Di Angela Merkel più di due anni orsono avevamo elogiato non solo la metodologia dell’azione politica, ma anche e soprattutto la tenacia esercitata nel fronteggiare il partito transnazionale dello spreco e del debito pubblico, che l’aveva assediata nelle giornate più difficili della sua carriera. Ebbene, oggi, a due mesi dalle prossime elezioni politiche tedesche, l’intero mondo liberaldemocratico si è ritrovato a guardare al Cancelliere come al proprio faro; la Germania, battendo tutte le altre nazioni sul tempo, è diventata la culla della Quarta Rivoluzione Industriale; e l’unica certezza a Berlino è che il prossimo esecutivo sarà costruito intorno alla CDU/CSU – quotata dai sondaggi intorno al 40% – con tutti gli altri a fare da comparse.
Il nodo della coalizione di governo
In verità, proprio a causa della frammetazione che – a fronte della rocciosa solidità dei cristiano-democratici – caratterizzerà il resto della Camera Bassa (Bundestag), non si può dire con certezza chi entrerà nella coalizione di governo. Tuttavia, poichè i piani redistributivi dell’SPD cozzano troppo fragorosamente con i solenni impegni della CDU a non incrementare la pressione fiscale, riteniamo che alle larghe intese (große Koalition) verrà preferita un’alleanza con i liberali dell’FDP (schwarz-gelbe Koalition) o con gli ecologisti dei Grüne (schwarz-grüne Koalition) o più verosimilmente ancora – visti i numeri risicati di cui sono accreditati questi due partiti – un patto a tre con entrambe le formazioni (Jamaika Koalition). Stante tale variabile, chiunque voglia esercitare previsioni sul corso politico che la Germania intraprenderà nella prossima legislatura, non potrà che cominciare da un attento esame del programma della CDU.
Il programma della CDU: esercito europeo, austerità e rivoluzione energetica
Tralasciando il giustificato, ma scontato, compiacimento per i numeri da primo della classe del governo uscente – l’impetuosa crescita economica e occupazionale, il boom del made in Germany, la solidità delle finanze pubbliche – i punti qualificanti del testo sono fondamentalmente tre. Anzitutto, nel capitolo dedicato alla politica europea, richiamando alla lettera il famoso Annuncio di Monaco, il programma invoca esplicitamente la costruzione di un’Unione della Difesa (Verteidigungsunion) emancipata dalla NATO, che permetta all’UE di gestire in autonomia crisi internazionali come il conflitto ucraino e l’emergenza migranti [Pag. 55-56]. La serietà di tale proposito è evidenziata, a nostro avviso, dalla successiva tematizzazione del potenziamento dell’Unione dell’Energia [Pag. 57] e dei congiunti programmi d’investimento franco-tedeschi nelle tecnologie belliche e digitali [Pag. 58-59]: spunti che rivelano indubbiamente l’intenzione di dar vita ad un polo geostrategico continentale; la cui realizzazione dovrà però avvenire – auspichiamo – dosando il dirigismo col contagocce.
In merito alle politiche economiche invece permane la giusta severità sulla solidarietà finanziaria intraeuropea, la cui somministrazione, anche tramite l’istituzione di un Fondo Monetario (Währungsfonds), sarà rigorosamente subordinata all’adesione e all’ottemperanza a comuni regole di disciplina fiscale [Pag. 57] – un chiaro riferimento all’incorporazione del Fiscal Compact nei trattati comunitari, che tante resistenze sta suscitando in Italia.
Quanto alla politica interna, infine, colpisce, nel bel mezzo di un passaggio d’elogio all’industria nazionale, una fosca nota [Pag. 10] sulle sfide poste all’industria dell’auto dalla rivoluzione energetica (Energiewende). Più che di un banale ammiccamento ai Grüne, riteniamo si tratti della presa d’atto che il settore potrebbe essere trasformato a brave da nuovi regolamenti e restrizioni internazionali sulla tecnologia diesel: occorre quindi fare di necessità virtù e attrezzarsi per tempo a vincere il gioco anche con le nuove regole.
Dalla Germania europea alla Germania globale
Spicca invece per difetto l’assenza di un circostanziato e drastico piano di sgravi fiscali, che pure sarebbe reso possibile dall’incoraggiante andamento di conti ed entrate tributarie e sarebbe anzi necessario a rilanciare la domanda interna: probabile che tale reticenza sia dovuta alla consapevolezza che le nuove ambizioni coltivate in politica estera assorbiranno risorse finanziarie non trascurabili.
Come detto, di questa agenda – assumendo che l’SPD resti confinata all’opposizione – l’esatto esito del voto e dei colloqui di governo potrà mutare gli accenti, che slitteranno verso la defiscalizzazione, se dovesse spuntarla l’FDP, oppure verso l’interventismo ecologista, se dovessero prevalere i Grüne; ma non certo la sostanza, che sarà fatalmente determinata dalla sempre più marcata proiezione globale dell’industria esportatrice del Sud e dei ceti medi delle città emporio del Nord. Aspettiamoci quindi, dopo il 24 Settembre, una Germania molto più ambiziosa ed ancora più convintamente europeista sui temi di politica internazionale, indeflettibilmente austera sulla disciplina finanziaria e ovviamente sempre più verde e digitale. Al suo timone, acclamata o contestata, dileggiata od osannata, ci sarà ancora, come sempre, Angela Merkel.
1 comment
Si, è uno scenario plausibile, ed anche auspicabile, sebbene insufficiente in un periodo storico come questo, dove serve una SVOLTA ancor più decisa nella direzione delineata da questo sommario programma.
Infatti anche una politica estera e di difesa comune non può prescindere da una destrutturazione degli stati nazionali, Germania e Francia in primis, senza la quale il sospetto di un progetto egemonico sarebbe anche più di un sospetto, e verrebbe rigettato.
Serve molto CORAGGIO, e servire una spinta ad una NUOVA AUTOREVOLE ITALIA, che purtroppo non vedo all’orizzonte.
Serve anche un buona dose di realismo e pragmatismo che accantoni alcuni dogmi sostituendoli con regole meno stringenti ma più concretamente perseguibili.
Mi riferisco al fiscal compact che, a meno di una inflazione selvaggia che nessuno vuole, non è perseguibile da molti paesi europei, Italia in primis, mentre il suo target (60%) è un bel numero, ma vale quanto qualsiasi altro numero, mentre quello che conta è il TREND in discesa dei debiti pubblici degli stati, a prescindere dal loro importo.