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Politica interna

Il governo dei trasformisti

E così è nato il governo giallorosso guidato da Conte. Zingaretti, dimostrando un’arrendevolezza inopinata, si è alfine acconciato cedendo dapprima ai diktat di Renzi, poi alle pressioni del suo partito e infine alle impuntature di Maio, in barba alla tanto invocata discontinuità. Alla prima prova della sua stagione da segretario, si è rivelato un politico mediocre, scialbo, inconsistente.

Perché il mandato di Conte non doveva essere rinnovato una seconda volta lo ha spiegato efficacemente Carlo Verdelli su Repubblica. “Ha guidato un esecutivo incompatibile con l’idea di Paese che, si presume, abbiano o debbano avere i volonterosi esponenti del partito di Zingaretti; non c’ è stata da parte sua ombra di autocritica, circa il molto discutibile operato della falange gialloverde, salvo assestare qualche reprimenda tardiva al partner che l’ha incomprensibilmente tradita, ovvero il bulimico Matteo Salvini; l’avvocato Conte non è un marziano sbucato dalla galassia per rappresentare le Istituzioni ma l’alfiere scelto dai grillini per rendersi credibili alla loro prima esperienza di comando e, adesso, per continuare a rimanerci. A questo proposito, che Conte rivendichi di essere un premier super partes (manco fosse il nuovo presidente della Repubblica), e consideri improprio lo si definisca un esponente vicino ai cinque stelle fa sorridere. Come ha ricordato il giornalista de l’Espresso Emiliano Fittipaldi, Conte fu cooptato dal movimento 5 stelle al consiglio di stato, indicato da di Maio come ministro della P. A, è divenuto premier grazie al movimento 5 stelle ed è stato imposto sempre da di Maio per il bis.

Il governo giallorosso, benché sia pienamente legittimo dal punto di vista costituzionale, è invece un pastrocchio, un accrocchio scombiccherato sotto il profilo politico.

Cosa hanno in comune, infatti, due partiti acerrimi nemici fino all’altro ieri, che da lustri si disprezzano e contrappongono in maniera a dir poco feroce?

Cosa dovremmo pensare di Matteo Renzi, che fino a due settimane fa si impancava a strenuo oppositore dei grillini “cialtroni” e oggi lancia strali bollando come fellone chiunque si periti a criticare l’alleanza giallorossa, di cui lui per primo aveva impedito la nascita a inizio legislatura? Il discorso vale allo stesso modo per i suoi sodali (Marattin, Boschi, Ascani, con la lodevole eccezione di Richetti).

E che dire dei grillini, passati con noncuranza e nessuna parvenza di resipiscenza, dall’alleanza sfascista con Salvini, di cui erano gregari supini, a quella col vituperato PD, il partito di Bibbiano, sentina di ogni nequizia?

La coerenza, per quanto ormai negletta, non è un’ubbia tipica delle anime belle ma l’aderenza irrinunciabile e indefessa ai propri principi e valori morali. È lecito cambiare idea, purché si spieghi il motivo. I due partiti oggi alleati, Pd e cinque stelle, si sono dimostrati l’esempio massimo di disonestà intellettuale e spregiudicato opportunismo.

L’unico collante di questa inedita alleanza politica, il trasformismo più bieco elevato a sistema, è fondato principalmente sulla smania di potere dei contraenti. Detto in modo prosaico, financo volgare: questo governo nasce affinché circa 500 deputati non debbano rinunciare a uno stipendio di 12.000/15.000 euro al mese, con annessi relative prebende e status sociale. Passare, come tanti grillini, da dichiarazioni dei redditi da incapienti o addirittura a somma zero a uno stile di vita locupletico è una tentazione irresistibile. In questo caso restare abbarbicati al potere diventa quindi un imperativo categorico.

Poi ci sono almeno altre due ragioni, prettamente politiche, alla base dell’accordo. Poter eleggere il presidente della Repubblica nella prima parte del 2022; e scongiurare la vittoria, probabile ma non certa, della destra estrema impersonata da Salvini e Meloni, mediante una nuova legge elettorale, un proporzionale puro, che ne tarperebbe le ali.

