Il 25 aprile, in cui si celebra la sconfitta di una dittatura ventennale che ci ha reso ridicoli nel mondol non e’ una festa della sinistra. Nell’immaginario collettivo, invece grazie ad una retorica di parte ossessiva lo e’ diventata. Quindi va posta fine a questa appropriazione ignobile che mistifica la storia e il significato della Resisitenza.
In Germania nemmeno l’ala più conservatrice della CDU si sognerebbe di giustificare Hitler. Perché loro (almeno, nella Germania Ovest) hanno davvero fatto i conti con il loro passato, per capire da dove originava il nazismo e impedire che tornasse.
In tedesco si dice Vergangenheitsbewältigung. In Italia, purtroppo, non abbiamo avuto il coraggio di fare lo stesso. Oggi l’antifascismo è rimasto una bandiera da sventolare il 25 aprile, il 27 gennaio o di fronte a Casapound. Un valore associato alla sinistra, che la destra non è mai riuscita a fare proprio. Anzi, spesso flirta con “le cose buone del fascismo”, cioè la fase pre-1938.
Il fascismo, però, non si caratterizza solo per le leggi razziali e l’alleanza con Hitler. Quella è solo la naturale conseguenza, l’unico finale possibile. Il regime mussoliniano è molto di più e di peggio. E innanzitutto negazione del valore dell’individuo, totalmente subordinato al “sistema”. È pessimismo verso l’umanità: l’uomo da solo non può fare nulla, ha bisogno di una guida, un Duce appunto, che gli indichi la strada in ogni bivio della vita. Che gli imponga cosa è giusto e cos’è sbagliato.
Mussolini, però, non ha inventato nulla. Il fascismo è figlio del nazionalismo, una delle ideologie più deleterie della storia. In Germania l’hanno capito, infatti, girando per le strade tedesche non vedrete bandiere in ogni dove e gente che canta l’inno dal balcone.
Il nazionalismo
Il veleno del nazionalismo ottocentesco ha creato un’identità artificiale da imporre agli individui, che poi Mussolini ha elaborato per ricamarci sopra una dittatura brutale. Ogni italiano, quindi, farebbe parte di un “popolo eletto”, con le menti più brillanti, i paesaggi più belli, il cibo più buono del mondo e così via, ma i “potenti” (che siano l’Austria-Ungheria, le “potenze demoplutocratiche” o “l’Europa dei burocrati” poco importa) lo schiacciano e gli impediscono di raggiungere le vette che gli appartengono per diritto divino. Pensate alla retorica che ci rifilano ogni giorno i nostri politici: è davvero cambiato qualcosa?
Soprattutto, il nazionalismo vuole cancellare le nostre specificità, per cui ognuno è diverso dagli altri. Pensateci bene: Mussolini spaccia l’Italietta per erede diretto dell’Impero romano. 1500 anni di storia cancellati.
Secoli durante i quali eravamo divisi, ma proprio dalla competizione fra diverse realtà nasceva la bellezza dell’Italia. Siena e Firenze, Milano e Roma, Modena e Bologna lottavano tra di loro per accaparrarsi le migliori menti dell’epoca. Questa è la grandezza del Rinascimento. Purtroppo, però, non siamo riusciti a diventare una Confederazione come la Svizzera, e così sono iniziate le dominazioni straniere.
Ma anche queste non sono state solo un male. Tra il 1535 e il 1859 l’Italia non muore, ma è aperta all’Europa: assorbe elementi della cultura spagnola, austriaca e francese e diffonde la propria (o meglio, le proprie) nel Vecchio Continente. Tutto questo per i nazionalisti non esiste. Anche in Grecia hanno fatto lo stesso: dopo l’indipendenza si sono dichiarati eredi di Pericle, non dell’Impero bizantino.
Dal 1861 in poi si cerca di trasformare l’Italia in quello che non è mai stata: uno Stato centralizzato. Mussolini porta questo all’estremo. Inizia la lotta alle identità locali: tutto il potere è accentrato a Roma e non è tollerata nessuna lingua diversa dall’italiano. Il regime combatte i dialetti e inizia l’italianizzazione forzata di Val d’Aosta e Sudtirolo.
Qui non solo si impedisce alla gente di parlare la propria lingua, ma vengono addirittura cambiati i nomi dei paesi, sostituiti da ridicoli toponimi Italian-sounding. In Sudtirolo nascono le Katakombenschulen, scuole clandestine per insegnare il tedesco. Ancora oggi a Bolzano c’è un arco di trionfo con scritto “Hic patriae fines siste signa hinc ceteros excoluimus lingua legibus artibus[1]”. Una vera vergogna.
