Sostengo da tempo che indistintamente tutti i personaggi con ruoli primari nella politica di questo Paese dovrebbero sparire dal panorama mondiale. Per questo articolo prendo spunto dalle critiche che ho ricevuto da uno stimato amico il quale, qualche giorno fa, su FB mi ha invitato a studiare meglio la storia economica.
Molto di ciò che segue è preso da uno straordinario thread del Prof. Sandro Brusco via Twitter di domenica scorsa.
Sandro Brusco insegna (ed è attualmente direttore) al Dipartimento di Economia della State University of New York a Stony Brook, USA. Si occupa di teoria dei giochi; teoria delle aste e dei meccanismi di vendita; federalismo fiscale e sistemi elettorali. E’ laureato cum Laude alla Bocconi e ha un Ph.D. in Economic Analysis and Policy dalla Stanford University.
Non si tratta di un giornalista con preparazione abborracciata e nemmeno un professore che insegna all’Università di Pescaracas (tanto per iniziare ad essere chiari).
“Iniziamo partendo dal periodo che va dal 1992 in avanti ed esaminiamo alcuni fatti che non sono noti come dovrebbero esserlo (chissà perché).
Cerchiamo anzitutto di capire perché la legislatura 2001-2006 fu determinante. L’Italia aveva, per un pelo, scampato la bancarotta nel 1992. La classe politica si era spaventata e aveva iniziato un sentiero di rientro dall’enorme debito accumulato negli anni ’80. Quegli sforzi furono più spostati sull’aumento delle entrate che sulla riduzione della spesa, per i miei gusti, ma produssero ottimi risultati. Ci consentirono di entrare nell’euro e ottenere una drastica riduzione degli interessi pagati sul debito. Veramente drastica.
Ecco la spesa per interessi sul PIL. Passa dal 11,1% nel 1995 al 6,1% nel 2001. 5 punti! Altro che differenza tra 2,4 e 2,04! Questo è il dividendo dell’euro. Che è continuato per tutti gli anni a venire.
In breve all’inizio del secolo ci fu una di quelle rare finestre di opportunità in cui la situazione economica permetteva serie riforme strutturali che avrebbero cambiato la storia del paese.
La Germania usò quella finestra. Vi ricordo che a quei tempi era descritta come il malato d’Europa. Aveva sopportato costi pesantissimi per l’unificazione. Giusto così, ma un cambio di rotta era necessario. La loro risposta fu un programma di riforme strutturali soprattutto nel mercato del lavoro e nel sistema di welfare, il Piano Hartz.
L’occasione gettata al vento
E l’Italia? Nel 2001 va al potere il centrodestra. L’emergenza di finanza pubblica è finita. È il momento delle riforme strutturali. Riformare la pubblica amministrazione, ridurre la spesa corrente e le tasse, mettere in modo definitivo il debito su un sentiero sostenibile.
Non succede niente di tutto questo. Invece, si sfrutta il calo della spesa per interessi per aumentare la spesa corrente. Usciti dall’emergenza si torna alle vecchie abitudini clientelari di comprare voti con spesa pubblica.
La spesa totale passa dal 47,5 al 47,6%. Nessun beneficio dal calo della spesa per interessi, che in quel periodo passò dal 6,1% al 4,4%. La ragione è che il calo della spesa per interessi fu più che compensato dall’aumento della spesa primaria. Passò dal 41,4% al 43,2%.
Di riforme strutturali naturalmente manco a parlarne. Abbiamo dovuto aspettare il governo Monti per un intervento serio sulla spesa pensionistica. Il fisco è rimasto vorace, caotico e vessatorio. Nessun serio intervento su amministrazione pubblica e tanti altri pezzi dello stato e degli enti locali.
La ciliegina sulla torta fu la riforma elettorale di fine 2005, pochi mesi prima delle elezioni politiche. Dicendo l’unica cosa intelligente della sua carriera, Calderoli la chiamò ”una porcata”. Da cui il nome Porcellum. Ha garantito governi deboli da allora in poi.
Il centrosinistra avrebbe fatto meglio? Probabilmente no. Ma la storia non si fa con i se e i ma. Le azioni hanno conseguenze e le responsabilità vanno assegnate a chi quelle azioni ha intrapreso. I governi di centrodestra del 2001-2006 furono un’autentica ignominia.”
Concludo dicendo che:
1) Forse è qualcun’altro che deve dare una ripassatina alla storia economica.
2) È solo grazie all’euro ed anche alla Germania che non siamo ancora falliti.
3) Tutto l’arco politico di ogni colore da 30 anni ad oggi dovrebbe sparire per sempre.
4) Tutto il settore pubblico italiano va completamente riformato e rifondato destinando ad altra occupazione almeno il 40% dello stesso perché non serve a nulla se non a portare voti a chi deve sparire (punto 3).
5) Le associazioni di categoria (parastato) devono subire stesso trattamento di cui al punto 4).
6) La magistratura e la giustizia vedi punto 4).
7) Sistema pensionistico completamente riformato per metterlo in equilibrio attuariale.
8) Nella sanità va iniettata una robusta dose di efficienza con manager a guidare le ASL invece dei servi di partito e i primari nominati per capacita’ e non per fedelta’.
9) Ai sindacati va applicato il metodo Thatcher verso i minatori inglesi nel lontano 1984/1985.
10) Superata la crisi economica scatenata da COVID19 la politica economica italiana dovrà perseguire questa semplice formula: Meno spesa pubblica; Meno debito pubblico; Meno tasse! Conseguentemente vi sarà più crescita e maggiore produttività. Tradotto: più Mercato e meno stato (la s minuscola è voluta).
3 comments
Non ho l’autorevolezza di un docente di un’importante università USA, ma sono semplicemente un uomo vissuto nelle aziende, non solo in Italia e si è occupato di economia specificamente negli anni della deregulation TLC come Presidente di Advanced Communications for Europe a Parigi.
Ho sempre sostenuto quanto descritto nell’articolo, e ho visto le diverse reazioni e politiche messe in atto da diversi paesi occidentali dopo la caduta del muro e l’avvento della globalizzazione. Alcuni, Svezia in testra, hanno fatto riforme giuste e creato sviluppo. Noi siamo fermi, in leggero arretramento già prima della pandemia, rischiamo grosso se il ns. debito pubblico supererà certe vette e molto dipenderà anche dalla politica dell’Europa, e darei per scontato che è utopistico puntare sui Corona-Bond!
Detto questo, mi piacerebbe leggere degli approfondimenti sul perché in Italia le riforme non si fanno e non si possono e/o si vogliono fare. Ricordo un articolo su il Sole 24 Ore. del 30 marzo 2019, nel quale l’economista spagnolo Xavier Vives scriveva: “Il rischio povertà in Italia è simile a quello della Spagna. La differenza tra Spagna e Italia è che nel primo caso fare le riforme strutturali è molto difficile, MENTRE NEL SECONDO APPARE IMPOSSIBILE”
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adorabile <3