Salvini è un leader autoritario, pernicioso e, come abbiamo appurato nei 14 mesi del governo gialloverde, rappresenta indubbiamente una minaccia per la democrazia. Su questo chiunque abbia a cuore le sorti della democrazia liberale e dei suoi principi fondanti non può che concordare.

Tuttavia, è la premessa del ragionamento ad essere sbagliata in nuce. Si dà per scontata che la vittoria alle urne della destra sia ineluttabile. Così non è. E se il PD ritiene di non poter concorrere alle elezioni per vincerle allora tanto vale rinunci a competere, come ripete Calenda, il più lucido e coerente in questa fase.

A costo di risultare banali, Salvini si sconfigge elaborando un’alternativa politica convincente agli occhi degli elettori, se necessario anche andando contro il senso comune. Salvini sembra arrembante – forse ora un po’ meno – perché i suoi oppositori sono tremebondi, avulsi dalla realtà politico-sociale, irrisoluti nella loro identità ideologica. Pensare di arginarlo attraverso una manovra parlamentare è una mera illusione, anche perché un governo così connotato a sinistra – in un paese prevalentemente di destra – rischia, involontariamente, di rivitalizzarlo e giovargli; così come è contraddittorio ritenere di poter debellare il becero populismo di Salvini alleandosi con un partito altrettanto demagogico e massimalista. Per il Pd significa abdicare a qualsiasi velleità riformista.

Lo spettacolo miserevole e turpe a cui abbiamo assistito in queste settimane si riverbererà negativamente producendo ulteriore disaffezione nei confronti del sistema partitico e accrescendo il sentimento di discredito che la politica tout court suscita nell’Italiano medio. In pochi sembrano averlo capito.

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2 comments

Luca Celati 07/09/2019 at 22:01

Il ragionamento non fa una piega. Unico punti da aggiungere: qui si sta creando un “fascibuonismo”, un nuovo fascismo sotto il manto della solidarietà, del politicamente corretto e, ingrediente buono per tutte le stagioni, l’antifascismo. Il segno forse potrà apparire diverso rispetto al Ventennio ma non è meno pericoloso del suo predecessore.

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Antonio Conficconi 09/09/2019 at 11:57

Premetto concordando con chi scrive che Carlo Calenda rappresenti il miglior politico Italiano in termini di coerenza e lungimiranza sulle scelte politiche da fare per questo paese e in quest’ottica pur chiamandosi fuori dal governo “giallo verde” ha dichiarato responsabilmente che se verranno presi provvedimenti corretti per il bene di questo paese è disposto ad appoggiarli.
La politica è sempre mediazione e compromesso e la domanda che mi faccio e faccio a tutti è questa: per il bene dell’Italia e dei suoi cittadini cosa dovevano fare coloro che sono stati eletti come nostri rappresentanti poco più di un anno fa? E’ bene cambiare opinione o continuare per coerenza a dire quello come ad esempio fa Giorgia Meloni?
C’è una finanziaria da approvare in una situazione economica difficile con degli irresponsabili che in un anno di governo hanno caricato il popolo Italiano di 20 Miliardi di euro di interessi in più sul debito pubblico che tutti noi dovremmo pagare nei prossimi 10 anni. Tutto questo senza alcun reale beneficio economico per questo paese. In un contesto aziendale e di responsabilità diretta il dirigente o i dirigenti molto probabilmente ne avrebbero pagato tutte le conseguenze.
C’è come ha giustamente annunciato il presidente della Repubblica a Cernobbio da cercare di modificare la politica europea tenendo conto delle esigenze di tutti i cittadini che di questa Europa ne fanno parte (compresi i meno fortunati e gli italiani).
Il Governo nasce su basi fragili (parlo della competenza di molti dei ministri di Maio in primis) ma spinto dalla necessità di non farci naufragare potrebbe fare qualcosa di positivo perché non sempre “i migliori cavalli fanno i migliori percorsi” e poi il nostro “Stellone” spesso ci ha aiutato! Sperando che qualcuno ci liberi da Salvini ma anche dal suo compagno di merende Borghi!!!!

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