A questo punto è ovvio che il fascismo non potesse tollerare il libero pensiero. Gli italiani devono essere fatti con lo stampino, tutti uguali e obbedienti al Duce. Chi la pensa diversamente deve essere messo a tacere. Ma anche la libertà d’impresa dev’essere limitata. Non azzerata, come nei regimi comunisti, ma comunque sottoposta al paternalismo dello Stato.
Non a caso, è qui che nasce l’IRI. L’intraprendenza non piace ai regimi, meglio un popolo di accattoni col cappello in mano. E un regime così non poteva certo allearsi con gli emblemi della libertà individuale, America e Regno Unito. Hitler era l’unico alleato possibile. Anche lui ha centralizzato un Paese per definizione policentrico. Anche lui ha soppresso il libero pensiero nella terra dei filosofi.
Per fortuna questi regimi sono stati sconfitti dalla storia. Oggi, se vogliamo davvero essere antifascisti, dobbiamo avere il coraggio di aver fiducia in noi stessi: non ci serve un Duce, ce la facciamo da soli. Siamo noi i padroni della nostra vita. Prima di essere di destra o di sinistra siamo noi stessi, diversi da tutti gli altri. Viva la libertà!
[1] Qui sono i confini della Patria. Poni le insegne! Da qui educhiamo gli altri alla lingua, al diritto, alle arti
3 comments
È un bel articolo anche se su alcune cose si potrebbe discutere e approfondire. Ma questa è una qualità: le argomentazioni troppo chiare e solide rischiano di essere assunte come verità assolute senza esserlo. Come ho scritto altrove, la Festa della Liberazione è stata una celebrazione nazionale – cioè di tutti o quasi gli italiani – fino a circa un quarto di secolo fa. Dopo di allora, ha cominciato a dividere e quindi è diventata la festa di una parte politica, lo si voglia o no. Io sarei per celebrare i valori della Liberazione e della Resistenza che comincia anche prima della guerra. Ma prendo atto che i tre quarti degli italiani sono o contrari oppure assolutamente disinteressati. Allora è chiaro che il 25 aprile non può essere più considerata una festa nazionale, ma la festa di una parte. Mi dispiace, ma cosa possiamo fare? Continuiamo a celebrare questa festa “contro” una parte politica e a ricordare alcuni dei valori fondanti del nostro modo di pensare; allo stesso tempo, inventiamo una nuova celebrazione per utilizzare una nuova retorica più aggiornata in cui riconoscerci. Se mai ci riusciremo, perché la vedo difficile. Per esempio, sostituiamo il 25 Aprile con una festa della Pace e dei popoli europei. Abolirei anche il 4 novembre e le parate militari alla festa della Repubblica e delle Forze Armate. Le guerre talora sono necessarie e le vittorie (compresa la Liberazione) meglio delle sconfitte, ma sono sempre un male. Celebrare le vittorie nelle guerre è come fare una festa nella ricorrenza dell’asportazione di un tumore o, peggio, della morte di un lontano parente che ci ha lasciato l’eredità. Si ricordano i momenti felici, non l’uscita da un incubo soprattutto se per uscirne si è dovuto uccidere nemici che ora non lo sono più.
È un bel articolo anche se su alcune cose si potrebbe discutere e approfondire. Ma questa è una qualità: le argomentazioni troppo chiare e solide rischiano di essere assunte come verità assolute senza esserlo. Come ho scritto altrove, la Festa della Liberazione era una celebrazione nazionale – cioè di tutti o quasi gli italiani – fino a circa un quarto di secolo fa. Dopo di allora, ha cominciato a dividere e quindi è diventata la festa di una parte politica, lo si voglia o no. Io sarei per celebrare i valori della Liberazione e della Resistenza che comincia anche prima della guerra. Ma prendo atto che i tre quarti degli italiani sono o contrari oppure assolutamente disinteressati. Allora è chiaro che il 25 aprile non può essere più considerata una festa nazionale, ma la festa di una parte. Mi dispiace, ma cosa possiamo fare? Continuiamo a celebrare questa festa “contro” una parte politica e a ricordare alcuni dei valori fondanti del nostro modo di pensare; allo stesso tempo, inventiamo una nuova celebrazione per utilizzare una nuova retorica più aggiornata in cui riconoscerci. Se mai ci riusciremo, perché la vedo difficile. Per esempio, sostituiamo il 25 Aprile con una festa della Pace e dei popoli europei. Abolirei anche il 4 novembre e le parate militari alla festa della Repubblica e delle Forze Armate. Le guerre talora sono necessarie e le vittorie (compresa la Liberazione) meglio delle sconfitte, ma sono sempre un male. Celebrare le vittorie nelle guerre è come fare una festa nella ricorrenza dell’asportazione di un tumore o, peggio, della morte di un lontano parente che ci ha lasciato l’eredità. Si ricordano i momenti felici, non l’uscita da un incubo soprattutto se per uscirne si è dovuto uccidere nemici che ora non lo sono più.
perfetto.