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Corsivi corsari

Hillary e Donald: così diversi, così uguali

Basta dare un’occhiata alle facce, alla fisiognomica e al portamento dei due candidati per comprendere come le prossime elezioni negli Stati Uniti rappresenteranno un appuntamento con la storia totalmente sui generis. Per la seconda volta in poco meno di otto anni assisteremo, anzitutto, ad un evento rarissimo nella storia delle elezioni federali statunitensi. Infatti, se si esclude il 2008, è dal 1928 (Hoover contro Smith) che la rosa dei candidati non comprende né un Presidente né un Vicepresidente, un segnale questo di totale rottura con la politica del passato che fa riflettere su come un elettorato, storicamente tradizionale e pedissequamente fedele alla prassi, stia velocemente mettendo in discussione secolari tradizioni per un autentico salto nel buio.

Hillary Clinton e Donald Trump, più di quanto non si creda, hanno molti profili in comune ma né all’una né all’altro conviene mostrarli più di troppo. Ex repubblicana lei, ex sostenitore democratico – e di osservanza clintoniana – lui, entrambi sono chiamati ad una campagna elettorale, nelle promesse e nei modi, totalmente di rottura rispetto ai due grigi mandati di Obama. Entrambi appaiono incapaci di risultare credibili sulla scena internazionale: Hillary per la mala gestione della crisi libica, Trump per una impreparazione culturale ampiamente uscita allo scoperto nelle numerose gaffes che pure non hanno scalfito la sua marcia trionfale durante le elezioni primarie. L’emergere di queste due candidature è un po’ la rappresentazione plastica dell’America malconcia, incerta e senza dubbio più debole che Obama si appresta a lasciare al suo successore. Quale ruolo saranno chiamati a svolgere gli Stati Uniti nel prossimo futuro è una incognita talmente grande che rischia di bruciare fin da subito il futuro Presidente. In presenza di equilibri così instabili, con il sostanziale deterioramento dei rapporti internazionali con Russia e Cina e con l’Isis ancora tranquillamente in sella tra l’Iraq e la Siria, in molti hanno l’impressione che, senza un geniale colpo di coda, dei rispettivi staff più che dei due candidati, l’America rischi seriamente di stare a guardare anche nei prossimi quattro anni. Ma è un lusso che l’occidente, di fronte ai recenti episodi terroristici, non può di certo permettersi, stante la ormai cronica crisi delle istituzioni europee, impegnate ad interrogarsi, ancora una volta, sull’essere o sul non essere.

Una certezza, però emerge tra mille incognite: entrambi hanno le caratteristiche per stupirci, non solo perché entrambi non promettono nulla di speciale ma, soprattutto, perché non appaiono in grado, per credibilità e competenza, di farlo. E a differenza di Obama, dal quale ci aspettavamo molto, potrebbero riservarci sorprese molto più positive di quanto la cronaca elettorale di questi giorni possa prevedere.

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