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Speaker's Corner

Immigrazione e razzismo: la colpa è nostra.

Visto che sono coetaneo, concittadino e conoscente di Francesca, la ragazza che ha fatto il giro del web con il suo post sull’immigrazione, la povertà ed il razzismo, sento di avere il dovere di scrivere due righe.

Loro, gli immigrati, scappano da posti in guerra, da paesi che non assicurano diritti civili e politici, paesi spesso guidati da governi corrotti e pericolosi o semplicemente poveri. Paesi in cui non vogliono restare, paesi da cui fuggono alla ricerca di felicità.

Proprio come spesso fanno molti di noi quando si accorgono che l’Italia è ormai un posto per stronzi e allora forse è meglio andare a fare i camerieri a Londra.

Loro non sono colpevoli, i colpevoli siamo noi che attorno al loro arrivo abbiamo creato un sistema di “accoglienza” e di “solidarietà” talmente costoso e inefficiente che l’unica cosa che è in grado di produrre non è aiuto ma razzismo.

La storia dell’uomo è fatta, tra le tante cose, anche di spostamenti di massa, di esodi e di migrazioni imponenti. Le persone vanno là dove credono di poter vivere una vita migliore, dove pensano di poter trovare una vita serena e felice. Insomma, questa roba c’è sempre stata e non saranno certamente né Renzi né Salvini a cancellarla.

L’America, la terra delle opportunità, ad esempio è stata per tantissimi europei proprio questo: un posto in cui cercare una vita nuova, una vita migliore.

L’America però è un posto di gente sveglia. Chi partiva verso il nuovo continente non si aspettava di esser accolto in strutture statali o para-statali, di trovarsi un piccolo contributo giornaliero per piccole spese in tasca, di poter ottenere una casa gratis. No, chi partiva verso gli USA sapeva che, una volta sbarcato, si sarebbe dovuto dar da fare – ma per davvero – se voleva un’esistenza migliore rispetto a quella da cui fuggiva. E allora che faceva? Si integrava, imparava la lingua, le regole e le tradizioni, cercava un lavoro, risparmiava denaro, acquistava una casa o ne prendeva una in affitto, rigava dritto e così via, perché queste erano le regole del gioco.

La solidarietà, quella obbligatoria e coatta a cui ci hanno abituato, ovviamente non esisteva. Nessuno doveva nulla a nessuno, perciò ogni aiuto che si riceveva andava guadagnato o andava al più considerato come “grasso che cola”.

Oggi, in Italia, che succede invece?

Grossomodo promettiamo a chiunque arrivi una solidarietà sconfinata e incondizionata, un contributo di circa 35 euro per persona, 2,5 euro a testa di pocket money, vitto assicurato per l’intero periodo di verifica della richiesta di asilo – periodo che dura mediamente un anno e mezzo e durante il quale l’immigrato non può ovviamente lavorare – e ancora tanti altri ricchi premi e cotillons.

Non serve essere un Nobel dell’economia per intuire che tutta questa bella roba ha un costo. E chi lo paga il conto? Lo stato. E chi dà i soldi allo stato? I contribuenti attraverso le tasse. E quindi se aumentano gli immigrati e lo stato deve spendere di più che succede? Che lo stato chiede più soldi ai contribuenti attraverso nuove o maggiori tasse. E cosa succede se aumenti le tasse?…

Quindi insomma, chi vive qui e, per dire, non è ancora partito per andare a fare il cameriere a Londra, deve pagare per i nuovi arrivati che nel frattempo non lavorano e magari stanno dentro ad un residence.

L’effetto più scontato che ci si può aspettare da un meccanismo simile è, come minimo, Salvini. Perciò è vero che se esistono i poveri è colpa dei mille modi in cui l’Italia ha deciso di farsi del male da sola, ma è vero anche che tra questi modi c’è pure un sistema d’immigrazione completamente sballato e inefficiente che i buonisti hanno costruito per lavarsi la coscienza da qualche peccato.

Se fossimo nel 1800 direi di essere il secondogenito di una famiglia della piccola borghesia. Figlio di un artigiano e di una casalinga. La mia famiglia affronta le cose come fanno i piccolo-borghesi: denti stretti, duro lavoro, qualche sacrificio e tirare dritto. Niente di proibitivo, niente a che vedere con le difficoltà di altri, tipo di chi vive in Siria o in Eritrea o di chi vive qui in Italia e sta letteralmente alla fame.

Nella mia famiglia non c’è traccia di razzismo né di Salvini, tuttavia come pensate li faccia sentire sapere di star lavorando duro anche per altri? Altri che non conoscono e di cui, comprensibilmente, gli importa meno che dei propri figli?

Stronzi, ecco come.

Se il problema è il razzismo allora non sarebbe una grande idea smantellare, ripensare e ricostruire un sistema che non trasformi i nuovi arrivati in un peso bensì in una risorsa? Che non abbruttisca chi c’è già? Che solidarietà è altrimenti una solidarietà costruita per generare odio?

Quando si parla di immigrazione ci si divide in bande: quelli che dicono di affondare i barconi coi migranti ancora sopra e quelli che dicono di prendere le navi e andare a prenderli a casa loro per portarli in salvo.

Tutti una manica di stronzi.

Eppure basterebbe un po’ più di buon senso.

1 comment

Alessandro 30/07/2015 at 02:57

Concordo. Mi sento di aggiungere che non esiste solo l’opportunità di fare i camerieri a Londra…..;-)
Tenuto conto che cialtronia è, e rimane, irriformabile, esorto tutti quelli che non si sentono “stronzi” a lasciare senza rimpianti quella landa desolata povera di neuroni e ricca d’imbecilli. Il mondo è grande e ci sono tanti altri “stronzi” molto più interessanti da incontrare!

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