“Ci sono molte cose che ci separano”.
Con questa affermazione il portavoce di Vox, il principale partito euroscettico spagnolo, ha chiuso le possibilità di adesione al gruppo “Europa delle Nazioni e della Libertà”. Un’adesione che poteva apparire scontata e sulla cui malariuscita avrà pesato il sostegno dato dal Segretario della Lega fu Nord, oggi front-man dell’ondata anti-europeista, al tentativo di scissione dei separatisti catalani di due anni fa, mosso forse da un ritorno della fiamma dell’etno-nazionalismo bossiano, ma che al Presidente del partito di destra nazionalista Santiago Abascal deve essere apparso come una violazione del principio comune di sovranità nazionale tanto da spingerlo a paragonare l’oggi Ministro dell’Interno al Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker.
Non è il primo rifiuto ricevuto in questi giorni di ricollocazione post-elettorale. Il Presidente dell’Ungheria Viktor Orban, a lungo corteggiato e preso a modello dai vari esponenti dei movimenti anti-europeisti, sembra alla fine aver optato per prolungare la sua permanenza nel “Partito Popolare Europeo”, sopportando l’oltraggio delle sanzioni comminategli per la continua erosione dell’indipendenza della magistratura e dei media ungheresi, pur di continuare ad usufruire dei fondi europei che hanno avuto una notevole importanza nel permettere la crescita di un paese sterilizzato da decenni di occupazione sovietica.
Più prevedibile, ma non per questo meno importante, è stato lo smarcamento del governo della Polonia, il secondo principale esponente del gruppo di Visegrad (dal nome della cittadina in cui i rappresentanti dei due paesi più la Cecoslovacchia si incontrarono nel 1991 per coordinare il proprio inserimento nel progetto federalista europeo). Jarosław Kaczyński, Presidente del partito “Diritto e Giustizia” saldamente al potere, è infatti in rotta di collisione con il vicino russo da ben prima che il Maidan ucraino e la successiva secessione della Crimea esponesse al mondo la politica revanscista del Cremlino, percepita dalla maggioranza dei polacchi come un’entità esiziale, al di là dei posizionamenti interni.
Si parla di tre sviluppi che servono come promemoria per evidenziare come il progetto ”Europa dei Popoli” non sembri essere destinato ad evolversi in potenza rispetto ai propositi nebulosi dei suoi promotori ideologici. E per ovvie motivazioni, che potrebbero apparire anacronistiche nell’Europa di oggi, ma di cui abbiamo avuto un assaggio con la proposta del “Partito della Libertà Austriaco” (FPÖ), al governo fino a qualche settimana fa, di concedere la doppia cittadinanza ai cittadini italiani dell’Alto Adige, provocando scontato dissenso in diversi patrioti italiani che vedono nella decisione, forse non così a torto, un passo iniziale per la ricostituzione della regione del Tirolo nella sua originale forma asburgica. Un obiettivo che politici di spicco come Norbert Hofer non si sono mai impegnati di nascondere.
Il nazionalismo ha le sue fondamenta nell’egoismo, che nella giusta misura è necessario per la preservazione dei propri diritti, ma espanso al massimo grado alimenta miopia e paranoia, rendendo improponibile una coalizione mossa da principi comuni. Quando il Governo Conte ha presentato ad Ottobre la sua proposta di bilancio alla Commissione Europea, in cui erano inclusi l’immaginifica flat tax e l’oneroso reddito di cittadinanza, le critiche sui costi sono state condivise non solo dai partiti considerati legati all’establishment, ma anche dalla leader dei “populisti” tedeschi Alice Weidel, la quale ha attaccato direttamente il Ministro del Viminale accusandolo di voler caricare sulle spalle dei tedeschi virtuosi i debiti del Bel Paese.
Non si confonda l’enumerazione di queste contraddizioni come un tentativo di minimizzare gli effetti delle elezioni. Al contrario, può servire da ammonimento su dove ci dovrebbe condurre un ipotetico trionfo del sovranismo nel mezzo di una guerra daziale tra una potenza del passato ed una del presente in cui il nostro spazio è già predisposto per divenire terra di conquiste.