è eletta ogni 4 anni a suffragio universale, ma le proposte vengono scelte dai guardiani della Rivoluzione. Dal 1989, dopo la morte di Khomeini, il potere di guida suprema passa a Ali Khamenei, dopo la destituzione di Ali Montazeri, che non condivideva perfettamente tutte le idee del predecessore. Il presidente della Repubblica è Raisi, che recentemente si è espresso sulle proteste dei cittadini iraniani, definendole “inaccetabili”.
L’Iran oggi
Oggi, l’Iran è un paese dove le nuove generazioni sono in numero maggiore rispetto alla vecchia guardia, i rivoluzionari.
Secondo diverse agenzie internazionali il governo non gode più di supporto nelle grandi città (Teheran, la capitale, Shiraz, Persepolis e Isfahan) e lo sta perdendo nella provincia, vero cuore pulsante della rivoluzione khomeinista. La situazione di tensione è la stessa di 43 anni fa, un profondo scontento derivato dalla crisi economica che imperversa nel Paese, a cui vanno aggiunte diverse limitazioni delle libertà personali, specialmente per donne e omosessuali.
La crisi è forse più incredibile rispetto alla precedente, perché ora i giovani iraniani credono in un Iran migliore e democratico, che si rifà al pensiero del professor Soroush rispetto alla tradizione duodecimana portata avanti dagli Ayatollah, la più sanguinosa del mondo.
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